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Education -from- around. Interviste dal mondo #Ilana

Mi chiamo Ilana, ho 21 anni. Sono studentessa nel master di médiation et études visuelles a Tolosa. Ho scelto questa magistrale perché ho sempre voluto lavorare nell’ambito artistico, è per me importante. Non avendo il talento né la fiducia necessari per essere io stessa artista, ho preferito rivolgermi alla mediazione culturale. Sono molto curiosa, mi piace scoprire nuove tecniche, nuovi artisti, nuove storie e desidero trasmettere questa passione mettendo a disposizione tutti gli strumenti necessari perché il maggior numero possibile di persone abbia accesso alla cultura. È un ambito troppo spesso trascurato (come possiamo vedere in questo momento), nonostante sia pieno di spunti e possa permettere alle persone di scoprirsi. Non voglio solamente mostrare delle opere ma ispirare coloro che le vedono e spingerli ad agire.

La mia esperienza all’università è molto formativa. Imparo alcune cose che sicuramente non avrei mai esplorato da sola. Scopro nuove passioni a partire dai tempi del liceo. Ho cominciato a seguire l’opzione “teatro” in seconda superiore e questo mi ha guidata in tutte le mie scelte successive. Questa scoperta è stata importante per la continuazione del mio percorso scolastico. Nella mia famiglia non si va al museo: ho dovuto costruirmi la mia cultura autonomamente. Grazie al teatro e alla letteratura, un nuovo mondo si è aperto davanti a me. In seguito, ho frequentato una triennale in filosofia, per passione e curiosità. Poi, pian piano, il mio progetto ha preso forma da solo e la scelta di mediazione culturale è venuta da sé. Sono dunque molto felice di frequentare questa magistrale e di potermi formare al fine di esercitare in futuro la professione di mediatrice culturale.

Nella vita quotidiana, cerco costantemente di vedere mostre, di andare al cinema, di prender parte ad attività relative alla cultura, perché tutto questo è parte della mia formazione. In questo momento ovviamente non è così facile, date le chiusure e l’impossibilità di creare assembramenti. La mia magistrale perde un po’ il suo senso in questo contesto ma c’è sempre altro da scoprire, ad esempio attraverso le risorse digitali.

Sono totalmente a favore degli scambi internazionali, che permettono di scoprire se stessi e gli altri. Penso che sia molto importante nello sviluppo personale stare a contatto con l’ignoto, come è possibile sperimentare in Erasmus. Si esce dalla propria zona di comfort, il che cambia la visione delle relazioni in seguito.

Ho svolto un Erasmus di un semestre a Torino. È stata un’esperienza molto interessante. Come ho già detto, questo mi ha permesso di uscire dalla mia zona di comfort e soprattutto di socializzare in modo diverso. In Erasmus c’è una sorta di urgenza e soprattutto di bisogno vitale di creare connessioni con gli altri. Si è molto meno timidi, si osa più facilmente, è questo è rivelatore del nostro modo di vedere gli altri. È una buona lezione da portare nel bagaglio e da mettere in pratica nel proprio Paese. In Italia sono uscita molto con gli altri studenti stranieri, avevamo formato una solida comunità. Tutti propongono attività, si tenta di vivere a fondo l’esperienza tutti insieme. Non sono invece riuscita a parlare molto con gli italiani, senz’altro perché questi ultimi sono nella loro zona di comfort e non vedono le cose come noi. Ho potuto trovare riscontro di ciò al mio ritorno in Francia: gli studenti Erasmus sono più timidi nei confronti degli studenti del Paese ospitante. C’è la barriera linguistica e, inoltre, ci si introduce in un gruppo in cui gli altri si conoscono: può intimidire.

Durante la prima quarantena di marzo 2020, l’università di Grenoble è stata presa alla sprovvista, come noi, e non ha gestito la situazione al meglio. Avevamo i corsi in formato PDF e qualche professore ha proposto dei forum per permetterci di porre le nostre domande. Non è il miglior metodo per accompagnare gli studenti nel loro apprendimento. Siamo stati lasciati a noi stessi per seguire i corsi. D’altro canto, a livello di sostegno psicologico, l’università è stata molto presente e si è dimostrata attenta alla nostra situazione. Inoltre, per il materiale informatico, sono state proposte numerose soluzioni per chi si trovasse in difficoltà. Per quanto riguarda quest’anno di magistrale, i docenti dell’università di Tolosa si assicurano di avere sempre notizie da parte nostra. Hanno organizzato delle riunioni in telematica in modo che potessimo condividere difficoltà e aspetti da migliorare. Sono molto attenti e si preoccupano per noi. Penso che siamo arrivati a un punto in cui la solitudine si fa sentire e che sia necessario formare un gruppo per sostenersi a vicenda. La comunità studentesca dovrebbe vivere, ricrearsi durante questa pandemia. Gli studenti che frequentano uno stesso anno sono tutti nella stessa barca, è in questo gruppo che dovremmo poter trovare conforto. Occorre mettere in atto iniziative per incontrarsi, parlarsi, ascoltarsi.

Penso che le comunità studentesche giochino un ruolo importante in questi tempi. Nei Paesi Bassi, le comunità studentesche sono molto considerati, sia per i singoli corsi o dipartimenti sia per attività ricreative. Sono entrata a far parte di un’associazione sportiva che offre attività online o “corona-proof” che mi hanno aiutato a sentirmi a mio agio nella nuova città.

Ritengo che il tipo di iniziativa da voi proposta possa giocare un ruolo importante nel contesto pandemico. Questa permette infatti di fare il punto su se stessi, riorientarsi e fare un passo indietro. È quello di cui abbiamo tutti bisogno in questo momento. Ovviamente non gestiamo tutti questa crisi con successo, ma siamo nel mezzo di una situazione totalmente inedita e bisogna quindi aiutarsi. E spero, infine, che si organizzeranno movimenti e altre iniziative che re-incanteranno la nostra quotidianità, permettendoci così di portare qualcosa di positivo a tutti.


Ringraziamo Cecilia Bona, studentessa di Scienze Filosofiche presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, per la traduzione dell’intervista.

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