Tintoretto è uno di noi

Al giorno d’oggi dove sempre più spesso ci si trova a lavorare al Mc Donald’s per l’alternanza scuola-lavoro, noi, della classe II A del Liceo classico “Franchetti” di Mestre, possiamo dire di essere stati fortunati a partecipare al progetto promosso dalla Diocesi Patriarcato di Venezia.

Quest’anno ricorre il cinquecentenario della probabile nascita dell’artista Tintoretto (si è incerti  fra la fine del 1518 oppure gli inizi del 1919), alcune classi dell’Istituto “Bruno Franchetti” sono state coinvolte nel progetto di recupero e rivalutazione delle opere del Maestro presenti a Venezia.

Dopo aver partecipato ad alcune lezioni di formazione tenute dalla dott.ssa Ester Brunet, docente in Belle Arti e tra i massimi esperti del Tintoretto, ci siamo interessati alle opere presenti sia nel Seminario Patriarcale di Venezia che alla Pinacoteca Manfrediniana.

L’artista, figlio di Battista Robusti un tintore di origini bergamasche, scelse di prendere il soprannome di Tintoretto dove si firmò nelle sue opere al posto di Jacopo Robusti. Questa scelta strategica fu dettata dalla volontà di sottolineare due aspetti principali dell’epoca ovvero la sua appartenenza alla classe borghese e i buoni rapporti che caratterizzavano il patriziato veneto con i valori civici della Serenissima.

Il suo talento emerse fin da giovane, infatti suo padre lo avviò alla carriera di pittore inserendolo nelle botteghe di artisti che lavoravano a Venezia, uno dei quali fu anche Tiziano. Un aneddoto particolarmente interessante ci viene fornito dalla tradizione popolare orale dove si dice che Tiziano vedendo la bravura del giovane Tintoretto nel dipingere, diventò geloso e lo cacciò dalla propria bottega.

Una volta diventato un artista affermato gli furono commissionate molte opere, in particolare da parte di ordini monastici. Questo è il caso del dipinto intitolato le “Nozze di Cana”, oggi conservato nella sacrestia della Basilica della Salute a Venezia.

Quest’opera era stata dipinta, originariamente, per il refettorio del monastero dei Crociferi, poi intorno al 1600 l’ordine si sciolse il dipinto fu acquisito dalla Repubblica di Venezia, che in quegli stessi anni stava sostenendo ingenti somme di denaro per difendersi dagli ottomani nella guerra di Candia e di conseguenza vendette il prestigioso dipinto.

Tuttavia, come spesso accade, le opere possono essere meglio apprezzate solo nel sito per cui sono state concepite dall’artista che, in questo caso, era pensato per la sala dove i frati si rifocillavano e riprende l’architettura della mensa. Tintoretto giocando con le prospettive dona alla stanza un’ulteriore grandezza proiettandola direttamente in una scena del Vangelo per l’appunto le Nozze di Cana di Galilea. Se da un lato le persone intorno al tavolo paiono quasi in posa, dall’altro gli inservienti imprimono energia alla composizione.

Tintoretto così inscena il primo miracolo di Cristo, inserendolo al contempo attraverso cenni che rievocano l’età contemporanea dell’artista ovvero il connubio dei sovrani spagnoli, inoltre aggiunge all’interno del quadro stesso il suo autoritratto.

In questi ultimi secoli diversi lavori di restauro hanno interessato l’opera, anche se non sempre hanno giovato alla visione e ai colori originali, sebbene ne abbiano permesso la conservazione fino ad oggi.

Di Matteo Arzenton, Carlo Caregnato, Giuseppe Ugo Mazzone, Filippo Spanio alunni della classe II A del Liceo classico Bruno Franchetti.
Immagine di copertina: Tintoretto, Le Nozze di Cana, 1561

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