Sex Education: istruzioni per l’uso dei corpi

Keith Chen, docente di Economia a Yale, ha condotto un interessante esperimento su 7 scimmie cappuccine. Le ha addestrate all’uso del denaro, cioè le ha educate a scambiare piccoli pezzi di metallo per beni e servizi. La cosa curiosa è che il sesso è diventato merce di scambio, un mezzo per ottenere denaro anche nella piccola comunità di scimmie che tanto assomiglia alla nostra società.

Questa la suggestione con cui Walter Siti nel 2011 su Il Foglio inizia il suo editoriale Il corpo delle scimmie. Una stimolante riflessione sulla percezione del sesso nella società contemporanea. Un ottimo punto di partenza per cominciare a interrogarsi qui sul ruolo dell’educazione affettiva e sessuale in un’epoca senza barriere al privato.

1. La sessualità ai tempi della Rete

La prostituzione, si sa, è antica come il mondo. Il panorama delle/degli escort e la tendenza alla pubblicizzazione dell’intimità hanno un orizzonte molto più breve, che ben si combina ed è alimentato dalla Rete.

Roberto D’Agostino, nella sua rubrica del 27 febbraio 2019 su Vanity Fair Parola di Dago, ci suggerisce che Internet e l’evoluzione tecnologica ( dalla telecamera allo streaming, dall’ecommerce alla protezione delle transazioni, dalla chat dal vivo allo smartphone ) devono la propria esistenza a 3 fattori: la ricerca militare americana, il World Wide Web dell’informatico inglese Tim Berners-Lee e l’industria del porno e della compagnia a pagamento. In quanti siti di intrattenimento e in quanti annunci di love, contact, sexting può imbattersi un ignaro o a volte esperto utente di Internet?

Al di là della domanda retorica, tanti interrogativi sorgono sul tema della sessualità ai tempi della Rete come vetrina.

C’è davvero bisogno di piattaforme e strumenti virtuali (uno su tutti, Tinder ) per conoscere una persona affettivamente e sessualmente interessante (e interessata)? Per risultare attrattivi e mettersi sul mercato relazionale? È veramente più facile, veloce e meno complicato entrare in relazione con uno sconosciuto filtrato dallo schermo di uno smartphone? Oppure i siti e le applicazioni di incontro stanno sostituendo le piazze sociali e l’affettività si sta semplicemente adeguando a nuovi luoghi e a nuove velocità? Sono veramente Tinder e i siti di incontri, oggi, le vetrine dei corpi? Non sono invece forse Facebook, Instagram e Snapchat, nella loro apparente neutralità morale e di scopo?


La statistica mostra il risultato dell’indagine Stili d’Italia condotta da Italiani.Coop sulla frequenza dell’utilizzo di Tinder tra millenials italiani, nei mesi di Maggio e Giugno 2018. (fonte)

Cosa spinge una ragazzina o una donna a postare sui social immagini chiaramente ammiccanti e a sfondo sessuale? Cerca di avere apprezzamenti o di “apprezzarsi”? Sta cercando valore o il proprio valore? E a quel punto che ruolo avrà la sessualità nella sua vita? Sarà uno strumento di potere nel senso di influenza o di potere nel senso di possibilità? Che attenzione o che tipo di relazione cerca colei che assume una posa volgare e poco velata sui social? Ha la speranza di trovare qualcuno che vada oltre la crosta, che indaghi altro oltre il tacco a spillo o lo squat in palestra? E se la ragione fosse esimersi da relazioni coinvolgenti? Ha avuto esperienza della fatica emotiva delle relazioni e sceglie consapevolmente di non scottarsi rimanendo a galla, in superficie, e diventando essa stessa superficiale, copertina? È un “risparmio di energia emotiva” che previene sul serio la delusione sentimentale perché si decide volontariamente di non viverla?

“Nulla ormai è meno intimo del sesso, la nudità è pubblica e la spontaneità è considerata una posa”. Ma in questa spregiudicata libertà permane l’incapacità di vedere il sesso come una dimensione normale o ordinaria del quotidiano e della vita. Come qualcosa di evidentemente legato al benessere individuale e collettivo. E questo si ripercuote nell’incapacità di parlarne e di educare bambini e adolescenti a parlarne.

