Il modello educativo proposto da Rousseau

L’ Emilio di Rousseau è un’opera che tratta dell’educazione progressiva che si deve impartire ad un fanciullo dal primo anno di vita fino al raggiungimento della maturità.

La ricerca del filosofo francese è totalmente incentrata sul tentativo di delineare la strada migliore da percorrere per raggiungere una formazione completa, indubbiamente critica e al passo con i tempi. Il modello cui fare costantemente riferimento è per Rousseau la natura: “Tutto è bene quando esce dalle mani dell’Autore delle cose; tutto degenera nelle mani dell’uomo” (Emilio, libro I); occorre lasciare che essa, che di per sé è buona, compia la sua opera pedagogica, senza interferire di volta in vota con insegnamenti che non corrispondono al grado di sviluppo del fanciullo.

 La prima regola -nota il filosofo francese- è proprio non pretendere mai di “vedere nel fanciullo l’uomo”, occorre semplicemente assecondare la maturazione di tutte le facoltà conoscitive e pratiche che la natura ha predisposto secondo un certo ordine ed una certa gradualità. Dopo questa premessa, Rousseau individua nel percorso di crescita tre fasi fondamentali, ciascuna delle quali rappresenta uno stadio preparatorio rispetto alla successiva, di cui l’ultima coincide con il raggiungimento della piena maturità dell’individuo. La prima fase si estende dal primo anno di età al dodicesimo ed è il periodo in cui il fanciullo deve affinare la sua conoscenza sensibile, cosa che è possibile fare attraverso il gioco, il disegno, il canto e la musica. In questi anni è importante che il bambino entri in diretto contatto con il mondo, che ne possa scoprire, attraverso le sensazioni, i colori, i suoni e gli odori, e che infine possa così prendere consapevolezza non solo dell’ambiente che lo circonda, ma anche delle potenzialità del proprio corpo. In questo primo delicato periodo di crescita non si deve dunque ricorrere ad alcun racconto  (storico o favoloso che sia) o insegnamento dottrinale.

La seconda fase si inaugura al dodicesimo anno e si conclude con il raggiungimento del quindicesimo; questo è il periodo dello spirito, ovvero il momento in cui il giovane inizierà  spontaneamente a leggere (il primo libro consigliato è Robinson Crusoe), a studiare e ad interessarsi di tutto ciò che ha a che fare con la cultura sotto la guida di un precettore. In questa fase di transizione il ragazzo, nota Rousseau, sentirà anche il bisogno di disciplinare la propria attività manuale attraverso un mestiere artigianale, come la falegnameria.

Il terzo periodo si estende invece dai quindici ai vent’anni: in un primo momento maturerà nel fanciullo il sentimento morale e sociale, in un secondo invece sboccerà spontaneamente il sentimento religioso. Il sentimento morale verrà risvegliato nel giovane dal precettore non tanto attraverso lunghe meditazioni astratte, quanto piuttosto attraverso il suo coerente esempio, che condurrà il ragazzo ad interessarsi anche delle condizioni della vita sociale. Alla religione, culmine dell’educazione del ragazzo, il filosofo francese dedica invece La professione di fede del vicario savoiardo (si trova nella quarta parte dell’Emilio ed è esposta sotto la finzione letteraria di uno scritto di un parroco della Savoia): il sentimento è per Rousseau alla base delle convinzioni religiose che vengono a formarsi naturalmente nel cuore dell’uomo, esattamente come l’istinto e le componenti sentimentali sono il cardine dell’educazione del fanciullo. La fede che spontaneamente nasce nell’uomo è una religione naturale, i cui principi non sono altro che una ripresa dei tratti distintivi del deismo classico, ovvero l’immortalità dell’anima, l’esistenza di Dio e la sua provvidenza, con la relativa esclusione di ogni verità rivelata e pertanto di ogni dogma.

Che cosa ci rimane di questa preziosa riflessione di Rousseau da poter riprendere nei modelli educativi odierni? Al di là delle tre tappe individuate dal filosofo nella crescita del fanciullo, e delle corrispettive  attività propria di ciascuna, che qui non abbiamo tempo di prendere singolarmente in analisi, l’insegnamento più interessante che ci offre credo sia l’assunto di fondo, ovvero che non sono gli individui a dovere adeguarsi ai modelli educativi elaborati per loro, spesso troppo costringenti e pretenziosi, ma che sono proprio questi ultimi a dovere essere strutturati a partire dalla natura delle persone innanzi cui ci troviamo.

Detto in altri termini, non l’uomo è fatto per l’educazione, ma l’educazione è fatta per l’uomo: torniamo ad elaborare i nostri progetti scolastici ed universitari a partire dalla natura concreta delle persone innanzi a cui ci troviamo, cosa che -mi pare- da anni non viene più fatta adeguatamente.

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