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Studiare nel 2019, ovvero la capacità di nascondere lo smartphone

In viaggio con un Flixbus di otto ore – chi l’ha fatto, sa cosa intendo – mi ritrovo a guardare i monti dal finestrino. Le nostre affascinanti Dolomiti coperte di neve al tramonto. Credo di averle osservate per un’oretta, con la mente che vagava da un pensiero all’altro senza troppa profondità né connessione tra essi, un fiume silenzioso poeticamente joyciano di cui non ricordo quasi nulla. Il mio vicino di sedile, ignaro del momento di spiritualità e riconnessione con la natura che stavo vivendo, dimentica il volume alto dopo avere tolto le cuffiette allo smartphone e mi riporta alla realtà. Mi volto infastidita, ma poi mi accorgo.

Mi accorgo che quella Stories aveva disturbato solo me, che tutti gli altri fruitori del servizio di trasporto non ne erano minimamente scossi. Mi volto e quello che vedo sono trenta persone, tutte in luoghi differenti. Concentrate su altre storie, su altre Stories, su altri feed o su qualche news sull’ efficacia dell’olio di colza per dimagrire in maniera più rapida. Concentrate, rapite, immerse, avvolte da un mondo differente, pieno di altri ma tristemente solitario. Fisso questa comunità virtuale incontrata e non incontrata e decido di tornare alla mia personale attività virtuale. Scorro il dito sullo schermo e vedo 197 notifiche su WhatsApp, qualche aggiornamento da Facebook e LinkedIn e due Direct su Instagram. Due chiamate perse da mia madre, anche. Siamo tutti sulla stessa barca.

Seconda epifania: durante gli ultimi giorni di esami e lo studio matto e disperatissimo che accompagna gli sgoccioli, quando la una stanchezza mentale si trasforma in stanchezza fisica, e le parole un po’si sovrappongono quando le leggi e così ogni frase è infinita e ti sembra di non afferrarne mai il senso, una amica ti rivela che l’unico modo per studiare meno ore e imparare di più è nascondere il telefono. Non basta il silenzioso, non basta girarlo sul tavolo, deve essere da un’altra parte, meglio non sapere dove. Tristemente, realizzi che è l’unico modo per non sentire l’eco della vibrazione, la voglia di essere aggiornati, l’ultimo messaggio di una discussione divertente su un gruppo. E ti accorgi quanto sia difficile abbandonare la confortevole presenza degli altri, provando a concentrarti su una singola attività. I benefici? Si studia molto meglio, si finisce prima e il tempo scorre molto più velocemente quando non si tocca lo schermo per controllare l’orario ogni due o tre minuti.

Inutile dire che tutto questo mi spaventa: come dice Annamaria Testa, l’attenzione è una risorsa preziosa che determina la qualità della nostra vita. Se stiamo attenti possiamo apprezzare una lettura, un quadro o una musica. Possiamo reagire in modo adeguato a quanto di imprevisto ci succede intorno e rispondere a tono, Possiamo svolgere bene compiti complessi E anche la qualità delle nostre relazioni migliora. Purtroppo se non siamo attenti non possiamo capire, o almeno non ad un livello che vada veramente sotto la superficie delle cose, e di logica conseguenza non possiamo studiare.

L’attenzione è una risorsa limitata, scarsa, che dobbiamo curare e gestire. Può essere intesa grazie a quattro direttrici in cui si muove: l’intensità dell’attenzione, l’origine (interna o esterna a noi), l’intenzione (ci siamo focalizzati volontariamente o abbiamo smesso di prestare attenzione senza accorgercene e l’abbiamo spostata senza rendercene conto?) e l’estensione, cioè la quantità di elementi su cui siamo concentrati. Non è difficile immaginare che quando si ha il telefono vicino mentre si studia l’attenzione viene continuamente spostata dai due poli, rendendo lo studio una attività pesante, stressante, poco piacevole e anche poco produttiva. L’intensità dell’attenzione posta su un libro di Contabilità o di Procedura civile non potrà mai essere paragonata a quella sorta di eccitazione, conosciuta in psicologia come arousal, provocato dai social media. L’origine esterna del centro di attenzione richiede molto meno sforzo cognitivo, quando non sei tu il produttore stesso dei contenuti su cui ti focalizzi. Inoltre, spesso lo spostamento di attenzione e la perdita di focus sullo studio accadono senza che nemmeno ce ne accorgiamo, basta aprire una story e se ne guardano dieci, venti di fila, ritrovandosi in seguito con molti sensi di colpa e una incapacità a guadagnare nuovamente un livello accettabile di attenzione, la quale dura poi solo il tempo di immagazzinare qualche scarsa nozione, prima che il processo inizi da capo.

Questa è la situazione, lo stress cognitivo a cui tutti sono sottoposti oggi, in particolar modo gli studenti anche in età molto precoce: non sorprende che all’inizio degli anni 2000 la soglia media di attenzione fosse di 12 secondi e nel 2015 fosse già scesa ad 8. In 15 anni abbiamo perso mediamente ¼ della nostra capacità di concentrarci. Avere una attenzione altamente multitasking è davvero una risorsa oppure un impoverimento delle nostre capacità intellettive?

La verità è che non siamo particolarmente efficienti quando non riusciamo a focalizzare la concentrazione su una attività solamente, quindi il dispendio di energie è molto maggiore e il risultato è scarso o più lento.

Insegnare agli studenti nati negli ultimi anni a stare attenti a come e a dove si dirige la nostra attenzione e a saperla gestire mi sembra un compito trascurato ma fondamentale della scuola, che deve insegnare a ignorare gli stimoli-spazzatura a cui il nostro cervello è costantemente esposto e che potrebbero danneggiarlo.

Questi dati sono allarmanti non solo dal punto di vista educativo, ma anche dal punto di vista sociale. La nostra società non riesce a prestare attenzione, fa fatica a stare attenta e chi perde di più da questa nuova condizione sono le relazioni. Parlare attraverso uno schermo impoverisce l’umano dentro di noi. E interporre uno schermo virtuale tra noi e l’altro, reale e fisico di fronte a noi è una mancanza di rispetto e di empatia enorme. Proviamo a usare di nuovo gli orologi per sapere l’ora, le sveglie per alzarci, i giornali e i libri per informarci e imparare, i libri di ricette delle nonne per cucinare. la nostra attenzione è troppo focalizzata su una tavoletta nera, che diventa inevitabilmente dipendenza. E se questo non preoccupa abbastanza dal punto di vista sociale, almeno rendiamoci conto dello sforzo cui sottoponiamo la nostra concentrazione, che è sempre più debole, scarsa, danneggiata, incapace.

fonti:

Testa,A.L’attenzione è una risorsa preziosa (Internazionale, 21/01/19)

https://www.internazionale.it/opinione/annamaria-testa/2019/01/21/attenzione-risorsa-preziosa

Testa, A. Travolti dalle informazioni (Internazionale, 28/01/19)

https://www.internazionale.it/opinione/annamaria-testa/2019/01/28/travolti-dalle-informazioni

https://www.independent.co.uk/news/science/our-attention-span-is-now-less-than-that-of-a-goldfish-microsoft-study-finds-10247553.html

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