Foucault in La volontà di sapere. Storia della sessualità scrisse come “la causa del sesso — della sua libertà, ma anche della conoscenza che se ne acquisisce e del diritto che si ha di parlarne — si trova con piena legittimità legata all’onore di una causa politica: anche il sesso s’inscrive nell’avvenire” (Feltrinelli, cap. I, 11 ).

“L’impresa di parlare del sesso liberamente e di accettarlo nella sua realtà è così estranea alla tradizione di tutta una storia ormai millenaria, è per di più così ostile ai meccanismi intrinseci del potere ( che ci vieta di godere del tempo per futili piaceri ), che non può far a meno di avanzare lentamente per molto tempo, prima di riuscire nel suo compito.” (Feltrinelli, cap. I, 16 ); “I bambini, per esempio, si sa che non hanno sesso: ragione di più per vietarglielo, per proibire che ne parlino, per chiudersi gli occhi e tapparsi le orecchie dovunque dovessero farne mostra, ragione di più per imporre un silenzio generale e rispettato” (Feltrinelli, cap. I, 10 ).

Michel Foucault (fonte)

In L’ospite inquietante Umberto Galimberti si interroga su questo silenzio, che altro non è che l’assenza di “un’educazione emotiva che consenta loro di mettere in contatto e quindi di conoscere i loro sentimenti, le loro pulsioni, la qualità della loro sessualità e i moti della loro aggressività.”( Feltrinelli, cap. IV, 37). L’educazione emotiva che tanto si lega all’educazione sessuale è un elemento essenziale per raggiungere un’adeguata conoscenza di sé e un’appropriata visione della vita e delle relazioni che la animano. Educarsi all’incontro psicofisico con l’altro significa formare persone all’altezza del proprio tempo. E questo è un tempo difficile, in cui gli spazi di riflessione sono assenti, e nella peggiore delle ipotesi social, ma anche privi di comunicazione. L’apatia dello schermo piatto di smartphone, tablet e computer – l’impostazione corpo-tastiera-schermo, come la descrive Baricco in The Game – ci priva di una costruzione identitaria, ci ha resi incapaci di distinguere in ogni sfera cosa sia bene, cosa sia male, cosa sia pubblico, cosa sia privato.

“Sono crollate le pareti che consentono di distinguere l’interiorità dall’esteriorità, la parte discreta, singolare, privata, intima di ciascuno di noi dalla sua esposizione e pubblicizzazione…in una società consumistica, dove le merci per essere prese in considerazione devono essere pubblicizzate, si propaga un costume che contagia anche il comportamento dei giovani, i quali hanno la sensazione di esistere solo se si mettono in mostra, per cui, come le merci, il mondo è diventato una mostra, un’esposizione pubblica che è impossibile non visitare perché comunque ci siamo dentro”( Serie Bianca Feltrinelli, cap. V, 49). Si confonde l’identità con la pubblicità dell’immagine, l’apparire con l’essere. La persona diventa una merce omologata, da consumare. Piatto ricco per una società conformistica e consumistica che vede il corpo e le sue espressioni come proprietà privata di interesse pubblico.

In questa rete desolante di immagini e riflessioni, non resta che chiederci: che valore vogliamo dare all’emotività e al sesso? E, di conseguenza, all’educazione emotiva e sessuale? Questa la domanda che richiede una risposta sociale, collettiva. Essendo evidentemente emotività e sessualità calati e influenzati dal mondo in cui viviamo e strumenti di relazione. In un mondo in cui vivere il sesso è sempre meno naturale e reale in termine di benessere affettivo, specie per chi sta crescendo e si sta affacciando alla vita, non è il momento di dotare i nostri bambini e ragazzi di strumenti educativi con cui comprendere e vivere emozioni e sesso in maniera consapevole?

2. Il ruolo dell’educazione affettiva e sessuale

Fino a questo punto abbiamo posto parecchie domande e provocazioni – anche filosofiche ed esistenziali – a cui non credo saremo capaci di dare risposta, e probabilmente non è il nostro compito. Potrebbe essere utile piuttosto considerare l’importanza conferita oggi all’educazione affettiva e sessuale, nel mondo, in Europa e in Italia.

