Nella prima parte abbiamo affrontato il tema delle diseguaglianze socio-economiche e l’impatto che hanno con l’educazione e il sistema scolastico. Messi a contatto con qualche dato e approfondite ricerche siamo giunti a considerare il discorso del divario tra ricchi e poveri come un problema sociale, un disagio che riesce ad influire sulle varie classi coinvolte.
In questa seconda parte mi preme introdurre degli elementi che sappiano andare più in profondità per quel che risulta essere la diseguaglianza scolastica. Porre la questione della diversità e di un divario socio-economico all’interno di un sistema come quello scolastico può avere delle conseguenze sulle concrete possibilità di apprendimento dei singoli. Riporto la ricerca di Hoff e Pandey capace di spiegarcelo in modo semplice e diretto (K. Hoff, P. Pandey, 2004). Prendendo in esame due gruppi di bambini, uno di alta estrazione sociale e uno di bassa, si applica loro un test senza però rivelare a nessun partecipante la provenienza sociale dei propri compagni. Secondo questo metodo i risultati dei due gruppi non si distanziano così tanto, evidenziando addirittura dei casi in cui chi di estrazione sociale bassa sia riuscito a rendere più del gruppo opposto. Dunque, ripetendo l’esperimento dopo aver rivelato la provenienza dei vari bambini si è notato un calo del rendimento dei bambini di più bassa estrazione sociale (K. Hoff, P. Pandey 2004; R. Wilkinson, K. Pickett 2012).
Questo esperimento ci introduce, dunque, ad una tematica delicata quando si parla di educazione e di quotidianità scolastica, ovverosia la questione del giudizio. Giudicare e valutare, pareri e numeri che vengono impressi su di noi e si fanno giudici del nostro tempo, di un primo tempo pedagogico così fondamentale. Sapere o meno di essere sotto esame, di avere gli occhi puntati su di te in uno specifico momento può risultare determinante per una performance e per il rendimento. Lo confermano Steele e Aronson (C. M. Steele, J. Aronson 1995, pp. 797-811) misurando i risultati di studenti bianchi e neri che affrontano un test d’ammissione all’università, prima rivelando loro l’obiettivo di valutazione del test e poi ripetendolo dicendo che non ha uno scopo valutativo. Come per il caso precedenti dei bambini di differenti estrazioni sociali, anche qui la minoranza a rischio discriminazione, una volta saputo della valenza del test, ha offerto un rendimento inferiore (R. Wilkinson, K. Pickett 2012). Oltre alla dimensione prettamente socio-economica la diseguaglianza e suoi effetti passano anche per la questione etnica e razziale (S. J. Spencer, C. M. Steele, D. M. Quinn 1999, pp. 4-28).
La questione del giudizio sociale, secondo queste ricerche, si fa sempre più artificiale e arbitraria a seconda delle parti in gioco e degli attori sociali. Siamo sul terreno della prigionia valutativa, dell’eteronoma istituzione etica ove giusto e sbagliato sono determinati socialmente, secondo un primordiale inconscio collettivo. Un ultimo caso che fa di queste ipotesi delle evidenze ci è portato dall’esperimento dell’insegnante Jane Elliot (W. Peters 1987) che disse ai suoi studenti che era stato confermato da uno studio scientifico che chi aveva gli occhi azzurri risultava essere più intelligente e predisposto al successo di chi aveva gli occhi castani e quindi da considerarsi più ingenuo e pigro (R. Wilkinson, K. Pickett 2012). Dividendo i due gruppi e favorendo chi aveva gli occhi azzurri, questi si sentirono sempre più affermati rispetto a castani trattati con più indifferenza o disprezzo. Dei primi migliorarono i risultati scolastici, a discapito proprio dei castani che peggiorarono e si sottomisero. Jane Elliot, quindi, decise di rivelare un fraintendimento, ovvero che i più intelligenti e volti al successo in realtà erano quelli con gli occhi castani e non azzurri. La situazione, in poco tempo, si capovolse in termini di rendimento e di autostima (W. Peters 1987).
Le ricerche riportate, dunque, ci dicono qualcosa in più sulle diseguaglianze e dei loro effetti sull’apprendimento e lo sviluppo soprattutto a livello cerebrale. Le neuroscienze infatti ci suggeriscono l’influenza di un ambiente stimolante e sicuro per la riuscita personale sottolineando i benefici dati dal rilascio di dopamina che aiuta la concentrazione e la memoria. Per contro, un terzo educatore (ambiente) negativo può favorire la produzione del cortisolo, ormone dello stress (R. Wilkinson, K. Pickett 2012).
BIBLIOGRAFIA
K. Hoff, P. Pandey, Belief Systems and Double Inequalities: an experimental ivnestigations of indian caste, Policy Research Working Paper, World Bank, Washington, DC, 2004.
W. Peters, A Class Divided: Then and now, Yale University Press, New Haven 1987.
S. J. Spencer, C. M. Steele, D. M. Quinn, Stereotype threat and women’s math performance, “Journal of Experimental Social Psychology”, 35, 1999, 1.
C. M. Steele, J. Aronson, Stereotype threat and the intellectual test performance of African-Americans, “Journal of Personality and Social Psychology”, 69, 1995.
R. Wilkinson, K. Pickett, La misura dell’anima. Perché le diseguaglianze rendono le società più infelici, Universale Economica Feltrinelli, Milano 2012.