La scienza non è donna?

Sono 17 le donne che a partire dal 1903 hanno vinto il premio Nobel per la fisica, la chimica e la medicina. 17 contro 572 premi Nobel “a fiocco azzurro”. Si potrebbe dire: Scienza e Donna, due rette parallele che non si incontreranno mai. Invece, leggendo alcuni studi, Scienza e Donna si delineano come due rette che il progresso umano chiede di far convergere.

Cracking the code: Girls’ and women’s education in science, technology, engineering and mathematics (Stem)” è un ricerca pubblicata dall’Unesco nel 2017, condotta in 47 paesi, il cui scopo è fornire un punto di vista interessante per parlare di genere e soprattutto parità: l’evidenza di gender gap nel campo dell’educazione e dell’istruzione scientifica.

Perché la relazione scienza-genere femminile è così importante? Tra i 17 obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2015, educazione e eguaglianza di genere costituiscono le premesse per il perseguimento dello sviluppo mondiale. Scienza, innovazione, tecnologia sono gli strumenti di questo progresso: pensiamo a quanto impattino su cambiamento climatico, risorse naturali, sicurezza alimentare, sanità. Le donne invece no: la presenza femminile in ambito scientifico, tecnologico, ingegneristico e matematico è fortemente deficitaria. Che quasi la metà della popolazione mondiale esclusa dalla creatività del progresso va sicuramente a detrimento dell’umanità intera e del suo sviluppo. Non è solo una questione di diritti, è questione di progresso, scientifico e umano. Il fatto che manchi una prospettiva femminile in ambito scientifico rende poveri gli apporti accademici e perpetra una differenza sociale e salariale importante. Nonostante le donne siano internazionalmente riconosciute per i loro contributi: i progressi nella lotta al colera e al cancro, gli studi sullo sviluppo cerebrale e staminale sono il frutto di ricerche e passioni soprattutto femminili.

Eppure solo il 35 % degli studenti “Stem” sono di genere femminile, con picchi nettamente controtendenza ( 80% ) nel Sud-Est Asiatico e negli Stati Arabi. C’è però qualcosa nel resto del mondo che distoglie, allontana le donne dalle materie scientifiche. Qualcosa che agisce progressivamente, dall’età prescolastica, fino a definire un allontanamento evidente. Qualcosa che non le fa propendere per un percorso universitario scientifico. Una scelta che avrà ripercussioni sulle prospettive di carriera e il riconoscimento dello spessore sociale dei cosiddetti cervelli. Gli uomini ci sembrano nati per gli studi di ingegneria, produzione, costruzione, tecnologie dell’informazione e della comunicazione; le donne, è evidente nell’esperienza quotidiana, propendono per campi come istruzione, arte, salute, benessere, scienze umanistiche e sociali, giornalismo. Al 2017, sul totale delle studentesse universitarie oggetto del campione statistico rappresentato, solo il 3 % studiava ICT, fatto assai allarmante se si pensa al legame tra carriera e alfabetizzazione informatica avanzata; il 5 % scienze naturali, matematica e statistica, l’8% ingegneria. Il gap di rappresentazione si allarga, inoltre, in riferimento al mondo della ricerca e dei dottorati.

Quali sono le cause?

Volendo sviluppare qualche riflessione, partirei dal livello micro della ricerca. Non c’è alcuna ragione biologica e genetica per cui uomini e donne debbano differenziarsi, anzi, considerarsi diversi nella capacità di apprendimento delle Stem. I risultati connessi all’apprendimento sono infatti identici per maschi e femmine nel 53 % dei paesi interessati. In un 23 % le donne manifestano prestazioni migliori, con 24 punti percentuali di rendimento in più rispetto ai colleghi maschi. Mentre nei paesi in cui gli uomini hanno risultati tendenzialmente migliori delle donne, lo scarto dalle loro colleghe si attesta intorno all’8%. Le donne sembrano prediligere biologia e chimica, gli uomini matematica, fisica e scienze della terra. Ma questa tendenza non contraddice la sostanziale paritaria predisposizione alla scienza. Una predisposizione che nei primi anni di vita si sviluppa con il linguaggio e la percezione spaziale. I bambini stimolati ad apprendere, che questo apprendimento passi per il parlare o per il giocare, dimostrano tutti performance migliori: chi è portato a credere di poter influenzare le proprie abilità celebrali dimostra maggiore reattività a ogni stimolo. Questione di volontà dunque? Questione di possibilità diverse di interazione con propri simili o realtà materiali? I maschi fin da piccoli sono stimolati a interagire con cose, le donne con persone. Ragion per cui le donne svilupperebbero maggiore emotività e sosterrebbero meno lo stress da competizione e “materiale”.