La UNESCO International Technical Guidance on Sexuality Education dal 2018 raccomanda un’educazione comprensiva alla sessualità (CSE) che abbia come luogo privilegiato di diffusione la scuola. Questa guida è stata sviluppata su un report del 2009 con cui l’UNESCO valutava l’impatto dell’educazione sessuale affrontata a scuola sui rischi connessi al comportamento sessuale: la violenza di genere, gli abusi sessuali su adulti e minori, le gravidanze indesiderate, le infezioni sessualmente trasmissibili. Educarsi alla sessualità equivale per l’UNESCO a educarsi alla salute e alle life-skills: serve a saper vivere, a svilupparsi a livello personale, fisico e relazionale, ad aprire la mente a tutte le tematiche connesse all’affettività e alla sessualità, per esempio la famiglia, la riproduzione, l’emancipazione femminile, il benessere e la dignità, i diritti e i doveri propri e degli altri. Un approccio olistico che si basa sul concetto di sessualità come area del potenziale umano e dimensione in cui sviluppare la propria personalità. Un punto di vista già presentato dall’ Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS e BZgA in un’analisi del 2010 mirante a diffondere alcuni standard europei per l’inserimento dell’educazione sessuale tra le materie curriculari obbligatorie oggetto di esame scolastico. L’obiettivo sarebbe conferire importanza e attenzione al tema, motivare i bambini/ragazzi, indurre i docenti a una trattazione seria, multidisciplinare. Ma c’è un problema a monte che le organizzazioni internazionali non smettono di sottolineare: più di 250 milioni di bambini nel mondo non vanno a scuola o l’hanno abbandonata. E si fronte a questa tragedia umana a chi spetta la crescita sessuale ed affettiva di questi futuri adulti?

In Europa ( The SAFE Project, 2006 ) l’educazione sessuale viene avviata a scuola in età diverse: si va dai 5 anni del Portogallo ai 14 di Spagna, Cipro e Italia. Dove si comincia a parlare di sesso prima, i programmi coinvolgono una vasta gamma di temi, principalmente relazionali; dove invece l’approccio è tardivo prevale un’educazione limitata alla tematica del contatto sessuale. Il report Sexuality Education in Europe del 2006 riportava che in quell’anno solo in 19 Stati d’Europa la sessualità fosse materia scolastica. L’ultimo report prodotto nel 2018 ci mostra un lieve miglioramento: su 21 stati in cui si è legiferato un programma riguardante l’educazione sessuale, 11 hanno stabilito l’obbligatorietà dell’insegnamento. In Europa i paesi con la più lunga tradizione in termini di educazione sessuale sono Svezia, Norvegia e Olanda. La Svezia ha reso obbligatoria l’educazione sessuale a partire dal 1955.

La sensibilità della Norvegia all’argomento è evidente anche solo dall’iniziativa del gruppo Hero, specializzato nella gestione dei rifugiati. Hero ha ideato a partire dal 2009 ed esportato a Berlino ( in conseguenza dello shock suscitato a Colonia dalle molestie e dagli stupri perpetrati nella notte di Capodanno 2015 ) un corso dal nome «Insieme per il rispetto e la sicurezza», un corso che cerca di integrare la visione “occidentale” del sesso con quella di alcuni rifugiati o richiedenti asilo provenienti da società patriarcali marcate da una netta differenziazione di genere anche per quanto concerne la sessualità.

In Olanda l’educazione sessuale comincia alla scuola materna, durante la “Febbre di primavera”, una settimana a frequenza obbligatoria organizzata in tutti gli istituti e focalizzata sull’educazione alla sessualità e all’affettività. Il programma prosegue lungo tutto il percorso della scuola dell’obbligo, evolvendo gli argomenti in base all’età degli alunni. Si chiama “Educazione sessuale onnicomprensiva” (Cse) e fa parte delle iniziative dell’UNFPA, l’Agenzia di salute sessuale e riproduttiva delle Nazioni Unite. L’accesso a questo tipo di educazione sessuale è riconosciuto dall’ONU nel novero dei diritti umani ed è stato ratificato da diversi trattati internazionali, dal Comitato sui Diritti del Fanciullo, dalla Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna e dal Comitato sui diritti economici, sociali e culturali.

