Educare alla salute pt.2

Dopo una breve introduzione al concetto di educazione alla salute, in questo articolo Claudia Monti, professionista che si occupa di promozione della salute, ci racconta qualcosa del suo lavoro e dell’importanza di educare i giovani (e non solo) ad acquisire conoscenze e competenze utili a vivere una vita più sana.


Io lavoro per l’Istituto Oncologico Romagnolo, un’associazione che da 40 anni si occupa della lotta contro il cancro in Romagna attraverso la prevenzione, la cura, l’assistenza e la ricerca. Io mi occupo dagli inizi degli anni Novanta di prevenzione, attraverso la promozione della salute e l’educazione alla salute rivolta ai giovani studenti appartenenti a scuole di ogni ordine e grado.

Il mio Istituto collabora con gli operatori delle Ausl e con gli organismi regionali che promuovono programmi di prevenzione secondo le linee guida nazionali e internazionali. A questo scopo ho collaborato alla nascita di un Centro Regionale di Ricerca su programmi e metodologie innovative di promozione e educazione alla salute, con l’obiettivo di migliorare l’efficacia delle azioni messe in campo. Attualmente insieme ai colleghi dell’Ausl della Romagna sto diffondendo programmi dalle scuole dell’infanzia e primarie, fino alle scuole secondarie di primo e secondo grado.

L’attività delle mie giornate dipende dal mese dell’anno in cui siamo, in quanto il ciclo comincia a maggio e giugno con la presentazione dei programmi di educazione alla salute alle scuole del territorio romagnolo attraverso un catalogo messo sul sito dell’Ausl (il cui link viene inviato a tutte le scuole).
A questa informazione via mail segue una presa di contatto personale con i dirigenti e gli insegnanti referenti per la promozione della salute affinché inseriscano nel PTOF (Piano triennale dell’offerta formativa) i programmi presentati, in modo che questi possano essere assunti dal collegio docenti, dal Consiglio di Istituto e dai rappresentanti dei genitori e degli studenti. Questo a livello burocratico rende possibile la costituzione di un gruppo di lavoro all’interno delle scuole che possa personalizzare le azioni di educazione alla salute a partire dai bisogni di tutto il personale scolastico: docenti, studenti e famiglie.

La prima metà del mese di settembre (quando gli insegnanti sono già a scuola, ma non ci sono ancora gli studenti) è dedicata a eventi formativi per i docenti. Poi, con l’inizio della scuola, si procede a definire le azioni e le loro tempistiche, che sono diverse a seconda delle caratteristiche dei diversi istituti.  I mesi successivi sono molto intensi, con un picco tra novembre e dicembre e un altro picco tra fine gennaio e le vacanze di Pasqua. Essenzialmente le azioni che mi vedono più coinvolta sono la formazione insegnanti e la formazione dei peer educator.

Il nostro modello regionale di peer education consiste nel reclutamento volontario di ragazzi delle classi terze e quarte che lavoreranno con i ragazzi del biennio su tematiche legate alla salute, in particolare prevenzione del tabagismo e dell’abuso di alcol, promozione di una sana alimentazione e del movimento, e altre azioni riguardanti la salute e il benessere psicofisico.
Il metodo della peer education (educazione tra pari) consente di attivare un proficuo processo di comunicazione tra i ragazzi, contraddistinto da un’esperienza profonda ed intensa, oltre che da un atteggiamento di autenticità e di sintonia tra le persone coinvolte. In tal modo, gli studenti non rappresentano solo i destinatari di informazioni, valori ed esperienze trasferite dall’educatore, ma diventano protagonisti, soggetti attivi della propria formazione, potendo comunque sempre contare sulla collaborazione degli adulti (insegnanti/operatori).

Il potenziamento delle risorse personali e dell’autostima nei ragazzi, nonché lo sviluppo delle loro competenze socio-relazionali, sono risultati della peer education che fanno di quest’ultima un patrimonio prezioso che la scuola può “spendere” su altri versanti e tematiche.

L’obiettivo della formazione è promuovere consapevolezza rispetto alla propria salute, a come le emozioni e lo stress possono agire sullo stile di vita, alle conseguenze che i comportamenti a rischio possono portare, in modo da sostenere e rinforzare quelle competenze per la vita che possono promuovere scelte di salute. I peer inoltre promuovono iniziative di cambiamento del contesto scolastico: strategie per migliorare il divieto di fumo a scuola, miglioramento dell’offerta del cibo, promozione della frutta a merenda e del movimento.

I giovani spesso non pensano alle conseguenze a lungo termine, ma sono sensibili agli adulti che si avvicinano a loro con un sincero interesse a contribuire al loro benessere attuale e futuro. Quindi io porto la mia esperienza non calandola dall’alto, ma interagendo con loro, con i loro vissuti e esperienze, fornendo strumenti di esplorazione e di ricerca di senso.
Questo si fa in collaborazione con gli insegnanti più sensibili e con le famiglie che si lasciano coinvolgere. Si cerca anche di attivare la comunità presente intorno alla scuola (società sportive, assessorati alle politiche giovanili, associazioni musicali e del tempo libero…) per potenziare le risorse a disposizione della comunità scolastica.

Io lavoro con medici, assistenti sociali, psicologi, assistenti sanitari, infermieri, educatori e trovo veramente preziosa questa trasversalità di professioni diverse, purché si faccia lo sforzo di uscire dal proprio particolare per diventare possessori di un linguaggio e di obiettivi comuni.
Il miglior educatore, da qualsiasi formazione di base provenga, è quello che non si mette in cattedra, ma sa scambiare con tutti gli interlocutori saperi e conoscenze all’interno di relazioni positive. Direi che le competenze più importanti sono proprio quelle relazionali e sociali per creare un clima di fiducia reciproca e di reciproca collaborazione per obiettivi comuni.



Grazie a Claudia Monti per la disponibilità e gentilezza.

Immagine tratta da Google Immagini

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