La povertà ha cause strutturali, chi intende debellarla non può ignorarle. Una di queste è l’inadeguata istruzione. Questo è il messaggio del World Bank report 2018. Il report, un insieme di considerazioni a partire dalla raccolta di dati sul livello di scolarizzazione e conoscenze di bambini e ragazzi in giro per il mondo, mostra una profonda crisi, definita crisi dell’apprendimento, nei Paesi a reddito medio e basso. Il report mostra l’assenza di correlazione – ed è questo il fattore critico – tra la scolarizzazione, ossia l’accesso all’istruzione, e le conoscenze e abilità effettivamente possedute dagli studenti.
Nonostante negli ultimi cinquant’anni il livello di scolarizzazione dell’istruzione di base nei paesi poveri sia aumentato fino a raggiungere all’incirca le percentuali dei paesi più ricchi del mondo, i numeri mostrano che questi dati potrebbe essere solo la facciata di una realtà che da vicino appare invece molto diversa. Ad esempio, in Sud Africa il 27% dei dodicenni che frequentano regolarmente la scuola risulta incapace di leggere o scrivere, in Zambia gli stessi dati raggiungono il 44% (Hungi and others 2010).
Com’è facile immaginare, ad essere più colpite da questo fenomeno sono le fasce più povere delle popolazione, le minoranze, chi abita in zone rurali e il sesso femminile. Le cause sono molte: sotto la pressione internazionale molti dei Paesi poveri hanno aumentato ad ogni costo il grado di scolarizzazione tralasciando però componenti importanti, ma statisticamente meno appariscenti, come la scarsa motivazione e preparazione dei professori o il piccolo numero di scuole rispetto al numero di studenti, che porta ad avere classi sovraffollate in cui insegnare efficacemente risulta impossibile.
Oltre a ciò, vanno considerati fattori che esulano dal controllo dello Stato e sono legati strettamente alla dimensione socioeconomica da cui provengono gli studenti. E’ un segreto di Pulcinella il fatto che nelle famiglie più povere i genitori possano dedicare meno tempo e attenzioni al buon sviluppo delle capacità cognitive, emozionali ed affettive dei bambini. In particolare, ciò ha risvolti problematici per quanto riguarda l’educazione prescolastica, tradizionalmente affidata ai nuclei familiari e allo stesso tempo fattore determinante dei futuri risultati scolastici dello studente.
È in età prescolastica che i nostri cervelli sono maggiormente plastici e malleabili, la formazione di nuove sinapsi dipende in gran parte dalle esperienze che viviamo. Di conseguenza maggiormente ricettivi degli stimoli ambientali, siano essi positivi o negativi per la nostra futura educazione scolastica. Forti stress emotivi causano il rilascio di cortisolo, un ormone che è associato ad una minor capacità di trattenere informazioni e ad una concentrazione ridotta. Le differenze nelle capacità cognitive tra bambini cresciuti in classi sociali più elevate e quindi, tendenzialmente, in ambienti meno stressanti e i bambini provenienti da famiglie povere, sono evidenti già prima del primo compleanno, e con il tempo la differenza tende ad aumentare a causa di loop virtuosi per i primi e viziosi per i secondi.
Il report quindi indica che andare a scuola non basta. Ma quali sono le soluzioni che propone? Problemi sfaccettati richiedono soluzioni complesse, di conseguenza il report insiste sulla necessità affrontare il problema sotto diverse angolazioni. Risulta fondamentale creare ambienti educativi che ottimizzino le possibilità di apprendimento degli studenti, sia migliorando la gestione delle scuole che incentivando e promuovendo gli studenti più meritevoli con borse di studio e grants. Ottenere questo scopo è possibile non solo migliorando la preparazione degli insegnanti e sensibilizzandoli in merito a strategie educative più solide ed efficaci, ma mettendo al centro prima di tutto il rapporto studente-insegnante.
Tuttavia le soluzioni proposte dal report non appaiono all’altezza dei problemi che esso stesso solleva: la diseguaglianza provoca diseguaglianza, soluzioni che non guardano in faccia questo problema rischiano di portare a statistiche illusorie come quelle denunciate dallo stesso report.