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L’importanza della mobilità e i vantaggi nello scoprire le culture locali

In un mondo in cui si parla costantemente di globalizzazione e di abbattimento di frontiere, non può essere che istinto puro e naturale quello di sentirsi spinti da una curiosità verso il vicino, il diverso, il nuovo.

E se vogliamo tradurre questa irresistibile fame di scoperta in cifre calcolabili, allora davvero la testa si fa leggera: la Commissione Europea dichiara che dalla nascita del progetto Erasmus ad oggi, in appena trent’anni, quasi 4 milioni di studenti universitari sono rimasti coinvolti nel più famoso progetto di mobilità studentesca a finalità di studio. A queste cifre da capogiro, si aggiungono poi le migliaia di studenti, docenti e laureati che ogni anno prendono parte a progetti di mobilità a fine di volontariato, come lo SVE (Servizio di Volontariato Europeo), o lavorativo, come Erasmus+ Traineeship o Erasmus for Young Entrapreneurs, portando il numero alla vertiginosa vetta dei 9 milioni.

Ma cos’è che spinge così tanti giovani a mettere in pausa la propria quotidianità in favore di un’esperienza all’estero?

Dal punto di vista umano ed emozionale, l’adrenalina del tuffo nel vuoto è spesso tutto ciò che serve per spostare l’ago della bilancia: l’essere umano, per natura curioso e famelico di conoscenza, è condannato all’eterna e inesplicabile necessità di rompere la propria perfetta e ordinata routine per buttarsi verso ciò che è inesplorato e fonte costante di stimoli.

L’Europa è un grande calderone di culture e l’Erasmus, come ogni altra forma di mobilità internazionale, costringe ad un percorso di crescita e conoscenza di sé e dell’altro spesso impossibile nel proprio Paese di provenienza, circondati dal cuscino protettivo della famiglia e degli amici. Il primo impatto con la realtà estranea, il cosiddetto “shock culturale” che ogni ragazzo in mobilità affronta nei primi giorni della sua permanenza all’estero, porta inevitabilmente ad una necessità di adattarsi, reinventarsi, ridisegnare i contorni della propria personalità, re-immaginare le proprie idee cardine in favore di nuovi input, nuove osservazioni, nuovi stimoli.

Il volontario, lo studente o il tirocinante Erasmus non si limita però solo al passivo ingurgitare di informazioni, chicche culturali e termini dal sapore etnico, anzi. Lo dimostrano i dati della Commissione Europea, che fissano il tasso di disoccupazione a lungo termine degli ex Erasmus al 2%, l’esatta metà di quello registrato per gli studenti che non hanno preso parte al programma (4%); lo scarto positivo si mantiene anche nei Paesi Europei in crisi occupazionale, come l’Italia e il resto del Sud Europa, dove la disoccupazione di lunga durata degli ex Erasmus non supera il 3%, contro il 6% di media fra i coetanei “non mobili”.

Certamente la mobilità internazionale è molto di più di una statistica sugli sbocchi lavorativi, più dell’associare un profumo ad un luogo lontano chilometri, più dell’imparare una nuova lingua, più del non sentirsi mai più esattamente a casa: quello che davvero si apprende dal vivere all’estero è l’essere cittadino del mondo, cittadino europeo, piccolo individuo in una rete fittissima, unità di un insieme dalle mille sfaccettature, perfetto incastro in un puzzle dai pezzi piccolissimi e dal disegno grandioso.

È questo il regalo della Generazione Erasmus alla nostra società: il multiculturalismo, la capacità di non vedere confini, la freschezza di opinioni, di cui, al momento, abbiamo tremendamente bisogno.

Articolo a cura del Team di comunicazione di ESN Italia.

Fonti:

-Commissione Europea (2017). Comunicato stampa 13 giugno 2017.

[Disponibile a: http://europa.eu/rapid/press-release_IP-17-1574_en.htm]

-Commissione Europea (2014). Comunicato stampa 22 settembre 2014.

Immagine di copertina tratta da Google Immagini

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