Siamo sicuri di volere l’educazione civica?

di Francesco Nasi (Ospite)

Educazione civica. Tutti ne hanno decantato le lodi: destra, sinistra, su, giù, centro. Si è parlato di quanto sia importante per le future generazioni, di quanto sia necessaria per sensibilizzare gli studenti su temi importanti come legalità, ambiente e partecipazione democratica. In un’epoca di permanente crisi politica e (si sostiene) culturale, è stata spesso presentata come possibile panacea di tutti i mali. All’inizio di ogni legislatura qualcuno si è preso gli applausi della folla esclamando: “introdurremo l’ora di educazione civica!”, millantando un interesse per le future generazioni che i fatti, ben presto, si sono incaricati di dimostrare infondato.
Ma allora perché le cose sembrano rimanere sempre uguali? La risposta a questa domanda potrebbe rivelare una scomoda verità: che siamo molto meno sicuri di quanto pensiamo riguardo l’importanza dell’educazione civica.

Innanzitutto, dobbiamo ricordare che essa esiste già. E da parecchio.  Nel 1958, con una brillante intuizione dell’allora ministro dell’istruzione Aldo Moro, diventa materia curriculare. Da allora assume varie forme e nomi: “Educazione alla convivenza democratica”, “Educazione civica e cultura costituzionale”, “Educazione alla convivenza civile” e, infine, un più modesto e pacato “Cittadinanza e Costituzione”.
Viene spezzettata, tagliata, rinchiusa negli antri più stretti e bui degli orari scolastici. Fino all’umiliazione di essere relegata a corollario di geostoria, materia che già presenta grossi limiti teorici e pratici, e affidata alla buona volontà di professori già gravati dall’incombente imperativo di finire lo sconfinato programma scolastico. Eppure, nonostante le varie difficoltà, in tutto questo tempo l’educazione civica c’è sempre stata.
Forse allora la questione è un’altra. Forse il problema non è tanto la mera presenza di questa materia, educazione civica sì o educazione civica no, quanto che cosa intendiamo per educazione civica.

In primis, quale spazio le si dà?
La proposta di legge n. 682 del 1° giugno 2018 (con primo firmatario il leghista Capitanio) migliora l’attuale situazione. Essa prevede l’educazione civica come materia curricolare nelle scuole primarie e secondarie di primo e di secondo grado, con un monte ore annuale di 33 ore. Essa diventerebbe oggetto d’esame alle scuole medie e sarebbe affidata a docenti dell’are storico-geografica alla scuola primaria e secondaria di primo grado e agli insegnanti dell’area economico-giuridica alle scuole superiori. I temi sono ancora da definire con precisione, anche perché stiamo parlando di una proposta che non è ancora stata votata. Ciò che è certo è che si affronterebbe in primis la conoscenza della Costituzione, poi l’educazione stradale e ambientale, il contrasto al bullismo e all’uso di stupefacenti.

Restano però molte carenze, essenzialmente per 3 ragioni.
In primo luogo, il tempo: solo 33 ore annuali. Se non bastano centinaia di ore dalle elementari alle superiori per ricordarsi nozioni basilari di storia come la data dell’unità d’Italia o il titolo di qualche poesia di Leopardi, come possiamo pretendere di formare dei cittadini pronti a vivere in una complessa democrazia rappresentativa con l’elemosina di 33 ore annue?
In secondo luogo, l’art. 4 del disegno di legge prevede esplicitamente che “Dall’attuazione delle disposizioni di cui alla presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.” In parole povere: nessuna risorsa in più, bisogna fare con quello che si ha.
Infine, il disegno di legge non si discosta granché da altri progetti già intrapresi da questi anni, come la proposta di legge popolare capeggiata da numerosi sindaci in tutta Italia e alcuni progetti regionali, come conCittadini in Emilia Romagna. Insomma, gattopardianamente, sembra che “tutto cambi perché tutto rimanga com’è”.

Ma torniamo al nostro problema. Quale forma deve avere l’educazione civica?
Se la intendiamo come la necessaria educazione che ogni cittadino dovrebbe avere (e dovrebbe poter avere) per vivere in maniera sana e rispettosa dell’altro in uno stato democratico, essa non può essere una materia come tutte le altre. Perché come dice il nome stesso della materia qui si parla di educazione, e non di istruzione.
Qual è la differenza?

L’istruzione è essenzialmente l’acquisizione di nozioni attraverso un processo top-down: io professore che sono in cima alla piramide insegno a te, giovane studentello sprovveduto, come estrarre una radice quadra e chi erano i 7 re di Roma. In questo modo colui che viene istruito funge per lo più da contenitore di informazioni, assumendo un ruolo che è inevitabilmente passivo. Per carità, questo è in parte indispensabile. Ma non basta.

