Quello dell’immunità di gregge è un tema ormai sulla bocca di tutti, specialmente in questi tempi in cui i movimenti no-vax spopolano, le coperture vaccinali calano e vengono approvate nuove leggi per cercare di arginare il problema. Ci sono però alcuni aspetti dell’argomento su cui spesso si sorvola, e su cui vorrei provare a soffermarmi. Ma iniziamo definendo ciò di cui stiamo parlando.
L’immunità di gregge è quel fenomeno per cui se in una popolazione una percentuale sufficiente di soggetti è immune all’infezione da parte di un certo agente patogeno, questo agente patogeno non sarà più in grado di circolare nemmeno in quella piccola percentuale di popolazione che non è immune, che non potrà quindi essere infettata. La percentuale di soggetti che deve essere vaccinata per ottenere questo effetto può essere calcolata con una certa precisione per ogni malattia infettiva.
Le vaccinazioni sono tra i farmaci più sicuri al mondo, e questo perché devono essere somministrate ad individui sani, che non ricevono un beneficio immediato quando vengono vaccinati. Il rischio della somministrazione di un vaccino deve essere vicino allo zero, per poter equilibrare un beneficio di cui l’individuo non gode nell’immediato (come ad esempio quando si prende un antibiotico), ma negli anni successivi.
Nonostante questo, nei Paesi Occidentali e in particolare in Italia si stanno ampliando sempre più le schiere di chi contesta l’obbligatorietà vaccinale e rivendica un diritto di scelta personale in questo campo. Non che si tratti di qualcosa di nuovo; già dall’invenzione del primo vaccino da parte del medico inglese Edward Jenner, questa neonata tecnica di prevenzione non sfuggiva a critiche e timori.
Al giorno d’oggi tuttavia questo avviene specialmente nei Paesi Occidentali, dove le malattie per le quali esiste un vaccino sono divenute ormai una rarità, e non fanno più paura; in Paesi in via di sviluppo, o dove comunque malattie come la poliomelite sono ancora endemiche, questi movimenti e associazioni non esistono, perché le persone hanno quotidianamente davanti ai propri occhi la tragedia della malattia. In questi Paesi, i vaccini non sempre sono disponibili e anche per questo non vengono dati per scontato. In Italia invece, non vedendo queste patologie da qualche anno, ci siamo dimenticati il dolore e la paura delle stesse, e forse ci sentiamo forti e quasi invincibili nei loro confronti. Ma non lo siamo. Se smettiamo di vaccinarci, queste malattie possono tornare, e torneranno.
Un’altra questione è che ci sono degli individui che per vari motivi (in genere legati ad una compromissione del sistema immunitario) non possono essere vaccinati, e che quindi dipendono unicamente dall’immunità di gregge per quanto riguarda la loro protezione da diverse malattie infettive.
Queste persone, per le quali la vaccinazione è controindicata, sono molte di più rispetto al passato, e sono destinate ad aumentare con i progressi della medicina, che permettono una lunga sopravvivenza di pazienti immunodepressi, che hanno ad esempio problemi oncologici o che hanno subito un trapianto d’organo. Ciò significa che è necessario vaccinare tutti i bambini in buona salute perché altri bambini, già fragili, siano protetti.
Questo è uno degli aspetti che vorrei sottolineare: vaccinare i propri figli è innanzitutto un atto di grande solidarietà. Una solidarietà che poi ci costa molto poco, dato che dà un vantaggio prima di tutto a chi il vaccino lo riceve; ma una solidarietà che è comunque segno di civiltà. Per questo motivo, una scelta personale in questo campo non è un valore aggiunto o una meraviglia della democrazia, ma un grande problema di cui la politica si deve occupare, perché è fondamentale che uno Stato si prenda cura dei propri cittadini, in particolare dei più deboli, come coloro che non possono ricevere le vaccinazioni.
Articoli per approfondire:
– C.J.E. Metcalf et al., Understanding Herd Immunity (2015)
– Rashid H. et al., Vaccination and herd immunity: what more do we know? (2012)
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