Un ponte di nome start up

Uno dei panorami più affascinanti degli ultimi anni è sicuramente quello delle start up. Il sogno, non solo americano, di partire dalla propria stanza (o garage) con un’idea innovativa e di convertire tale idea in realtà, solletica l’appetito di sempre più giovani italiani.  Sono molteplici i percorsi che portano alla realizzazione di tale sogno: call di incubatori privati, programmi lanciati da molte aziende e, non da ultima, l’università.

PNI Cube, associazione degli incubatori universitari che istituisce ogni anno il premio nazionale per l’innovazione, conta, ad oggi, 750 start up attive, per un totale di 40 atenei che si sono dotati di un incubatore. Ed è proprio secondo i dati raccolti da PNICube che risulta che sono proprio le start up nate in ambito universitario quelle che generano imprese di qualità più elevata e di maggior successo rispetto ad incubatori privati.

Si tratta di start up dal fatturato medio di 260mila euro, e secondo i dati di PNICube, quelle con un finanziamento superiore al milione di euro sarebbero il 5%, contro il 2% registrato dal Ministro dello Sviluppo Economico.

I motivi per cui le start up universitarie hanno maggiore successo sono molteplici. Tali imprese innovative nascono dal mondo della ricerca e possono avere un’incidenza sull’economia nazionale che va al di là del digital. Possiamo trovare, infatti, tra le varie proposte quelle che riguardano l’ambito meccanico, alimentare, green tech, biotech, e tutto il life science.

Questo perché per ricercare negli ambiti più disparati sono necessari laboratori e attrezzature che l’università può offrire, oltre ad una base tecnologica molto solida e ad un sistema di sana competizione.

I dati raccolti da PNICube mettono in evidenza quanto sia importante che l’obiettivo di oggi sia  quello di sostenere la ricerca. E di finanziare le startup.

Risponde all’appello l’Università Bicocca di Milano, che dopo aver siglato un partnership con la community italiana di crowdfunding, Produzioni dal Basso,  dà vita all’università del crowdfunding. Era stato già sperimentato questo tipo di formula in passato, sempre dalla stessa università, nella realizzazione di CoderBot, robottino didattico rivolto alle scuole primarie. Ed è stato un successo.

Tale modello di raccolta fondi, funge un po’ da ponte tra imprese e università, alle prime permette di ottenere un vantaggio fiscale, oltre che sul piano della comunicazione, e all’università permette di aiutare i propri studenti e ricercatori ad ampliare i rapporti con le aziende. Diventando così una palestra per sviluppare le soft skill necessarie per confrontarsi con il nuovo mercato del lavoro e l’imprenditorialità. Di fatti sarebbe riduttivo, e un po’ naive, credere che il successo di una start up risieda nella sola idea, magari avuta mentre si faceva benzina, senza tener conto del business plan, ad esempio.

Tutto questo dimostra come la chiave fondamentale di crescita di un territorio nelle nuove economie sia nel dialogo tra le imprese e l’università e nella capacità di un territorio di trattenere capitale, e non solo finanziario. L’italia è ricca di queste realtà, e non importa che investimenti e cervelli siano nati e cresciuti nel Bel Paese oppure no: l’importante, se vogliamo sedere al tavolo dei “grandi” è scoprire tali realtà e valorizzarle.

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