Scienze Politiche? Se sì, perché?

“Ricordatevi che Voi siete l’élite e che da questo luogo uscirà la classe dirigente di domani”. Nessun film, nessun club inaccessibile. Correva settembre 2011, e il preside di Sciences Po Bordeaux dava così il benvenuto alle matricole e agli studenti internazionali che avrebbero iniziato quell’anno la facoltà di Scienze Politiche in Francia. Io ero una giovane studentessa Erasmus. Vi lascio immaginare il mio stupore. L’iscrizione a Scienze Politiche normalmente ha sempre causato perplessità sui volti dei genitori italiani. Non è Giurisprudenza, non è Economia. Dentro ci sono anche un po’di Sociologia, di Storia, di Filosofia, di Comunicazione. Magari anche delle lingue straniere. E quella materia non ben identificata che accosta due parole tra loro praticamente inconciliabili: la Scienza Politica. Un minestrone che nel mito italiano della cultura del figlio Medico, Impiegato, Avvocato, Professore, fatica a trovare valore. La multidisciplinarietà è accostata alla superficialità di approccio e apprendimento. Non poche volte uno studente italiano di Scienze Politiche si è confrontato con il pregiudizio della nullafacenza universitaria e della disoccupazione postuniversitaria. Nella migliore delle ipotesi a quel ragazzo saranno state attribuite abilità oratorie straordinarie: conoscente di tutto, specializzato in nulla, quel ragazzo potrebbe aver ricevuto addirittura un complimento che nasconde un altro poco velato pregiudizio sulla competenza del mondo politico italiano: “Ah, ma quindi vuoi fare politica?”.

Qualunque sia la vera motivazione per cui uno studente intraprenda lo studio delle Scienze Politiche, alla base di tale scelta è innegabile l’esistenza di un interesse, o almeno di una curiosità, per la comprensione dei meccanismi che governano la res publica, la cosa pubblica. Potremmo addirittura alzare l’asticella e affermare che le scuole di Scienze Politiche abbiano l’ambizione, chiaramente espressa da quel preside francese, non solo di formare i cittadini di domani ma anche coloro che per gli strumenti universitari acquisiti possano impattare in maniera responsabile e creativa sulla società e sulla politica. Se ruolo di una comunità umana è far emergere talenti, operino essi in ambito medico, ingegneristico, legale oppure amministrativo, statale, istituzionale e politico, tale compito verrà assolto solo da una società capace di educare, istruire, formare i propri giovani. Educare, dal latino ex ducere, significa tirare fuori qualcosa di nascosto, una propensione, una passione. Istruire, dal latino in struere, significa portare dentro, inserire saperi disciplinari. Formare richiama il dare forma a un progetto umano, che non può prescindere da uno slancio innato e da nozioni acquisite. Gli statisti, siano essi tecnici o politici, hanno un preciso ruolo sociale, una responsabilità collettiva e svolgono una professione che, come tale, deve essere prima di tutto sentita e poi preparata. Lo disse anni fa’ Max Weber in una conferenza dal titolo “Politik als Beruf”, “La politica come professione”, ma anche “ come vocazione”. Perché, a volte ce lo scordiamo, il lavoro nobilita l’uomo e le sue capacità. E la politica, come la scienza, ha bisogno di un sapere alla base, un sapere che non trascuri “passione, senso di responsabilità, lungimiranza”.

In Italia non vi è mai stato un progetto sistematico e ambizioso di formazione di una élite politica nazionale e internazionale. L’unico caso risale ai tempi dell’Unità d’Italia, dove ci si accorse che oltre a dover fare gli italiani, occorreva fare i politici e gli statisti italiani. Nacque l’Istituto fiorentino Cesare Alfieri, ma, al di là della sua successiva inclusione all’interno della formazione universitaria “ordinaria”, ciò che è interessante sottolineare è che quel progetto nacque per ammirazione del progetto francese di Sciences Po. Impossibile comprendere il posto occupato da Sciences Po nel panorama formativo, statale e politico francese senza soffermarsi sulla storia della sua fondazione. Una storia che risale alla guerra franco-prussiana, a un periodo di crisi. Emile Boutmy, giornalista e professore di 35 anni nel 1870, ricollegò la sconfitta francese all’inadeguatezza della classe dirigente. Occorreva “refaire une tête au peuple”: c’erano le scuole per avvocati, quelle per medici, come si faceva a non formare gli uomini politici al rispetto del sapere, allo sviluppo dell’intelligenza e al confronto con la complessità del reale? Quando fondò l’ Ecole libre des sciences politiques, Emile voleva fare emergere un’élite politica, economica e intellettuale, attenta alla prospettiva storica, alla trasversalità dei saperi, proiettata internazionalmente, motore di un rinnovato impulso per un Paese in cui l’accesso alla funzione pubblica diventava concorsuale. Sciences Po, in un’epoca in cui ancora tanto Stato era composto dalla nobiltà e dai privilegi di nascita, divenne un modello di meritocrazia e di modernizzazione nella preparazione dell’accesso agli apparati statali. Un modello che venne completato dall’École nationale d’administration. Lo scopo dell’ENA, fondata da de Gaulle nel 1945, era formare una classe di dirigenti che guidasse la ricostruzione post-bellica del Paese, centralizzando in maniera meritocratica gli esami che misuravano l’ingresso nelle più alte cariche della burocrazia. La maggior parte dei Presidenti della Quinta Repubblica sono passati per Sciences Po, 5 su 8: Georges Pompidou, Francois Mitterand, Jacques Chirac, Nicolas Sarkozy, Francois Hollande. L’ENA compare inoltre sul curriculum dei Presidenti Valéry Giscard d’Estaing, Jacques Chirac, François Hollande, Emmanuel Macron. I governi francesi sono pieni dei cosiddetti énarques. Sia Pascal Lamy, ex capo della World Trade Organization, sia Jean-Claude Trichet, ex presidente della Banca centrale europea, sono stati allievi dell’ENA.

