Perché i computer nelle scuole non servono

Perché i computer nelle scuole non servono e altre considerazioni sulle nuove tecnologie è il sottotitolo dell’interessante libro di C. Stoll Confessioni di un eretico high-tech.  

L’autore, che non solo conosce perfettamente gli strumenti dell’informatica, ma che addirittura viene collocato tra i creatori di Internet, si chiede se una scuola abbia davvero bisogno di computer per rendere più efficace la propria missione educativa e sorprendentemente -si noti che il testo è uscito nel 2000- risponde all’interrogativo sostenendo che la scuola del futuro debba il più possibile prescindere da queste tecnologie.

Al di là di quanto affermato da Stoll a sostegno di questa sua tesi provocatrice nel libro, che qui non abbiamo intenzione di riassumere e a cui rinviamo il lettore interessato, sembra opportuno fare una riflessione generale sull’impatto che l’introduzione del computer ha avuto nella nostra vita, per poi cercare di capire se il suo uso nelle scuole rappresenti più un vantaggio o un danno.

A tal proposito mi vengono in mente cinque punti che dovremmo tenere in considerazione:

  • per prima cosa il computer consente l’accesso ad un’ enorme quantità di informazioni che non siamo più in grado di assimilare e che spesso conduce all’apatia e all’indifferenza di fronte a quanto leggiamo; ogni notizia sembra uguale all’altra e questo vero e proprio sovraccarico rischia di stordirci, impedendoci di assegnare il giusto valore ad ogni notizia;
  • in secondo luogo non bisogna sottovalutare la rapidità e la semplicità con cui le informazioni riescono ad essere trovate in rete, cosa che a detta di molti- tra cui lo stesso Stoll- rischia di contrarre gravemente la capacità critica degli utenti, che per reperire ciò che loro occorre non devono più consultare cataloghi bibliotecari per individuare differenti testi sull’argomento al fine di confrontarli o ricorrere ad enciclopedie specialistiche;
  • in terzo luogo va notato quanto viene segnalato dalla psicologia sulla base di alcuni esprimerti condotti su bambini computer-dipendenti e altri che vivono facendo un uso assai ridotto di questo mezzo, ovvero come l’uso prolungato di dispositivi multimediali rischi di diminuire la concentrazione e la capacità di memorizzazione;
  • in quarto luogo è interessante rilevare, a detta degli psicologi che nel suo libro menziona Stoll, come un uso assai elevato o addirittura ossessivo di questi strumenti rischi di allontanare dalle cose, abituando i giovani a considerare la realtà non nella sua dimensione effettiva, ma in quella virtuale, portando molto spesso ad una confusione dei due piani;
  • infine non si può ignorare l’impatto che questi mezzi hanno a livello sociale: essi tendono sempre più efficacemente a trasferire sul piano virtuale le relazioni umane (si pensi al fenomeno dei social), promuovendo una comunione virtuale fra individui che però nella realtà si allontanano sempre più l’uno dall’altro; questo porta ad un’interconnessione virtuale costante e ad un parallelo isolamento, e quindi ad una nuova forma di individualismo, nella realtà.

Detto questo, possono i computer in qualche modo rappresentare un vantaggio per gli studenti delle scuole oppure sembrano profilarsi solo com un temibile nemico che, invece di favorire l’apprendimento, sembrano ostacolarlo?

A mio avviso sarebbe assurdo dimenticare che i computer negli anni abbiano consentito di conseguire in realtà anche una serie di vantaggi che noi tutti ben conosciamo e ciò sembra poter fare di essi un alleato preziosissimo della didattica scolastica, purché il loro uso venga moderato e orientato correttamente.

L’auspicio di Stoll di una scuola che rappresenti una collettività di persone umane che parlano, imparano, lavorano e giocano insieme, in cui non si può rinunciare all’insegnamento tradizionale attraverso i libri e al fermo contatto con la realtà con la messa al bando del mondo virtuale, è indubbiamente provocante e ci spinge seriamente a  riflettere, questo proprio in forza della provenienza da un eretico high-tech, come lui stesso ama definirsi.

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