Di Emanuele Lepore
In questo breve articolo ci proponiamo di iniziare a riflettere su una delle parole che ci sembrano più importanti, e al contempo più oscure, del linguaggio politico contemporaneo: populismo. Come per le parole che hanno maggiore risonanza politica, è difficile individuare un significato univoco da associale alla parola populismo ma possiamo, pur se con cautela, individuare almeno un’area semantica precisa: quella dei bisogni.
Sapere interpretare i bisogni delle persone è una delle caratteristiche fondamentali di ogni leader politico. In certo senso, se alla politica in generale è richiesto di predisporre la struttura entro cui i bisogni dei singoli si armonizzano reciprocamente e trovano risposta, al leader è chiesto di tradurre tali bisogni in un linguaggio nuovo: il succo della comunicazione è che c’è una sola forza politica, tra le tante in gioco sullo scacchiere di un paese, capace di restituire alle persone ciò che esse chiedono.
Fin qui niente di strano: il nesso tra politica e comunicazione è uno dei temi più studiati dai maggiori pensatori, lungo tutto l’arco della storia politica dell’umanità. Non c’è dunque da stupirsi se, nell’epoca delle comunicazioni veloci e digitalizzate, anche le maggiori operazioni politiche passino per i social e per i loro linguaggi specifici.
Da qualche anno, tuttavia, in tutta Europa e soprattutto in Italia si fa un gran parlare di populismo e non è raro che questa parola venga utilizzata, nello scambio pubblico tra forze politiche diverse, con reciproco disprezzo. Si tratta indubbiamente di una delle parole più importanti e urgenti da comprendere, in questo frangente di trasformazione globale: non a caso, un buon numero di centri di ricerca, in diversi paesi europei, stanno cercando di indirizzare verso questo tema l’attenzione dei loro studiosi.
In apertura abbiamo indicato nell’area semantica dei bisogni il dominio del populismo. Subito dopo, abbiamo affermato che la politica di per sé ha a che fare con i bisogni dei cittadini. Sembrerebbe dunque trarre sillogisticamente la conclusione che la politica è di per sé populismo, o almeno una delle sue forme principali: niente di più falso, a ben vedere.
C’è un discrimine preciso tra la politica e il populismo e consiste in un tratto fondamentale che segna la postura politica delle forze populiste e dei loro leader: avere a che fare con i bisogni dei cittadini come se si sapesse meglio di loro ciò di cui hanno bisogno, quando ne hanno bisogno. Questo tratto specifico fa di una simile postura qualcosa di eccezionalmente deteriore: insozza l’azione e il discorso politico e, in certa misura, produce un sensibile deterioramento della società che ad essa presta ascolto e credito.
In frangenti economicamente e politicamente complessi, non c’è niente di più dannoso che sostituirsi ai cittadini, che dovrebbero essere sempre considerati come gli attori economici e politici effettivi, nel difficile compito di fronteggiare i propri bisogni ed elaborare richieste coerenti. Se si smette di durare la fatica di comporre gli interessi singolari per formulare richieste economiche e politiche coerenti, si finisce per non essere più in grado di superare la propria individualità in senso comunitario e, assai più radicalmente, per non essere più in grado di discernere tra ciò di cui si ha bisogno e ciò che è superfluo e, in una misura che andrebbe indagata di volta in volta, dannoso.
Per concludere questo primo giro di considerazioni, riteniamo che il populismo sia una delle forme peggiori di politica perché si rivolge ai cittadini come a individui incapaci di andare oltre il proprio ombelico che, ben lungi dal sapere ciò di cui hanno bisogno, non riescono a fare corpo sociale e ad assumere un peso politico specifico: si rivolge ai cittadini come a una massa informe e incosciente che, in fondo, ha solo bisogno di essere governata con forza. Varrà la pena di tornare ancora sul tema, per chiedersi in che modo questo modo di considerare i cittadini influisca sulla possibilità, da parte di questi ultimi, di avanzare richieste di diritti e, più radicalmente, di autonomia. Nel prossimo articolo, dunque, ci chiederemo in che modo sia possibile educare a riconoscere e fronteggiare liberamente i diversi populismi.
Immagine di copertina: Mussolini a Trieste, tratta da Google Immagini (Attilio Tamaro, Venti anni di storia – 1922-1943. Editrice Tiber, Roma, 1953).