Multilinguismo? Una sfida per l’integrazione Europea

L’Unione Europea ha sempre considerato una ricchezza la sua grande varietà di culture e lingue. Saldamente ancorato nei trattati europei, il multilinguismo è il riflesso di tale diversità culturale e linguistica. Esso rende le istituzioni europee più accessibili e più trasparenti per tutti i cittadini dell’Unione, il che è fondamentale per il buon funzionamento del sistema democratico dell’UE, inoltre promuove l’integrazione delle nostre comunità nel rispetto delle specificità e differenze.

Una definizione ben nota di multilinguismo è data dalla Commissione europea (2007): “l’abilità delle società, delle istituzioni, dei gruppi e delle persone di dialogare regolarmente con più di una lingua nella loro vita quotidiana”.

Prima di tutto quindi si tratta di una abilità. Come per ogni abilità si può avere un talento innato o essere semplicemente più portati, ma tutti hanno bisogno di spazio per impararla ed esercitarla: dovrebbe essere l’Unione Europea garante delle condizioni e dei mezzi necessari per potere sviluppare in maniera coerente e uniforme questa abilità. È innegabile da questo punto di vista lo sforzo compiuto dalle istituzioni per fornire un programma e risorse comuni, una sorta di equità orizzontale che concede a tutti un eguale punto di partenza. In seconda battuta il fine del multilinguismo è coinvolgere e integrare le persone come società, come istituzioni (Stato, regioni, UE …), come gruppi (gruppi minoritari, gruppi nativi …), ma anche come individui che interagiscono vis-à-vis. L’esercizio di questa abilità ha una frequenza regolare nella vita di tutti i giorni, il che significa che nessuno è escluso da questo processo, è impossibile non venirne coinvolti nella propria quotidianità, ed è proprio per questo necessario un disegno comune che non escluda nessuna fascia di popolazione dalla possibilità di costruire e implementare questa capacità. È chiaro, data questa definizione, che il multilinguismo ha un ruolo centrale per la politica Europea e se l’importanza di questo processo ha radici nella sfera economica, passo dopo passo ha assunto il compito di tessere una rete di connessioni che dovrebbe consentire a persone diverse di avere l’opportunità di capire e di essere capite.
La lotta per il multilinguismo nell’UE ha due facce: l’una è la possibilità a tutti i cittadini europei il diritto di parlare la propria lingua madre e, in ogni caso, di non essere discriminato o sfruttato a causa di ciò, l’altra è connettere cittadini europei e costruire ponti tra le differenze, al fine di stabilire una unione di fatto e non solamente di diritto. Senza alcun dubbio un’Unione non è possibile se le persone non sono in grado di comunicare tra loro, di trasferirsi in altri paesi, di integrarsi in altre culture.

È quindi il multilinguismo un obiettivo primario del cittadino europeo, come appare anche dalle indagini dell’Eurobarometro condotte nel report “European and their Languages”: vi è un ampio consenso tra gli europei che tutti nell’UE dovrebbero essere in grado di parlare almeno una lingua straniera. Più di quattro su cinque europei (84%) sono d’accordo con questa visione e più del 70% pensa che sia necessario parlare più di una lingua straniera oltre la propria lingua madre. Vi è un consenso generale su questioni di base quali l’importanza delle lingue come competenza chiave in prospettiva dell’apprendimento permanente, la necessità di insegnare agli studenti due lingue nell’istruzione iniziale e l’esigenza di un insegnamento delle lingue di qualità e di una valutazione trasparente.
Anche se i Paesi non sono partiti dallo stesso punto e non hanno adottato misure alla stessa velocità, le riforme dell’istruzione volte a questi obiettivi negli anni precedenti si sono incentrate principalmente sui seguenti aspetti: il riesame dell’intero sistema d’istruzione secondo un approccio che prevede un apprendimento per tutta la durata della vita (cosiddetto “longlife Learning”); l’introduzione dell’apprendimento precoce delle lingue a partire dalla scuola primaria e, talvolta, dalla materna; l’introduzione dell’apprendimento integrato di lingua e contenuto (CLIL) nei programmi scolastici; una più ampia offerta di lingue nella scuola secondaria; maggiori investimenti nella formazione degli insegnanti di lingue.

Per non rendere vani gli sforzi di una UE che fa dell’apprendimento delle lingue una questione identitaria, in contrapposizione con il modello uniformante e omogeneizzante degli USA, la scuola italiana dovrebbe smettere di arrancare faticosamente dietro agli altri Stati in termini di insegnamento delle lingue. Le attività CLIL promosse nelle scuole spesso sono un fallimento perché gli stessi insegnanti hanno lacune maggiori che gli studenti nelle lingue, l’insegnamento delle lingue straniere ha ancora un approccio, tutto italiano, improntato su una scoperta della lingua passiva e prevalentemente grammaticale. E con ciò non intendo dire che conoscere la grammatica e la letteratura di una lingua non sia una parte fondamentale della scoperta dell’Altro, ma è anche vero che per imparare schemi diversi di pensiero, che sono frutto e seme allo stesso modo del multilinguismo, si debba implementare un approccio attivo alla lingua che consenta al bambino, all’adolescente e al giovane di interfacciarsi con naturalezza e istintività alla lingua. Questo per acquisire una lingua nelle sue sfaccettature e nei suoi differenti modi di pensiero e ragionamento, che connotano anche in maniera molto precisa i modi di pensiero della gente che la parla.

L’obiettivo di integrazione e di preservazione della identità culturale e linguistica è, a mio parere, raggiunto solo quando ci si ritrova a capire e sapere utilizzare le lingue a seconda del differente messaggio e schema di pensiero che si vuole veicolare. Interiorizzare le differenze che ci sono quando si parla di uno stesso argomento in francese, in olandese o in tedesco (o in una qualunque delle lingue ufficiali e non, riconosciute di eguale importanza nell’ambito dell’Unione) in modo da sapere come approcciarsi ai differenti schemi culturali e di pensiero dei rispettivi madrelingua: questo è il fine ultimo, per nulla sterile, del multilinguismo europeo.

FONTI
Special Eurobarometer 386 – Europeans and their Languages (2012)
MULTILINGUAL EUROPE: FACTS,CHALLENGES,OPPORTUNITIES (Rehm, G.; Uszkoreit, H.), 2013, Springer
Plurilinguismo e multilinguismo in Europa per una Educazione plurilingue e interculturale (Luise, M.C.; 2013) http://www.fupress.net/index.php/bsfm-lea/article/view/13843/13603
La promozione del multilinguismo e l’uso della metodologia CLIL – Content and Language Integrated Learning (Endrizzi, F.)

Immagine tratta da: Google Immagini

Il trattamento si avvale di farmaci e non farmaci. Si ricorre alla psicoterapia e a proposito, a seconda della situazione, ad antidepressivi, ansiolitici (farmaci anti-ansia), psicostimolanti (in caso di superlavoro), sedativi (calmanti) e altri farmaci.

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