Un interessante articolo del Guardian, dello scorso gennaio, ci riporta il risultato di una ricerca svolta nel Regno Unito dalla London School of Hygiene and Tropical Medicine sul tema della sessualità tra gli adolescenti: sarebbe la pressione sociale a condurre i ragazzi ad affrontare la propria prima esperienza sessuale entro i 16 anni. Su 2.800 Britannici sessualmente attivi di età compresa tra i 17 e i 24 anni intervistati, il 52 % delle donne e il 44 % degli uomini avrebbe dichiarato di non essersi sentito pronto a vivere la sessualità all’epoca dell’esperienza. Magari si erano avvicinati al sesso per legare una persona a sé, per siglare il proprio passaggio alla vita adulta, o addirittura per liberarsi dello stigma della verginità. In ognuno di questi casi, avevano fatto sesso solo per pressione emotiva, relazionale o sociale. Consapevoli di questa mancanza di libertà, la maggior parte degli intervistati ha anche dichiarato che la sensazione di sentirsi inadeguati e non maturi per accogliere l’altro derivasse dall’ignoranza in materia. Prevalentemente la conoscenza del sesso era passata per il sentito dire e i falsi miti. Un’inadeguatezza che ha rivelato un urgente bisogno di educazione sessuale in Regno Unito.

Hannah Witton, youtuber britannica con oltre mezzo milione di follower, punto di riferimento per molti millenials anglosassoni per i suoi video in cui tratta temi sessuali e relazionali.

Da settembre 2020 educazione affettiva e sessuale diventeranno obbligatorie in questo paese, ma come sottolinea Lucy Emmerson, direttrice del Sex Education Forum, il corpo docente non sarà preparato perché circa il 30 % di coloro che saranno incaricati di educare su tematiche relazionali e sessuali non avranno seguito a loro volta corsi di formazione. La ragione starebbe nella mancanza di adeguati stanziamenti governativi. Che novità.

Simon Jenkins, nel suo articolo del 1 marzo 2019 Sex education is not a matter for ministers, ci riporta un grande dibattito che sta percorrendo l’opinione pubblica inglese. Lo Stato può imporre in maniera generalizzata l’educazione sessuale? La scuola deve arrogarsi  o no il diritto di scegliere se impartire o meno educazione affettiva e sessuale ai propri alunni? I genitori possono continuare ad avere il diritto di vietare ai propri figli di seguire i corsi di educazione sessuale? Ad oggi i bambini e adolescenti inglesi sono obbligati a seguire corsi relazionali, ma è a discrezione dei genitori permettere l’educazione sessuale, nonostante l’elaborazione del contenuto sia evidentemente  non al passo con i tempi, poiché non prevede ad oggi la trattazione di tematiche quali: il benessere mentale e fisico, il consenso, il sesso all’epoca di Internet, gli LGBT (lesbian, gay, bisexual, and transgender) e dunque il genere. Il Segretario di Stato all’Educazione, Damian Hinds, vuole privare i genitori, almeno al compimento del sedicesimo anno di età del ragazzo o della ragazza, del diritto di veto in materia di educazione sessuale, una prerogativa ormai incompatibile con la giurisdizione inglese e la Convenzione Europea sui Diritti Umani.

La proposta ha causato una sollevazione popolare da parte di gruppi cattolici, ebrei ortodossi e musulmani e non ha incontrato il parere favorevole della metà del Partito Conservatore inglese. Alcune minoranze hanno minacciato di lasciare il paese in cerca di giurisdizioni più rispettose del diritto dei genitori di rifiutare la trattazione scolastica di tematiche quali l’omosessualità e il cambiamento di genere all’interno di una cornice positiva ed educativa. L’educazione affettiva e sessuale riguarderebbe un fatto privato, da trattare all’interno delle mura di casa. Ma come risolvere l’eterna diatriba tra potere/dovere educativo statale e l’altrettanto eterno potere di genitori e comunità di decidere quale educazione impartire ai propri figli e alla propria componente umana? Il governo ha il diritto di imporsi sulla genitorialità, la cultura e la religione? Quanto queste hanno diritto di modellare la salute fisica e mentale delle persone? Il benessere relazionale? Azzardo a dire che l’educazione sessuale è importante quanto la matematica, essenziale per vivere e sapersi muovere nella vita. Ma è giusto statalizzarla del tutto? Appiattirla, renderla un curriculum scolastico? Il rischio di una centralizzazione e di una superficialità esiste. Il rischio di un’uniformizzazione arida pure. I genitori, parenti ed amici hanno un ruolo essenziale nell’aprire al mondo e fornire gli strumenti di approccio alla socializzazione. Ma gli input provenienti da insegnati e compagni di classe sono altrettanto importanti. La scuola è infatti il luogo in cui il bambino comincia a definirsi come individuo, persona che si rapporta a dei pari, che si differenzia dalla famiglia, che prende coscienza della propria unicità.

