QS Ranking 2019 – Le migliori università del mondo: e l’Italia?

World ranking università

È stato pubblicato 3 giorni fa il ranking annuale della QS, il più importante e riconosciuto ranking universitario internazionale. Come spiegato nella nostra guida, 5 sono i criteri considerati: reputazione accademica (40%), reputazione tra i datori di lavoro (10%), rapporto numerico professori/studenti (20%), numero di citazioni per professore (20%) e numero di professori e studenti internazionali (10%). Nessuna variazione sostanziale nella top 10, dove il podio resta tutto americano: MIT, Standord e Harvard. A seguire, CalTech (USA), Oxford e Cambridge (UK) a posizioni invertite rispetto al 2018, ETH Zurich (Svizzera), Imperial College (UK), Chicago (USA) e University College London (UK). Si può dire che anche tra le altre universtà di primissima fascia (top 50) i cambiamenti sono minimi, con forse l’unica eccezione di Johns Hopkins, Duke e King’s College che perdono rispettivamente 4, 5 e 8 posizioni.

Delle 30 università italiane considerate, ben 21 migliorano la loro posizione e tanto basta per reclamare il successo, omettendo però che 22 di queste 30 restano oltre la 400esima posizione. Nella top 200, che viene informalmente considerata la fascia di qualità garantita, ovvero il livello da raggiungere per avere un qualche appeal internazionale, l’Italia piazza quattro università. Due sono la Normale e la Sant’Anna di Pisa, che tecnicamente università non sono e che difficilmente possono essere comparate ad altri istituti in classifica, ammettendo poche decine di studenti ogni anno. Le altre due sono Bologna e Politecnico di Milano. Bologna (#180) guadagna 8 posizioni sull’anno scorso e torna ai livelli 2015. Eppure non è un risultato stellare, se si considera l’importanza percepita del brand Unibo all’estero. Ed infatti, il punteggio di reputazione accademica dell’università (72.1/100) è paragonabile a quello di università indicativamente cento (100!) posizioni più in alto nella classifica. Ovvero: secondo i professori di tutto il mondo, l’Alma Mater è un’università da top100 senza se e senza ma. Allora Perchè fatica a stare in top200? Un rapporto numerico bassissimo tra professori e studenti (7.2), un numero molto basso di professori e studenti internazionali (10.5 e 14.6) e un’ employers reputation sicuramente non ottimale (49.6). Quindi, problema di fondi, internazionalizzazione ed interfaccia con il mondo del lavoro. Gli ultimi due problemi citati sono sostanzialmente i due cavalli di battaglia di questo blog, i due aspetti su cui si cerca, nel nostro piccolo, di sensibilizzare pubblico ed istituzioni, perchè da lì deve partire il rilancio di un sistema universitario che fatica a tenere il passo. Un sistema universitario la cui punta di diamante, il Politecnico di Milano, è ferma al 156esimo posto mondiale. Sicuramente un ottimo lavoro, considerando la crescita costante che ha visto il PoliMi guadagnare quasi 100 posizioni dal 2012 ad oggi. Ma si tratta di un risultato “lusinghiero”, come scrive Corrado Zunino su Repubblica, in quanto i finanziamenti delle università private anglosassoni non sono per noi raggiungibili? Permetteteci di dissentire.

Innanzitutto, 5 università su 10 in top10 sono pubbliche, come lo sono una buona parte di quelle anglosassoni in top50. Si dirà: “saranno anche pubbliche, ma hanno rette dalle 10 alle 40 volte superiori a quelle pubbliche italiane!”. Vero, ed infatti non crediamo, in Education Around, che quello sia il modello da imitare. No, il risultato per quanto buono non è lusinghiero perchè l’Italia perde terreno nei confronti di quei sistemi universitari in cui la frequenza è gratuita o semi-gratuita eppure si tengono sistematicamente posizioni di prima fascia in classifica. Qualche esempio. In Germania, 8 università più in alto del PoliMi: TU Munich (#61), LMU Munchen (#62), Heidelberg (#64), KIT (#116), Berlino Humboldt (#121), Berlino Freie (#130), RWTH Aachen (#144) e TU Berlin (#147). Altre 3 (su 5) in Danimarca: Copenhagen (#79), TU Denmark (#112) e Aarhus (#141). Sette in Olanda: Delft (#52), competitor diretto del nostro Politecnico, Amsterdam (#57), Eindhoven Tech (#99), Groningen (#120), Leiden (#122), Utrecht (#124), Wageningen (#125). Quattro in Svezia: Lund (#92), KTH (#104), Uppsala (#117) e Chalmers Tech (#128).

Il punto è: bisogna finirla con l’alibi secondo cui l’università o è costosissima oppure fa quel che può e va bene così. Delle 22 università citate sopra, tutte pubbliche e tutte gratuite o quasi, solo una manciata (quattro o cinque) sono università storiche. Tutte le altre sono progetti molto recenti, senza quindi tradizione e senza una grande risonanza all’interno del mondo accademico. Eppure, grazie a seri piani di investimento pubblico, sviluppo, internazionalizzazione e innovazione oggi sono lì, a marcare la classifica senza dominarla ma con costanza e solidità. Hanno tutte, le università menzionate, corsi graduate (magistrali) quasi solo in inglese, hanno tutte stretti processi di selezione e una notevole indipendenza ed autonomia nella pianificazione strategica. Noi non abbiamo dubbi sul fatto che questo sia l’esempio da seguire per l’università italiana, che pure potrebbe costruire questo grande progetto sulle fondamenta di una grande tradizione millenaria, e non dover esultare per un centocinquantesimo posto isolato, con il resto del sistema che arranca.

 

Fonte:

https://www.topuniversities.com/university-rankings/world-university-rankings/2019

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