L’educazione è qualcos’altro, e ce lo dice l’etimologia. Educare deriva dal latino e-ducere, che significa tirare fuori, o portare fuori ciò che sta dentro. E che cosa c’è dentro? Le idee degli educati, le loro speranze, il loro spirito critico, la loro irripetibile specificità: più semplicemente il loro io. Educazione va a significare così non omologazione a una norma, come era nel caso dell’istruzione, ma appropriazione di essa ed esaltazione di un’individualità positiva.  L’educazione non è una lezione, ma un dialogo, un dialogo in cui la verità è in discussione, e raggiungibile solo attraverso il contributo attivo di educato ed educatore. Stiamo attenti a non cadere dall’altra parte del fosso: solo perché prevede il coinvolgimento attivo del soggetto/oggetto e la piena espressione del suo io, l’educazione non è mai un cieco abbandono al relativismo, ma prevede sempre dei valori, dei principi, delle linee guida da tener ben fissi in testa. Il punto focale diventa allora l’interiorizzazione di queste idee da parte dall’educato, facendole proprie anche a costo di modificarle parzialmente. Tralasciamo momentaneamente questa tensione dialettica tra rispetto e interiorizzazione del valore (che meriterebbe se non un libro almeno un articolo a parte) e domandiamoci: quali altri problemi sorgono da questa definizione di educazione civica?

In primis, il modello. Si educa sempre avendo presente un punto di riferimento, un soggetto a cui ispirarsi. Chi dovrebbe essere il modello dell’educazione civica? Il cittadino perfetto? E chi sarebbe? Chi lo deve decidere? La classe dirigente? Il popolo? I professori? Con quali modalità? Riusciremmo a trovare un consensus bipartisan per una definizione di questo soggetto? Esso dovrebbe tra l’altro essere una scelta che permane nel tempo, il che è quanto mai problematico dato la velocità del cambiamento dei costumi, dei valori e delle idee nella nostra società liquida.

Una volta deciso (se possibile) questo modello, bisogna iniziare il processo educativo vero e proprio, e ovviamente non basta più l’oretta buca tra fisica e geostoria. Si deve qui parlare di riforma dei programmi scolastici, di maggiori possibilità per gli studenti di esprimere la propria opinione e di svolgere attività che abbiano un riscontro pratico nella vita della comunità a cui appartengono. Si deve qui ripensare globalmente il ruolo dell’istituzione scolastica. Deve puntare in alto, affiancando alla necessaria conoscenza delle istituzioni e della realtà qualcosa di più profondo, qualcosa che vada veramente a incidere sulla coscienza dello studente. Se educazione deve essere, deve essere attiva, partecipata, deve venire fuori dai ragazzi e dalle ragazze stessi. Ma questa è mera teoria: come trasformarla in prassi? Quali forme concrete bisogna adattare?

L’educazione civica deve essere una materia curriculare con 3-4 ore a settimana? O piuttosto qualcosa che permei in tutti i programmi di tutte le materie, con alcuni approfondimenti specifici nella contemporaneità? Ma se la risposta all’ultima domanda è sì, allora abbiamo bisogno di una vera e propria eticizzazione dell’insegnamento, e di insegnanti che svolgano il ruolo di educatori, cosa per cui non sono assolutamente formati e preparati. E poi: vogliamo davvero degli insegnanti educatori? Sarebbero essi capaci di gestire la tensione a cui prima accennavamo? Non diventa troppo alto il rischio di un vero e proprio stato etico di fascista memoria? Allora facciamo un passo indietro, direte voi. Va bene, ma il rischio è quello di ritornare alle 12 ore annue fatte per sbaglio o per fortuna, 12 ore che non meriterebbero assolutamente il titolo di “educazione civica”.

Non sono questioni facili, e i problemi sarebbero appena iniziati. Ma intanto abbiamo raggiunto un obbiettivo, andando come questo tema apparentemente semplice possa in realtà rivelarsi estremamente divisivo.
Se, come visto all’inizio, siamo d’accordo sulla necessità e l’importanza dell’introduzione dell’educazione civica, allora dobbiamo essere consapevoli del peso di quella parola che con così poca parsimonia utilizziamo: “educazione”. Essa porta con sé non poche incognite, e nelle righe precedenti abbiamo solo scalfito la superfice.
È giusto che la scuola educhi? È giusto che si prenda questo peso e che si immischi così tanto nella vita degli studenti? È giusto che tracci un confine tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato? È giusto che prenda delle posizioni così nette? E chi deve decidere tali posizioni? Oppure la scuola deve limitarsi al mero nozionismo e allo sviluppo di quelle soft skills che ci permettono di aggiungere qualche zero al nostro stipendio, in una parvenza di imparzialità che di oggettivo ha ben poco?

Se la risposta alla prima domanda è no, smettiamola di invocare l’educazione civica come soluzione di tutti i problemi di cui la nostra società è afflitta, finiamola di lamentarci e accontentiamoci della professoressa che legge in fretta gli articoli fondamentali della Costituzione dopo la verifica sulle Guerre puniche, mentre gli studenti dedicano più attenzione alle storie di Instagram che a quella sulla lavagna.
Se la risposta alla prima domanda è sì: beh, rimbocchiamoci le maniche.

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