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Istruzione in Parlamento: intervista alla senatrice Montevecchi (M5S)

Continuiamo la nostra serie di interviste con l’obiettivo di acquisire consapevolezza sul dibattito parlamentare in materia di educazione scolastica e universitaria, per capire da vicino i provvedimenti che interessano direttamente noi studenti.

Dopo l’intervista all’On. Iori (PD), oggi ringraziamo per la sua disponibilità la Senatrice Michela Montevecchi, eletta con il Movimento Cinque Stelle nella circoscrizione Emilia-Romagna e vicepresidente della VII Commissione del Senato.

On. Montevecchi, quali sono secondo lei i principali punti di forza della manovra finanziaria in materia di istruzione?

Incremento di 25 milioni annui per il triennio 2019 – 2021 della spesa per assistenza degli alunni con disabilità, nonché per i servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione; incremento del tempo pieno nella scuola primaria con 2 mila posti aggiuntivi; incremento da 96 a 190 mln per l’edilizia scolastica per il 2019; incremento della dotazione organica dei licei musicali, incremento del fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche di 174, 3 mln per il 2020 e di 79,81 mln per il 2021; internalizzazione del personale ausiliario tecnico e amministrativo.

Nel programma elettorale del M5S per le elezioni politiche dello scorso 4 marzo vi erano il superamento della Buona Scuola, l’incremento della spesa pubblica per istruzione scolastica e l’abolizione del precariato. Queste promesse trovano riscontro nel “contratto di governo” nella recente manovra?

Le misure in questione si trovano spalmate tra Legge di Bilancio, dove abbiamo le nuove norme per il reclutamento dei docenti, incremento dotazione organica nei licei musicali, 2 mila posti aggiuntivi per il tempo pieno nella scuola primaria e l’incremento del fondo di funzionamento per gli istituti scolastici, per esempio, e in disegni di legge di iniziativa parlamentare sulle cosiddette “classi pollaio” e abolizione della chiamata diretta e degli ambiti territoriali. Certo l’obiettivo è ancora più ambizioso e ci stiamo impegnando per raggiungerlo, ovvero arrivare ad essere in linea con la media europea degli investimenti nel comparto istruzione, università e ricerca.          

Secondo quanto riporta il Corriere della Sera, in tre anni (2018-2021) si passerà da 48,3 a 44,4 miliardi di spesa in istruzione scolastica, con una riduzione di spesa intorno al 10%. Lei ci conferma questi dati? La tendenza non risulterebbe essere contraria a quanto da Voi annunciato in campagna elettorale?

Come abbiamo già avuto modo di chiarire all’epoca in cui uscì l’articolo del Corriere della Sera, le cifre date sono assolutamente errate. Gli investimenti nella scuola aumentano di 1,3 miliardi nel prossimo anno: un dato facilmente ricavabile se si confronta la cifra dell’assestamento della legge di bilancio 2018 e la seconda nota di variazione della legge di bilancio 2019.

Qual è la sua concezione del rapporto pubblico-privato nel mondo dell’istruzione? O meglio, ritiene che l’istruzione possa essere regolata da dinamiche di mercato come altri ambiti della nostra società, oppure lo stato deve avere un intervento preminente in tale ambito?

L’istruzione è un diritto universale e come tale essenzialmente pubblico e non subordinabile a logiche di mercato. Il ruolo della Scuola è in primis quello di formare persone. Il nostro ordinamento prevede un livello di parificazione con strutture private a determinate idoneità e condizioni. La posizione preminente dello Stato nelle scelte e negli indirizzi va garantita e mantenuta. Detto ciò, nell’ambito dell’autonomia scolastica è un bene se le scuole si aprono alla società che le circonda, al tessuto economico e culturale e anche a quelle aziende che investono nella formazione e nella ricerca. In questo senso la scuola non è un corpo autarchico o autoreferenziale. Ha bisogno di vivere nella società e nello scambio di relazioni con altri soggetti sia privati che pubblici. In particolare, nell’ambito della ricerca quando finanziata o cofinanziata pubblicamente promuovere politiche di “Open Access”, può produrre un valore aggiunto alla formazione e all’affermazione dei nostri studenti in campo italiano e internazionale.    

Da membro della VII Commissione del Senato, c’è una proposta di legge che lei ha particolarmente a cuore?

Non ce n’è una in particolare, la cosa che mi sta a cuore è l’insieme delle proposte tese a realizzare la nostra visione di scuola democratica a cui sia riconosciuta la fondamentale missione sociale.  

In Commissione cooperate sempre senza screzi né divergenze con la Lega?

È normale che tra due forze politiche geneticamente diverse ci siano momenti di confronto, talvolta anche serrato. L’importante è che alla fine si trovi sempre una linea condivisa e che si realizzino al meglio i contenuti del contratto di governo come credo stia accadendo.  

Secondo dati Istat circa 28mila laureati abbandonano il Bel Paese ogni anno per cercare opportunità all’estero. Sembra essere un chiaro sintomo della mancanza di fiducia delle nuove generazioni (soprattutto di chi si impegna negli studi) nella possibilità di coltivare un futuro professionale nel nostro Paese.  Non pensa si dedichi troppa attenzione a temi come l’immigrazione rispetto a un’emergenza come la fuga di cervelli? Cosa si può fare per arginare questa emergenza?

Il fenomeno “fuga dei cervelli” è sicuramente un problema. Anzi, il problema è essenzialmente quello di un sistema economico che seppur ricco di eccellenze ha perduto nel corso degli anni la grande industria. La piccola e media impresa, pure virtuosa negli intendimenti e vivace nell’innovazione fatica ad assorbire, e pagare adeguatamente, laureati che abbiano fatto percorsi di studio importanti e onerosi. Già adesso i percorsi formativi si fanno in patria e si perfezionano all’estero, in Europa e nel resto del mondo. E’ compito della politica creare quei presupposti e quelle opportunità economiche e di lavoro che consentano ai nostri laureati di trattenersi o di rientrare in Italia. A questo scopo è stato previsto, nella Manovra approvata a dicembre 2018, per tutto il 2019 un super bonus in forma di sgravio fiscale per le aziende che assumono con contratti a tempo indeterminato giovani laureati under 30 e dottori di ricerca under 35 con specifici requisiti di merito.  

Riguardo alla questione del diritto allo studio: considerando che si tratta di una competenza prevalentemente regionale, il piano per la concessione di un’autonomia differenziata alle tre regioni del nord richiedenti (Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia) non rischia forse di aumentare ancora di più la sperequazione nord-sud anche su questo aspetto? 

Personalmente nutro una fortissima preoccupazione di fondo circa lo squilibrio che potrebbe presentarsi non tanto sulle materie a legislazione concorrente, quanto su quelle a legislazione esclusiva statale previste dal comma 2 dell’art. 117 Cost. Ciascuna delle Regioni richiedenti potrebbero dotarsi di autonomi ordinamenti scolastici diversi da quello nazionale, con conseguenze facilmente intuibili. Oltre a ciò il Parlamento nazionale, se non sarà previsto nel disegno di legge di conversione, non avrebbe strumenti di revisione delle suddette intese e dovrebbe procedere ad un’approvazione in senso tecnico, cioè i contenuti delle intese non sarebbero emendabili. Ma prima ancora di prospettare possibili sperequazioni Nord-Sud, mi preme affermare un principio: Parlamento e Governo, nei rispettivi differenti poteri istituzionali, devono decidere quali sono le competenze esclusive o concorrenti che possono essere trasferite. Del resto né i referendum consultivi né tantomeno il Contratto di governo entrano nel merito della natura e della qualità dei trasferimenti.

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