Di Emanuele Lepore
Scorrendo gli ultimi post apparsi sulla mia home page di Facebook, alcuni giorni fa mi sono imbattuto in una domanda: Has Religion Been a Good Thing for Humanity[1]? La religione è una cosa buona per l’umanità? Si tratta di una delle domande che tutti, prima o poi, in maniera diversa ci siamo posti. Riformulo la domanda, dandole un taglio più specifico e in linea con la mission del nostro blog: insegnare religione a scuola è una buona cosa?
Non è una domanda di per sé religiosa ma pedagogica, perché dal momento in cui i nostri istituti di formazione devono essere in grado di offrire la migliore istruzione possibile, è d’obbligo interrogarsi senza sconti né pregiudizi (sine ira et studio, avrebbe detto qualcuno) sull’utilità degli insegnamenti previsti nei Piani dell’Offerta Formativa.
Per rispondere, occorere dare una definizione di ‘religione’, minima ed elementare affinché possa valere per il maggior numero possibile di casi in cui il linguaggio ordinario usa questa parola, se non per tutti; e possa aiutare, quando non vale, a fare chiarezza sulle ragioni per cui occorrerebbe utilizzare un’altra parola.
Definiamo dunque la religione come un sistema di credenze e di valori, in forza del quale la persona religiosa orienta le proprie pratiche. Verrebbe da pensare che la risposta sia già a portata di mano: se la religione è una questione che riguarda l’individuo, non c’è bisogno di insegnarla a scuola, facendo violenza a chi non ha una sensibilità religiosa. Si tratta di credenze individuali che danno sostegno a pratiche individuali.
Se così fosse, la partita sarebbe veramente chiusa; ma ci sono due punti profondamente errati nella posizione appena esposta, che è la principale critica che si suole indirizzare alla religione e al suo insegnamento nelle scuole.
Il primo errore è che non esistono credenze, valori e pratiche solamente individuali: siamo persone, siamo naturalmente posti dinnanzi all’altro-da-noi con cui comunichiamo (l’altro può essere una persona o, in senso molto ampio, il mondo in cui viviamo). L’individuo, pensando con un minimo di rigore, non esiste: cosa saremmo senza l’incalcolabile numero di relazioni che viviamo? Cosa saremmo senza la nostra capacità di dialogo, nelle diverse forme in cui diamo ad essa corpo?
Il secondo è che la religione non è solo un sistema di credenze e di valori a cui le persone si riferiscono nel corso della loro esistenza: la religione crede in una persona a fondamento di tale credenza, una persona divina a cui dà un nome. La differenza specifica della religione rispetto ad altre forme di credenze e valori organizzati in narrazioni coerenti, com’è la cultura, sta proprio nella relazione che riconosce a fondamento del mondo, che caratterizza come una relazione tra l’umano e il divino.
In forza di questi due punti, mi pare ragionevole tornare alla domanda d’apertura e rispondere che l’insegnamento di religione nelle scuole va mantenuto e, di più, va potenziato per due ragioni: anzitutto perché ignorare le religioni impedisce di comprendere secoli di storia e di cultura artistica e letteraria, oltre che alcuni importanti fenomeni politici contemporanei (si pensi a M.Weber (1901), L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, in cui si riconosce una dipendenza del secondo dal primo). Andrebbe quindi potenziato arricchendo il programma annuale con più contenuti, meglio proposti: ora più che mai abbiamo bisogno che i nostri studenti accettino la sfida di pensare seriamente la pluralità e le differenze specifiche dei modi in cui l’umanità sta al mondo, senza arretrare accettando soluzioni di comodo, che spesso sono le più violente.
D’altro canto – ecco la seconda ragione–, da più parti si sente dire che una delle più invasive malattie del nostro mondo è l’individualismo: avere a che fare con le religioni significa avere a che fare con popoli e culture che hanno fondato (e fondano tutt’ora) la propria esistenza sull’importanza essenziale di una relazione, non sulla propria chiusa e miope individualità. Che talvolta non siano stati in grado di agire all’altezza del proprio credo, poi, è qualcosa che richiede una discussione a sé.
Immagine di copertina:
[1] Il link rimanda alla relativa discussione sulla piattaforma Kialo.