Paragonabile a Sciences Po per mission di rigenerazione della politica in un momento di forte crisi statale, per impostazione multidisciplinare e per le accuse di chiusura tecnocratica è la PPE di Oxford, acronimo di Philosophy, Politics and Economy. La «laurea che governa la Gran Bretagna», come è stata definita dal Guardian, accomuna gli ex Premier britannici Harold Wilson, Edward Heath e David Cameron, ma anche l’ex Presidente statunitense Bill Clinton, l’ex Primo Ministro del Pakistan Benazir Bhutto e la leader birmana Aung San Suu Kyi. E come Sciences Po trova il suo naturale completamento nell’ENA, chi esce dalla PPE non può non passare per una specializzazione della Kennedy School of Government at Harvard.

Naturalmente non tutti i leader politici nel mondo hanno studiato Scienze Politiche. E a tal proposito vi consiglio di osservare i dati raccolti da una interessante ricerca condotta da Visual Capitalist dal titolo What Did World Leaders Study at School?. Tuttavia non si può rimanere indifferenti al tema della specializzazione della politica in un’Italia in cui non si è mai affrontato veramente l’argomento dal punto di vista universitario. Formare una expertise statale, politica e internazionale è un progetto ambizioso e difficile. Anche problematico. Una expertise in ogni campo ha bisogno di tempo, non fornisce risposte semplici, immediate, semplicistiche. E questo in un mondo dinamico e veloce, altamente propenso alla semplificazione, è un ruolo incompreso, troppo distante. Una expertise tende inoltre naturalmente a diventare elitaria, ad autoriprodursi, a isolarsi in gruppi che parlano lo stesso linguaggio e che frequentano lo stesso ambiente. Sciences Po ed ENA, come i loro omologhi inglesi, sono state accusate di creare, per usare le parole di Pierre Bourdieu, una “noblesse d’Etat”, quando il loro scopo fondativo sarebbe formare i “servitori dello Stato”. E a questa problematica contribuisce una selezione all’ingresso legata alla frequentazione di corsi di preparazione, a loro volta a numero chiuso, esigenti, costosi, inconciliabili con attività extra, background sociali svantaggiati e certi percorsi formativi.

Fonti:

https://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2017-05-17/la-fabbrica-elite-francesi-non-conosce-ne-crisi-ne-recessioni-154246.shtml?uuid=AEkIA8NB&refresh_ce=1

https://www.theguardian.com/education/2017/feb/23/ppe-oxford-university-degree-that-rules-britain

http://www.infos-dijon.com/news/dijon/dijon/dijon-les-etudiants-de-sciences-po-le-symbole-de-l-elite.html

http://www.le-politiste.com/les-elites-politiques/

https://www.ox.ac.uk/admissions/undergraduate/courses-listing/philosophy-politics-and-economics?wssl=1

https://www.repubblica.it/rubriche/bussole/2016/08/12/news/dopo_la_laurea_dottori_senza_nome-145827263/

https://books.google.it/books?id=3VzNKiO5AsEC&pg=PA33&lpg=PA33&dq=le+modele+sciences+po&source=bl&ots=qKkg_lVXQt&sig=ACfU3U2faJqr39Sk2GqeuvXE9LPFBY05ew&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwiG8NfcjaXgAhUvD2MBHSQkAfgQ6AEwBnoECAgQAQ#v=onepage&q=le%20modele%20sciences%20po&f=false

https://www.lesechos.fr/16/12/2016/LesEchos/22341-054-ECH_frederic-mion—–les-democraties-ont-besoin-d-elites–.htm


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