A che cosa mi serve saper risolvere delle equazioni per vivere? Che utilità ha per il mio futuro sapere che cosa ha detto Hegel? Perché dovrei studiare il latino che è una lingua morta che non viene più utilizzata?
Spesso sentiamo queste lamentele, o addirittura siamo noi a proporle, riguardo all’inutilità di certe discipline, di certe informazioni che siamo costretti a studiare per poi saperle replicare. Perché denunciare tale inutilità dall’ipotetico basso della nostra immaturità e ignoranza a confronto con una persona, una figura professionale che quell’”inutile” l’ha studiato, ci ha scritto e lo sa padroneggiare? Potrebbe essere un atteggiamento arrogante, inconsapevole e poco responsabile eppure tale grido va ascoltato, va preso in considerazione per il solo fatto di essere stato espresso.
Da uno studente nel pieno della sua formazione ci si può aspettare una certa fiducia nei confronti di chi eroga sapere eppure, è palese, anche secondo una logica adolescenziale, umana ed emotiva che qualcosa non vada nell’atto pedagogico. Molti studenti vengono etichettati come pigri, svogliati e magari ribelli dal momento che nell’immediato non colgono il senso, l’importanza e forse la bellezza di un insegnamento che gli viene proposto. Questo per ignoranza? In parte penso che possa esserlo, vorrei però considerare ciò che spinge all’opposizione, al rifiuto di una data cosa. Si può ignorare quel che non ci è noto e quindi non vedere nuove logiche, nuove soluzioni ma la negazione ivi proposta fa leva su una consapevolezza che le cose possano andare diversamente. La ribellione in questione vorrebbe proporre il contenuto in maniera diversa, più coinvolgente e più divertente per chi sta nel gradino inferiore alla figura pedagogica.
Il problema incomincia a porsi sul piano comunicativo, sulla relazione che si ha col sapere, dal modello dell’insegnante a quello che ogni studente vorrebbe sviluppare piuttosto che dover apprendere forzatamente o senza una logica. La mancanza del senso, del logos in quel che si fa – o meglio che si deve fare – risulta dannoso per chi si trova in pieno sviluppo. In tal modo si parte da una premessa alogica falsa e si arriva ad un’ubbidienza camuffata da conclusione vera. La realtà è che tale terreno dis-educativo – nel senso che non rispetta l’etimo educere, tirar fuori o meglio «condurre oltre sino a divergere da ogni sentiero già tracciato» (M. Recalcati, 2014, p. 59) – prepara lo studente ad una fatica nel mondo del lavoro. Non si sviluppano strumenti efficaci per l’interpretazione della realtà perché non sono state colte la maggior parte delle conoscenze, delle informazioni impartite dalla scuola.
Il risultato è una formazione scolastica costituita di conoscenze impresentabili all’esterno e, viceversa, risultati informali che non trovano una collocazione sensata e coerente con i dettami scolastici. L’apprendimento, dunque, è incapsulato, l’esperienza scolastica viene resa un blocco a sé muto rispetto a ciò che lo circonda. Il testo è isolato, la conoscenza d’esso pure (R. Miettinen, 1999, p. 326).
Ciò che viene realizzato a scuola sembra, dunque, separato da quel che si trova all’esterno (L. Resnick, 1987, p. 15), ovvero l’importanza del momento di apprendimento non viene riconosciuta, non ci si focalizza sull’atto di apprendere e su come avviene. La mancanza di relazione con quella che è la vita quotidiana condanna ad un circolo vizioso il tentativo di significazione del proprio sviluppo precludendo sempre più la possibilità della riflessività riguardo all’apprendimento. La formula dell’apprendere ad apprendere (G. Bateson, 1976, p. 104) è messa a rischio dall’insensatezza di un qualcosa che non ci permette di riflettere, di ridarci la nostra immagine come fa uno specchio, non si favorisce dunque il «processo con cui si valutano criticamente il contenuto, il processo o le premesse dei nostri sforzi finalizzati a interpretare un’esperienza e a darvi significato» (J. Mezirow, 2003, p. 106).
BIBLIOGRAFIA
Bateson, Verso un’ecologia della mente, Adelphi edizioni, Milano 1976.
Mezirow, Apprendimento e trasformazione. Il significato dell’esperienza e il valore della riflessione nell’apprendimento degli adulti, Raffaello Cortina Editore, Milano 2003.
Miettinen, Transcending traditional school learning: Teachers’ work and networks of learning, In Yrjö Engeström, Reijo Miettinen & Raija-Leena Punamäki-Gitai (eds.), Perspectives on Activity Theory. Cambridge University Press 1999.
Recalcati, L’ora di lezione, Einaudi, Torino 2014.
Resnick, Learning in school and out. Educational Researcher, 1987.
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