Learning by doing: John Dewey alle prese con l’educazione

John Dewey (1859-1952) è stato indubbiamente uno dei più importanti esponenti del pragmatismo americano del ‘900 e all’interno della sua riflessione ha dedicato al tema dell’educazione alcuni scritti divenuti capitali per lo sviluppo della pedagogia contemporanea. In questa sede ricordiamo: Democrazia ed educazione (1916), Esperienza ed educazione (1938) e infine Educazione oggi (1940).

Non capiremmo nulla dell’innovativa proposta formulata da Dewey in queste opere, se non ci soffermassimo un attimo sul concetto intorno cui si sviluppa l’intero sistema del nostro filosofo, e del pragmatismo più in generale, ossia quello di esperienza.

Che cosa significa fare esperienza di qualcosa? Va innanzi tutto sottolineato che l’uomo stesso-afferma Dewey- è in realtà sostanzialmente null’altro che un fascio continuo di esperienze: nel momento in cui veniamo alla vita il nostro corpo intraprende infatti un’interrotta relazione sia con l’ambiente naturale che con quello sociale in cui è immerso e ne subisce ogni tipo di pressione possibile. La nostra unità psicofisica di “mente-corpo” è dunque continuamente chiamata ad ‘adattarsi’ alle condizioni che le vengono imposte tanto dall’orizzonte naturale in cui si trova quanto dalle relazioni sociali di cui in fondo consiste; la risposta che l’uomo trova a tutte queste pressioni esterne, nel tentativo di raggiungere una propria condizione di stabilità e di felicità, genera dunque un primo livello di ciò che noi chiamiamo esperienza.

Inoltre l’attività stessa del pensiero, cui il nostro filosofo si riferisce con la denominazione di strumentalismo, è in sé un agire: pensare infatti per Dewey significa, una volta colto uno stimolo esterno o avvertita una difficoltà che ci impedisce di compiere qualche azione, trovare la via più adatta per riuscire a perseguire il nostro intento. Il pensiero dunque, lungi dall’essere un’attività teoretico-contemplativa fine a se stessa, nasce dall’esperienza ed è finalizzato all’azione (cfr. Logica, teoria dell’indagine).

Al cuore di tutto sta dunque l’esperienza, tuttavia essa non è un qualcosa che semplicemente ci accade e che dobbiamo limitarci a subire passivamente; al contrario, essa va formata criticamente e consapevolmente attraverso una vera e propria educazione.

Un modello scolastico efficace non dovrebbe allora essere proprio quello che educa all’esperienza?

Per riuscire in questo intento, occorre prima di tutto che la scuola venga intesa, più che come un’anonima istituzione, come una reale e viva comunità di persone, a cui il bambino desideri partecipare attivamente e spontaneamente. All’interno di questa comunità -sottolinea Dewey- l’unico modo possibile per apprendere veramente è learning by doing (imparare facendo): nasce quel modello di “scuola attiva” in cui l’insegnamento non viene subito passivamente attraverso la ricezione di nozioni mnemoniche, esso è piuttosto il risultato dell’attività volontaria del bambino, tutto dedito a lavori che rispondano ai suoi interessi e alle sue scelte.

In concreto, dopo essere riuscito ad aprire la propria “scuola-laboratorio” presso il dipartimento di Pedagogia dell’Università di Chicago, il nostro filosofo fece in modo che i bambini potessero cucinare, coltivare l’orto, preparare manufatti e le stesse materie tradizionali (dallo studio della propria lingua e della matematica, allo studio della storia e della geografia) venivano insegnate a partire dalle questioni e dagli interessi concreti dei bambini che nascevano a partire dalla loro attività ‘lavorativa’.

Le convinzioni profonde che animano la proposta di Dewey sono dunque: 1) l’esigenza di porre i fanciulli a contatto con le varie e complesse forma di esperienza fin dai primi anni, 2) spingere gli stessi a porsi problemi concernenti la lingua (per esempio, attribuire i giusti nomi ai diversi oggetti che utilizzano) o il conto (per esempio, domandarsi quante unità di un determinato elemento occorrano per potare a termine un certo progetto) a partire proprio dal lavoro che svolgono e infine 3) far sì che gli educatori si limitino a suscitare nei fanciulli i giusti interessi, a fornire loro i materiali e a guidarli nella realizzazione dei loro lavori.

In questo particolare contesto scolastico tratteggiato da Dewey, in cui la passione per il sapere e la ricerca viene quindi suscitato a partire da un’attività che gli stessi studenti liberamente e piacevolmente svolgono, i bambini apprendono anche l’arte della vita comunitaria. È infatti in questo contesto -rimarca il nostro filosofo- che si imparano le regole della vita democratica e quindi, a ben guardare, è da quanto accade in questi anni cruciali che dipende il futuro della vita politica del nostro paese.

A conclusione di questa rapida presentazione di un pensiero estremamente ricco ed ancora tutto da scoprire come quello di J. Dewey, si impone la seguente conclusione: se non ci decidiamo all’interno dei nostri programmi scolastici a dare il giusto peso all’esperienza, applicando conseguentemente -per quanto possibile- la formula learning by doing, non riusciremo mai ad ottenere veramente da parte degli studenti quell’impulso libero spontaneo e piacevole alla ricerca del sapere reso possibile solo dalla traduzione in atto della ‘formula’ del filosofo americano.

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