Il rischio è per alcuni di sessualizzare il bambino prima del tempo. Ma di fronte a una Rete che imbriglia ed obbliga a cresce, vogliamo far finta che la sessualizzazione non sia precoce a prescindere dall’esperienza scolastica e forzata? E che la censura finalizzata alla salvaguardia dell’innocenza e alla repressione della “devianza” abbia salvato e continui a salvare moralità e l’etica? In Malesia vi è stato un recente scandalo: in un testo di scuola elementare sono comparse vignette illustrative che educano le bambine a portare un certo abbigliamento e a evitare determinati comportamenti al fine di non incorrere in una molestia o in abuso e in modo da salvaguardare la propria dignità e quella delle persone a loro legate. Al di là dell’evidente nesso causale sbagliato tra stupro e abbigliamento/libertà di movimento e soprattutto tra donna e violenza, ciò che colpisce non è certo la natura conservativa della società della Malesia, in cui recentemente due donne accusate di omosessualità sono state bastonate in una corte di giustizia, ma l’evidente inadeguatezza degli strumenti di educazione sessuale. Limitare l’educazione di bambine al manuale antistupro e anti violenza maschile, non significa certo parlare di genere, affettività e sessualità.

3. …e in Italia?

Rivolgendo lo sguardo al nostro orticello, domandiamoci ora: come siamo messi in Italia? Sicuramente non come in Malesia e neppure all’avanguardia, ma qualcosa si sta muovendo.

Il nostro Paese è uno dei pochi Stati parte dell’inchiesta Sexuality Education in Europe in cui l’educazione sessuale non è obbligatoria, accanto a Bulgaria, Cipro, Lituania, Polonia e Romania. Soprattutto nella fascia meridionale del continente, per un’evidente peso storico della tradizione cattolica, aderire ai programmi di educazione sessuale resta facoltà dei singoli istituti, che vi dedicano a volte anche una sola ora l’anno, determinando una disomogeneità di educazione sul territorio nazionale. Un’offerta totalmente inadeguata. Che registra tuttavia interessanti proposte contenute in piani regionali: in Italia la Provincia Autonoma di Bolzano ha avanzato il progetto Educazione socio affettiva e sessuale, per classi quinte della scuola primaria e terze della secondaria di primo grado, in linea con gli obiettivi dell’OMS. Nel 2017 il 25 % delle scuole della Provincia di Bolzano aveva deciso di aderirvi.

Forse l’Italia crede ancora nell’innocenza dei propri adolescenti per non rispondere alle raccomandazioni di OMS e UNESCO, ma secondo quanto emerge da una ricerca effettuata dalla Società italiana della contraccezione in collaborazione con il blog Skuola.net, un quarto dei ragazzi che hanno compiuto 14 anni dichiara di avere già avuto rapporti sessuali completi. C’è una giovanissima società italiana che dunque parla di sesso e lo pratica, chissà se lo sa fare e vivere in maniera “educata” e sana. Ci sono persone rovinate per il sesso, che muoiono a causa di esso. Pensiamo al caso di Tiziana. Ridicolizzata, umiliata per dei video hard di cui si è resa protagonista. Al di là delle colpe, e dell’epilogo drammatico che merita rispetto e compassione, mi chiedo e ci dovremmo tutti chiedere: che rapporto abbiamo e ha la nostra società con il sesso? Con l’intimità? Con la violazione dell’intimità? Ma chi si è trovato in mano un video di una persona che conosce non si è detto che dentro quel video c’è tutta l’ingenuità e la natura umana? Se sapessimo che fare sesso è naturale, in tutte le sue declinazioni, penso non avremmo interesse a diffondere un video. Se sapessimo che il sesso è una componente fondamentale della nostra vita, del nostro benessere, sapremmo anche che c’è un limite a tutto, nel rispetto della volontà e della dignità umane. E che i social e internet sono un dio potente e terribile, da Antico Testamento. Ci si scotta, anzi si brucia per l’eternità. Sicuramente certezza della pena e regime legislativo ad hoc ( il tanto citato revenge porn, discusso in questi giorni dalle forze parlamentari ) sono necessari per chi, facendo leva sul sesso, svilisce il corpo altrui e la altrui dignità. Ma il problema alla base resta: la maleducazione sessuale e relazionale. Una piaga da risolvere.

