Da povertà a povertà educativa e viceversa

Il problema della povertà nel mondo è uno dei più noti e più dibattuti a livello politico e sociale. Pensando al tema ci si ritrova a individuare nella dimensione socio-economica il campo di battaglia in cui affrontare tale tematica. La questione, difatti, risente chiaramente del problema delle disuguaglianze e della sperequazione dei redditi che compongono quel divario sempre più accentuato tra ricchi e poveri. Ne ho già scritto in un articolo precedente riferendomi, nello specifico, alle disuguaglianze delle opportunità educative. Proprio da questo punto si può trarre un elemento fondamentale da prendere in considerazione in un’analisi sulle situazioni di povertà, ovverosia la dimensione educativa. Se vi sono delle disuguaglianze nelle opportunità educative vi sarà un’inevitabile ricaduta sulle disuguaglianze socio-economiche future, in età adulta dunque. Sì perché se l’Istat (2016) ci dice che nel nostro caso, in Italia, vi sono circa 4 milioni e 598 mila persone in condizione di povertà assoluta, è importante osservare come tale incidenza si ritrovi a diminuire con l’aumentare dei titoli di studio (L. Pandolfi 2017).

La dimensione dell’istruzione dunque diventa il teatro del possibile, inteso come momento formativo in cui le disuguaglianze di opportunità di apprendimento possono essere prevenute oppure perpetuate. L’azione del sistema scolastico può tirar fuori le potenzialità e risolvere i punti di partenza diseguali o mascherarli e giustificarli. Potrebbe avvenire tale passaggio considerando un sistema che non è stato creato ad hoc dagli oppressi, dalle categorie sociali a rischio di cui stiamo parlando bensì dagli oppressori, da chi trae vantaggio dallo status quo (P. Freire 2011). Così facendo si va a confermare e si giustifica la disuguaglianza presente nel momento d’accesso e perpetuata fino ai casi di dispersione scolastica e dunque di un output negativo e di uguale povertà, in questo caso di povertà educativa.

La questione della dispersione scolastica nel caso italiano vede una situazione critica ponendoci, secondo Eurostat, al quinto posto per tasso dispersivo (L. Pandolfi 2017). Difatti l’abbandono precoce di istruzione e formazione nel 2016 è stimato 13,8% (elaborazione ANPAL su dati Eurostat). Aggiungerei che il dato sulla dispersione scolastica non basta ma andrebbe considerata la condizione anche dei diplomati. Sempre in un altro articolo, infatti ho scritto in merito alle statistiche sul tasso di Neet, ovvero not in education, employment or training, che da noi sono circa 2.110.000, corrispondente poi al 22,1% di giovani tra i 15 e i 29 anni. Tutto ciò si traduce in un conseguente costo di 26 miliardi l’anno secondo il rapporto OCSE-PIAAC del 2014. Dal punto di vista dell’investimento statale in capitale umano è chiaro come dispersione e inattività portino ad un deficit economico sì ma che vede le sue radici in un’educazione mancata.

Nel collegamento tra povertà e povertà educativa vediamo la mancanza di una misura assistenziale, un Welfare e forme di educazione permanente e non-formale che tengano conto di ciò che dalla scuola viene poi disperso. Nel caso italiano è noto come vi sia un alto tasso di disuguaglianze perpetuato da una welfare familista capace di diminuire la mobilità sociale e intergenerazionale, dunque considerare l’origine sociale come elemento determinante della condizione futura dell’individuo. Venendo meno tali possibilità come interventi statali c’è da chiedersi come si possano contrastare gli effetti di questa struttura di ingiustizia sociale ed educativa tenendo conto che l’impatto è visibile anche sulla successiva partecipazione alla formazione da parte degli adulti (F. Farinelli 2004). Secondo elaborazioni ANPAL su dati Eurostat siamo sotto la media europea per partecipazione alla formazione – nel 2016 8,3% il dato di partecipazione – addirittura i nostri giovani tra i 25-34 anni si formano meno (15,1%) dei danesi tra i 55-64 anni (20,3%) . Dunque le conseguenze si possono vedere anche a lunga distanza con una portata maggiore di quella che ci si potrebbe aspettare.

Dato questo panorama si dovrebbe ripensare seriamente ad un investimento educativo – e non continui tagli, nel 2016 la percentuale di investimento in istruzione in relazione al PIL è del 3,9%, al di sotto della media europea al 4,7% – che sia in termini di accesso e di pari opportunità ma non solo, dovrebbe esserci un’ulteriore scommessa economica e cognitiva nelle pratiche di orientamento, nella funzione dei centri per l’impiego oltre che un accompagnamento efficiente nelle transizioni scuola-lavoro e successive.

FONTI

http://www.isfol.it/piaac/Rapporto_Nazionale_Piaac_2014.pdf

F. Farinelli, Perché non dobbiamo dimenticare l’educazione permanente, il Mulino (ISSN 0027-3120) Fascicolo 6, novembre-dicembre 2004.

P. Freire, La pedagogia degli oppressi, EGA- Edizioni Gruppo Abele, Torino 2011.

ISTAT (2017). La povertà in Italia.

L. Pandolfi, Dispersione scolastica e povertà educativa: quali strategie di intervento?, Lifelong Lifewide Learning, VOL 13, N. 30, 52 – 64, 2017.

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