Si parla spesso di cambiare il sistema scolastico italiano, di stravolgere un meccanismo considerato ormai arretrato per aprire ad una scuola che sappia preparare alla vita.
Al di là delle evidenze vorrei porre l’interrogativo su quale sia il più assordante campanello d’allarme capace di accendere tale critica. Qual è il problema più grave e urgente che stiamo affrontando oggi a livello educativo?
La mia risposta, come avrete intuito, è offerta dal titolo dell’articolo. Analfabeta funzionale non è chi non sa leggere e scrivere, bensì chi pur avendo queste capacità non è in grado di interpretare un’informazione e di rielaborarla. Vuol dire non saper comprendere i significati di un libretto d’istruzioni e dunque non essere in grado di compiere riflessioni e collegamenti complessi e critici.
L’indagine OCSE-PIAAC traduce in dati statistici il grado di diffusione del fenomeno dell’analfabetismo funzionale analizzando quelli che sono i gradi di competenze sviluppati dagli adulti e giovani adulti. L’Italia si colloca tra gli ultimi posti in Europa per livello di competenze e dunque con una forte presenza di “low skilled”. Dal rapporto possiamo osservare i risultati medi degli adulti 16-65 anni nelle competenze alfabetiche, ovvero di literacy (Figura 3.4).
Il dato offerto è decisamente preoccupante per quanto riguarda la capacità di approcciarsi all’informazione e alla relativa espressione. Nel nostro paese, difatti, la percentuale di analfabeti o low skilled dal punto di vista della literacy è del 27,9% della popolazione. Sempre ricavando qualche numero dai dati forniti dall’OCSE-PIAAC sappiamo della percentuale di giovani low skilled che è rappresentato dal 9,6% per quelli tra i 16-24 anni e del 14,8% per quelli tra 25-34 anni. Questi dati fanno riflettere in merito ad una buona parte della popolazione giovanile che si ritrova senza strumenti critici e di interpretazione per potersi confrontare con problemi concreti in situazioni di vita quotidiana o all’interno del mercato del lavoro.
Da aggiungersi a tale condizione teniamo conto anche delle competenze matematiche, ovvero di numeracy (Figura 3.7). Possiamo concludere che per quanto riguarda tali competenze la situazione non cambi molto vedendoci anche stavolta ampiamente sotto la media dei paesi OCSE-PIAAC e ancora tra gli ultimi posti.
La combinazione di questi due risultati lancia l’allarme per quanto riguarda la questione educativa ponendola sul banco degli imputati. Eppure l’alfabetizzazione in Italia non vede un tasso così basso e ridotto da consegnare un tale numero di analfabeti funzionali. La problematica diventa più complessa e il suo legame con la scolarizzazione deve essere rivisto dal punto di vista metodologico. Difatti ritrovandosi con questa disparità tra tasso di scolarizzazione e tasso di low skilled il problema non può che essere sull’efficacia dell’educazione scolastica in itinere e nella sua evoluzione e prosecuzione come lifelong learning, come formazione continua.
È evidente che l’analfabetismo qui evidenziato si ponga come mancata coltivazione delle conoscenze e competenze acquisite negli anni di sviluppo e formazione. Da qui si può notare la forte correlazione tra le analisi sulle competenze in età adulta e l’azione educativa attuata dal sistema scolastico. Dovrebbe sorgere dunque l’interrogativo in merito: perché non vi è una continuazione nell’apprendimento e nell’aggiornamento delle competenze da parte degli adulti quando entrano nel mercato del lavoro?
Dovremmo chiederci quanto il periodo di formazione abbia effettivamente influito sui soggetti discenti, quanto quei saperi a cui si ha avuto accesso a scuola abbiano lasciato il segno e siano rimasti come qualcosa di consolidato e continuamente verificato. Credo che l’interrogativo debba partire da qui vedendo la difficoltà di un nostro sistema – quello scolastico – che valuta per conoscenze e abilità e che poi non riesce ad ottenere risultati soddisfacenti in test come quelli OCSE-PIAAC o anche OCSE-PISA dov’è richiesta una capacità di applicazione critica e riflessiva delle conoscenze scolastiche a problemi concreti, reali e aperti a più possibilità di risoluzione invece che limitati alle risposte che si è stati addestrati a proporre in maniera ripetitiva e acritica.
Ringrazio il professor Roberto Trinchero per una preziosa conferenza tenuta all’Alma Mater Studiorum Università di Bologna
[Immagine tratta da Google immagini]
Fonti e risorse:
http://www.isfol.it/piaac/Rapporto_Nazionale_Piaac_2014.pdf