Chi studia vive più a lungo?

Molte variabili sono notoriamente in grado di influenzare la qualità e l’aspettativa di vita. Tra queste, le abitudini, la dieta, la possibilità d’accesso alle cure, lo status socioeconomico, l’ambiente familiare. Tutti questi aspetti correlano in modo più o meno significativo con un altro importante parametro: l’educazione, o, per meglio dire, il numero di anni di istruzione portati a termine dall’individuo. Le analisi sono concordi: in poche parole, chi studia di più vive più a lungo.

Questo è tristemente ovvio: è chiaro che, con un grado superiore di istruzione, il soggetto tenderà a sviluppare abitudini di vita più sane, perché più conscio (in linea di massima e con le dovute eccezioni) degli effetti che alcuni vizi hanno sulla salute. Qui bisognerebbe aprire una parentesi sull’obesità, che non sempre si comporta come gli altri parametri in esame; ma almeno per quanto riguarda il fumo e l’abuso di alcool e soprattutto nel sesso maschile, queste abitudini nocive correlano con un grado di istruzione inferiore. Chi studia di più avrà uno status socioeconomico più elevato, potendo accedere a posizioni lavorative più prestigiose; e spesso viene anche da una famiglia d’origine benestante, o che quantomeno ha avuto la possibilità di fargli proseguire gli studi oltre la scuola dell’obbligo. Si tratta inoltre di persone che si trovano all’interno di una solida rete sociale (mentre l’isolamento correla con una salute peggiore ed una mortalità più precoce). Infine, chi studia più a lungo avrà anche un maggiore accesso alle cure o l’accesso a cure migliori. Anche se in un Paese come l’Italia l’effetto di quest’ultimo fattore dovrebbe essere minimo, ci sono ancora importanti differenze in termini di accesso (anche volontario) alle cure.

Tutto questo è, appunto, tristemente ovvio. Dato che è impensabile che il 100% della popolazione compia studi universitari, resta uno dei compiti più ardui per chi legifera in ambito di salute e di istruzione cercare di eliminare, o comunque ridurre al minimo, queste differenze. Questo è possibile, come dimostrato dal fatto che la forbice della differenza tra i diversi gruppi in cui può essere divisa una popolazione sulla base dell’educazione o dello status socio-economico ha un’ampiezza differente nei vari Paesi europei. Ed essendo possibile, diventa doveroso imitare i Paesi più virtuosi.

Inoltre, se è vero che chi studia meno ha una salute peggiore, è altrettanto vero l’inverso: chi ha problemi di salute ha spesso una minor produttività scolastica e lavorativa, e la cosa si trasforma in un circolo vizioso. Dove intervenire per spezzare il cerchio? Non c’è un unico possibile punto di rottura. Oltre all’ambiente familiare, su cui però risulta forse più difficile intervenire, sicuramente la scuola ha un ruolo fondamentale, e può servire ad esempio mettere a disposizione risorse e borse di studio per chi, partendo da una condizione di oggettivo svantaggio, voglia però studiare e abbia le capacità e la motivazione adeguate.

L’educazione che si riceve ha davvero il potere di cambiare completamente la vita di una persona. Non solo in termini di opportunità lavorative, ma anche per quanto riguarda le reti sociali, le abitudini, la qualità e la durata della vita. Proprio perché l’educazione che riceviamo è così importante, dobbiamo impegnarci per garantire a tutti accesso ai gradi superiori di istruzione, senza che gli altri fattori sociali ed economici siano d’ostacolo ad una mente volenterosa.

 

Fonti e risorse:

– Mackenbach J. P. et al. (2008), Socioeconomic Inequalities in Health in 22 European Countries

– Van Baal P. et al. (2016), Forecasting differences in life expectancy by education

– Hummer R. A.  and Hernandez E. M. (2013), The Effect of Educational Attainment on Adult Mortality in the United States

 

Immagine tratta da Google Immagini

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