E chi ci crede alla scienza?

In ogni epoca storica, l’uomo è stato affascinato da spiegazioni magiche ed esoteriche di fenomeni naturali, dall’influenza degli astri e delle maree sulla vita di tutti i giorni e dalle cosiddette teorie del complotto. Non ci meravigliamo che in passato fosse così; d’altronde, mancavano (se non a pochi fortunati) il tempo, i mezzi e le stesse conoscenze per ottenere spiegazioni alternative e più scientifiche. Forse ci stupisce però che anche oggi queste teorie potremmo dire fantasiose spopolino e, anzi, diventino addirittura di tendenza. Come è possibile che questo succeda nel 2018, quando sostanzialmente ognuno di noi porta in tasca tutto lo scibile umano, a portata di click?

Una possibile (forse addirittura plausibile) spiegazione è che il nostro cervello non sia evolutivamente programmato per ampliare le proprie conoscenze utilizzando il metodo scientifico, ma piuttosto prestando fede ad un qualcosa di più immediato e più vicino alla nostra esperienza. La ricerca scientifica per come la intendiamo oggi è un qualcosa di fortemente estraniante; richiede la collaborazione di esperti, il consenso di studiosi, la raccolta di prove dall’osservazione del mondo naturale e dalla sperimentazione, per vedere se è possibile contraddire l’ipotesi precedentemente formulata oppure se questa supera il test e può ascendere all’Olimpo delle verità scientifiche.

C’è da dire che, un po’ come le divinità dei Greci antichi, le verità sul trono ci rimangono poco. Ciascuna viene presto abbattuta, sostituita, divorata dalla successiva “più vera” verità. Questo in generale ci va poco a genio. Noi esseri umani siamo sempre alla ricerca di qualcosa di assoluto, di immutabile, e questo susseguirsi di verità parziali e frammentarie non può che darci un po’ di fastidio. Spesso è anche per questo motivo che qualcuno smette di credere nella scienza.

Ma il principale motivo di sfiducia resta il fatto che la verità scientifica non è mai immediata, spesso non viene compresa, o per mancanza di basi o perché troppo faticosa, e presto sfigura rispetto ad un’alternativa che è invece immediatissima e subito afferrabile: l’aneddoto. L’aneddoto è molto più comprensibile, molto più vicino a noi rispetto ad un anonimo studio statistico, e soprattutto colpisce nel segno della nostra emotività, della parte meno razionale di noi, che ha poi un ruolo importantissimo nel selezionare quali informazioni siano significative e quindi degne di attenzione.

Vedendo un suo simile morire dopo aver mangiato una bacca sconosciuta, un nostro antenato di molti anni fa avrebbe immediatamente considerato la bacca velenosa, e non l’avrebbe certo mangiata. Questo modo di pensare evolutivamente ha un senso, e ci ha sicuramente salvati più volte dall’estinzione; tuttavia non prende in considerazione che l’uomo che ha mangiato la bacca potrebbe essere morto in realtà per un milione di motivi differenti, e l’associazione temporale con l’ingestione della bacca potrebbe essere frutto di una pura casualità. In tal caso l’uomo che osservava la scena avrebbe considerato velenosa una bacca commestibile; poco male. Problemi simili ma più impattanti sulla società si hanno anche oggi (l’esempio dei vaccini è quasi scontato).

In tasca, oltre allo scibile umano, ci portiamo uno strumento che è perfetto per condividere aneddoti. Il web è uno strano paradiso la cui porta è lo schermo touch del nostro smartphone, ed è stracolmo di siti e blog su cui la gente racconta le proprie disgrazie, le proprie osservazioni personali o strampalati metodi di cura che sembrano funzionare come una panacea. E se non si conosce tutto il lavoro che sta dietro ad uno studio scientifico, questo repertorio di aneddotica è terribilmente credibile, molto più tangibile e più afferrabile di lunghi articoli scientifici in inglese o di incomprensibili tabelle piene di numeri.

Nella lettura dei dati dobbiamo fare i conti con la nostra emotività, che è una parte fondamentale dell’essere umani, e che spesso ci indica la via giusta, ma che qualche volta, specie quando diamo ascolto all’aneddotica, può portarci fuori strada. Quando qualcosa ci è molto vicino emotivamente, tendiamo a vederlo più grande, in una sorta di prospettiva emozionale.

Probabilmente non potremo mai conoscere la Verità come unica, indivisibile, o come la postulavano i filosofi, antichi ma il metodo scientifico è il modo migliore che abbiamo, al momento, per avvicinarci ad essa. Le verità scientifiche sono sempre un work in progress, ma sono il risultato di uno sforzo ampio e condiviso e sono certo più affidabili di un’incoerente collezione di aneddoti.

 

Fonti:

https://www.robertniles.com/2017/dont-believe-science/
https://www.motherjones.com/politics/2011/04/denial-science-chris-mooney/
https://motherjones.com/wp-content/uploads/emotional_dog_and_rational_tail.pdf
https://ilbolive.unipd.it/it/news/tentazione-complotto

 

Immagine tratta da Google Immagini

 

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