Certamente il sistema educativo e scolastico influisce nel processo cerebrale di apprendimento individuale. Gli insegnanti, con le loro esperienze, i metodi di apprendimento, le loro aspettative, la loro capacità di interazione e di stimolo, ma anche con il loro genere, non sono neutri. Ma prima dell’insegnante rileva l’ambiente familiare, anzi l’aspettativa dei genitori. E per una figlia femmina determinante è la propensione della madre quale modello educativo. Se l’aspettativa nei confronti di una figlia si limita e viene limitata ad un ruolo di cura della casa, questa non può che essere una barriera di accesso all’istruzione, come limiti sono matrimoni e gravidanze precoci, trattamenti differenziali in ambito ludico e di apprendimento tra figli di genere diverso. Lo status, l’appartenenza etnica ed il livello di istruzione della famiglia certamente condizionano in maniera proporzionale le aspettative. Per ragazze provenienti da background socioeconomici svantaggiati o minoritari, è impensabile spendersi in un mondo professionale percepito come maschile, “elevato” e difficilmente conciliabile con una vita familiare. Una famiglia decide di indebitarsi per il futuro di un figlio solo se questo un giorno otterrà un salario degno di ripagare i tanti sacrifici affrontati. Ma se pensi che certi studi non siano “femminili”, che tua figlia non potrà ambire alla realizzazione professionale e a una grande azienda? Razionalmente non la incoraggi. E altrettanto razionalmente la donna si scoraggia, inserendosi in un processo di autoselezione spontanea che fonda le sue radice oltre la famiglia. Non dimentichiamo infatti l’impatto delle norme sociali e culturali sul ruolo di genere, nella definizione dell’identità. I media alimentano la rappresentazione collettiva delle aspettative di ruolo. Le donne spesso crescono con lo stereotipo che le materie scientifiche siano di ambito maschile. Loro non sono portate, a loro manca un talento innato, che è un talento di genere. E certamente crescere con questo paletto psicologico influenza la predisposizione alla scienza, all’interesse.

Sembra a mio avviso che sia la componente sociale quella determinante nell’influenzare la motivazione. L’unica vera differenza tra genere maschile e genere femminile. Neanche le società più egalitarie possono definirsi intonse al gender gap scientifico. Gli stereotipi di genere a cui anche noi “occidentali” siamo abituati, la concezione sociale per cui determinati talenti siano prerequisiti per determinate carriere, e che certi siano connaturati e differenziati per genere, agiscono sulla spinta motivazionale. In uno studio del 2013, si è evidenziato come le donne abbiano quasi sempre una percezione più bassa del loro effettivo livello di conoscenza. In Corea del Sud, per esempio, dove le donne performano nel rendimento scientifico 38 punti percentuali in più rispetto agli uomini, la loro percezione si assesta intorno a 3 punti percentuali in meno.

Se il problema è la motivazione, l’unico modo di agire consiste nel predisporre interventi motivazionali che coinvolgano la società e in primis coloro chiamati a responsabilità di governo. Esempi virtuosi sono: i progetti ministeriali Girls can Code in Afghanistan e @IndianGirlsCode in India; gli Annual Scientific Camps of Excellence for Mentoring Girls in STEM organizzati dall’Unesco con l’Università di Nairobi; il For Girls in Science programme promosso dalla fondazione L’Oréal in partnership con il Ministero dell’Educazione Nazionale e il Ministero della Ricerca francesi; il Mathematics and Science Education Improvement Centre in Etiopia. Tutti modelli di interazione tra mondo pubblico e privato tesi a stimolare e a incoraggiare l’interesse e l’applicazione alle Stem, nonché a creare network. Queste iniziative vanno a braccetto con legislazione, quote, sostegni finanziari. In Francia, per esempio, il Ministero dell’Educazione ha promosso una legislazione per incoraggiare la diversificazione professionale delle donne. In Germania, il Governo ha sviluppato una Strategia High-Tech e un Patto Nazionale per le Donne del settore Stem, al fine di promuovere il superamento delle disparità di genere in ambito formativo e lavorativo scientifico. Il Ministero delle Pari Opportunità italiano, in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, ha finanziato nel 2017 alcuni istituti scolastici per l’organizzazione di eventi di sensibilizzazione e di campi estivi di approfondimento delle Stem, tramite i progetti “Il mese delle Stem – Le studentesse vogliono contare!” e “In estate si imparano le Stem”.

Naturalmente ora è troppo presto per cogliere l’effettivo impatto di queste politiche, ma in cuor mio, da donna, credo fermamente che ogni buona intenzione sia un piccolo tassello per accrescere un’azione positiva. E questa azione “di genere” non è a favore delle donne, è un regalo dell’umanità intera. Anch’essa femmina. E anch’essa bisognosa di quel righello capace di unire Scienza e Donna.

Fonti principali:

https://en.unesco.org/themes/education-and-gender-equality/stem

http://www.pariopportunita.gov.it/cultura-scientifica-e-stereotipi-di-genere/

 

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