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È una questione di giustizia: università e società civile, pt.2

Di Emanuele Lepore

In un testo apparso per la prima volta nel 1971, intitolato A Theory Of Justice, il filosofo statunitense John Rawls (Baltimora 1921- Lexington 2002) ingaggia un corpo a corpo serio e puntuale con una delle questioni che segna più a fondo la vicenda umana: il problema della giustizia. Della complessa grammatica argomentativa rawlsiana, vale ora la pena di trattenere un momento cruciale: l’affermazione dei due principi di giustizia.

In una situazione che Rawls definisce posizione originaria (che può essere schematicamente descritta come la situazione di indifferenza verso la propria sorte e quella degli altri, in merito al posto che ciascuno occuperà nella società futura), ciascuno sceglierà di abitare nella società fondata su due principi di giustizia, la cui formulazione minima e, per certi versi, più chiara è la seguente:

  1. Ogni persona ha diritto alla massima libertà fondamentale, compatibilmente con la massima libertà fondamentale degli altri;
  2. Le disuguaglianze economico-sociali sono giustificate se e solo se sono orientate al beneficio dei meno avvantaggiati.

I principi di giustizia di John Rawls hanno qualcosa di fondamentale da dire alla più generale riflessione sul rapporto tra università e società civile che stiamo conducendo, qui su Education Around.

Per quanto sia doveroso riconoscere la complessità e le asperità dell’esperienza universitaria, siamo convinti che chi oggi possa – anche a costo di duri sacrifici – dedicarsi allo studio di ciò per cui ha una propensione e possa coltivare il progetto di procacciarsi un impiego coerente col proprio corso di studi, sia una persona privilegiata. La percezione generale, che ha nella dispersione scolastica un forte sostegno, è che investire sull’educazione, sulla formazione universitaria e, in particolare, sulla ricerca scientifica di alto livello, è una pratica il cui valore sociale riconosciuto è in diminuzione.

Torniamo per un istante a Rawls e al secondo principio di giustizia, quello per cui le disuguaglianze economico-sociali sono giustificabili solo a condizione che producano un beneficio per i meno avvantaggiati. Se è vero che avere la possibilità di investire sulla propria formazione universitaria (e di coltivare il progetto di inserirsi entro i quadri dell’apparato educativo nei suoi vari gradi) resta una forma di privilegio, allora allo studente universitario è richiesto di pensare fino in fondo il proprio posto nella società e, nello specifico, di saper calibrare il proprio contributo allo sviluppo di quest’ultima e alla produzione di un beneficio per tutti che, altrimenti, sarebbe impossibile.

Si tratta di una richiesta che punta al cuore dell’esperienza universitaria e, in senso ampio, scientifica e chiede che il fine di questa attività sia connotato socialmente: è una questione di postura. Precisamente, della postura che gli studenti universitari e i ricercatori decidono di assumere nei confronti del proprio lavoro e del contesto sociale, economico e politico in cui esso è condotto. Occorre forse ripensare la presenza degli studenti universitari e dei ricercatori negli spazi in cui il discorso pubblico si va tessendo, negli spazi in cui è possibile promuovere pratiche sociali di sviluppo sostenuto dalla ricerca. Visto lo stato di salute generale dell’università nel nostro Paese (e ciò non vuol dire che all’estero sia necessariamente meglio), è estremamente urgente costruire questi spazi, di cui occorre mostrare la necessità e la bontà.

Il divario tra università e società civile non è più tollerabile: possiamo tentare di ridurlo al minimo solo se comprendiamo la necessità, da parte degli studenti e dei ricercatori, di assumere in prima persona la sfida dell’elaborazione di nuovi e migliori criteri di giustizia, partendo anzitutto dalle comunità di essi sono parte.

In fondo, crediamo non sia altrimenti plausibile la richiesta di investimenti nell’Istruzione e nella Ricerca che siano capaci di rispettare l’autonomia degli Istituti scolastici e delle varie Istituzioni su cui si edifica la comunità scientifica e non si configurino, come pure è legittimo pensare all’interno di una logica politico-economica priva di qualsiasi progettualità, come una serie di acquisti di scuole e università che collasserebbero sull’ombra di loro stesse.

Fonti:

Rawls, J. (1971). A Theory of Justice. Harvard University Press

Immagine di copertina: Giustizia e Ingiustizia, Giotto (1303-1305).
(Immagine tratta da Google Immagini)

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