Nel sistema universitario tedesco esistono due tipi di istruzione accademica: la tradizionale Università (Universität) e la cosiddetta “Scuola Alta” (Hochschule). Una traduzione vera e propria in italiano chiaramente non esiste, in quanto non vi è nulla di simile qui da noi.
Entrambe offrono corsi di Laurea Triennale (Bachelor) e di Magistrale (Master), ma solo nelle Università è possibile conseguire un Dottorato di Ricerca (PhD).
Qual è la sostanziale differenza tra i due sistemi accademici? Innanzitutto nelle Hochschule gli insegnanti hanno l’obbligo di aver lavorato almeno due anni al di fuori del mondo universitario prima di iniziare la carriera di professore e molti di loro portano avanti le due strade in parallelo. Nelle Università il funzionamento della carriera è invece molto simile a quello italiano, dove vengono premiati la ricerca in ambito accademico e il conseguimento di uno o più dottorati per poter insegnare.
Gli insegnanti dell’Hochschule devono quindi avere un trascorso in posizioni lavorative altamente qualificate all’interno di imprese o in ambito privato (liberi professionisti) e questo porta ad una figura di professore quanto mai distante dall’immaginario collettivo in Italia: il dinamismo, la partecipazione, la prassi legata alla teoria sono l’eccezione da noi, li invece la normalità.
In gran parte dei casi la realtà (soprattutto quella lavorativa) sembra un mondo distante, a se stante, e che quello che verrà invece richiesto in termini di competenze non sia poi così importante fintantoché si posseggono i massimi sistemi quando si parla di didattica in Italia e un discorso simile si può fare nelle Universität in Germania. Proprio per lo spiccato orientamento lavorativo del professore e della impostazione didattica, le Hochschule offrono invece un diverso approccio, un nuovo (almeno per il sistema italiano) punto di vista educativo che dovrebbe essere quantomeno studiato.
Decine di presentazioni, ricerche, team work, paper e progetti durante tutto il semestre: per uno studente italiano questo è uno shock culturale ed educativo non indifferente. Sono immediatamente chiari i pregi: dallo spazio per l’autonomia personale alla scoperta e attualizzazione del lavoro di gruppo, dalle continue sfide alla possibilità di mettersi sempre in gioco in classe con domande più o meno accattivanti.
Qui la partecipazione è imprescindibile, in parte grazie al numero ridotto di studenti per ogni classe e il diversissimo (molto più diretto e amichevole) rapporto con i professori, ma anche grazie ad una mentalità che prevede gli studenti attivamente coinvolti nel lavoro svolto, quasi come se essi siano insegnanti degli altri e di se stessi. Ogni contributo degli studenti è preso in considerazione, aggiunto alla spiegazione dal professore e visto come possibilità per tutti di imparare qualcosa di nuovo. Agli studenti viene riconosciuta la facoltà di provare, di tentare e di non avere paura di fallire, di dare la risposta sbagliata, di mettersi in gioco davanti agli altri.
Questo si tramuta negli anni in una maggiore consapevolezza di sé e delle proprie capacità, in una soddisfazione che va al di là dell’esame studiato dal libro e dagli appunti in cui le risposte sono preconfezionate, giuste o sbagliate. Non vi è praticamente nulla che lo studente possa apportare come contributo proprio alla materia, almeno nelle materie economiche. La soddisfazione qui è quella di ricercare in autonomia e presentare i risultati della propria ricerca, di svolgere esercizi senza la spiegazione teorica prima e senza l’ausilio delle formule, per costringere il nostro ingegno a lavorare attivamente e trovare una soluzione. E questo insegnano a fare in ogni materia, a ‘cavarsela da soli’, anche se non si hanno tutti i mezzi, perché è così che sarà nel mondo del lavoro e tutti dovranno affrontare fallimenti prima o poi, presentazioni fiasco, meeting inconcludenti, carichi di lavoro molto pesanti e scadenze molto prossime (nulla a che fare con il sistema della ‘sessione d’esami’, qui il lavoro è sovrapposto, articolato, le scadenze sono ravvicinate e nell’immediato e questo assume molto più la forma dell’ambiente lavorativo futuro). Coerentemente con la maggiore autonomia lo studente ha piena libertà di scelta della maggior parte delle materie che comporranno il piano di studi. E tutto questo, gratis.
Ad onor del vero devo però aggiungere che non è tutto oro quello che luccica. Se per certi punti di vista questo è il perfetto connubio tra un ambiente stimolante e una preparazione orientata al lavoro non posso nascondere con un certo disincanto che in generale il livello di conoscenze è molto più scarso.
Mancano le basi della conoscenza storica e filosofica, letteraria e umanistica in generale, quel quid che ti da una visione d’insieme nella vita che ritengo tanto importante quanto la possibilità di lavorare in gruppo. La mancanza di queste basi, che sono teoriche ma fungono da fondamenta per la formazione di una persona, porta gli studenti a non riconoscere l’importanza di sapere i processi e percorsi della storia e del pensiero umano che hanno segnato lo sviluppo e il cammino della nostra specie sulla terra e che hanno permesso al mondo di oggi di essere come loro lo vedono.
È possibile sviluppare due sistemi educativi così diversi e portarli avanti insieme o sarebbe opportuno cercare una unificazione dei due modelli per tentare di essere sia coerenti con le nuove richieste del mondo lavorativo che con una imprescindibile formazione accademica che deve, per antonomasia, andare al di là di quella professionale?
Immagine di copertina: Hochschule Rhein-Wahl
(immagine tratta da Google Immagini)