Immagine dal corteo “Educazione e prevenzione per corpi liberi e menti consapevoli”, a Milano il 7 Marzo 2019. (fonte)

Il 7 marzo 2019 a Milano si è svolta la manifestazione ‘Educazione e prevenzione per corpi liberi e menti consapevoli’. Tra le rivendicazioni i manifestanti, soprattutto donne, richiedevano allo Stato italiano un’educazione sessuale libera, laica, non binaria, che tratti di piacere e desiderio in tutte le scuole. Il diritto di conoscere per prevenire ogni forma di violenza di genere al fine di poter prendere consapevolezza della dimensione corporea e vitale dell’identità sessuale. Un impegno contro la strumentalizzazione, la censura, le imposizioni sui corpi, le quali pretendono di dettare alle donne codici di abbigliamento e di comportamento. Si tratta di un chiaro rifiuto del decreto Pillon, criticato dai movimenti femministi e dalle relatrici speciali delle Nazioni Unite sulla violenza e la discriminazione contro le donne, Dubravka Šimonović e Ivana Radačić, quale «grave regressione che alimenterebbe la disuguaglianza di genere».

4. Ciò che non si può ignorare

Il bisogno di un’educazione sessuale sistematica comincia dunque ad essere avvertito. Specialmente alla luce dell’esistenza di una piattaforma educativa mondiale a cui cedono milioni di utenti: Internet. Il porno, materiale prodotto da e per gli adulti, è ormai tranquillamente fruibile e fruito persino da bambini delle medie che non hanno nessuna difficoltà ad accedervi tramite lo smartphone. Secondo una ricerca di Alberto Pellai, ricercatore del dipartimento di scienze biomediche alla Statale di Milano, nel suo “Tutto troppo presto: l’educazione sessuale dei nostri figli nell’era di internet”, il 70% dei quattordicenni italiani è già entrato in contatto con materiale pornografico online. Gratuita, accessibile e consumata dalla stragrande maggioranza degli adolescenti, la pornografia diventa un manuale di sessualità, col rischio altissimo di trasmettere visioni irreali e distorte della realtà.

Certamente interessante è la diffusione globale di vlog, video-blog realizzati da giovani youtuber che affrontano in maniera colloquiale e scherzosa, peer to peer, varie tematiche legate alla sessualità. Pioniere sono l’americana Laci Green e l’inglese Hannah Witton. I video contengono spesso riferimenti ad altri siti su cui informarsi, come il canale Sexplanations della sessuologa Lindsey Doe, nonché risorse per gli educatori che debbano parlare ai ragazzi di sessualità. Nel panorama anglosassone l’educazione sessuale online è diventata popolare grazie anche alla serie-video Lettere dalla vagina realizzata dal Guardian, i consigli sulla sessualità di Dan Savage (pubblicata in Italia da Internazionale con il titolo di Savage Love) e la piattaforma OMGYES.com, dedicata interamente all’esplorazione del piacere femminile. Ci sono canali molto popolari, come quello di Tomska, con 5 milioni di iscritti, e quello di Riley J. Dennis, attento alle tematiche transgender. L’educazione sessuale online resta comunque in mano ai grandi marchi, Durex (in collaborazione con il canale The Show) e Lines (con la serie “Domande scomode“), che hanno deciso di inserire nelle pubblicità dei propri prodotti anche consigli e nozioni utili ai più giovani o inesperti. Anche le  grandi piattaforme di distribuzione del materiale pornografico online stanno creando sezioni dedicate all’educazione sessuale. “Ospitando quasi 70 milioni di visitatori al giorno, abbiamo voluto fornire ai nostri fan una piattaforma educativa fidata che possano utilizzare come punto di riferimento per informazioni e consigli quando si tratta di sesso”, ha dichiarato in un comunicato stampa Corey Price, vice presidente di Pornhub, a proposito dell’iniziativa diretta dalla nota sessuologa Laurie Betito. Una presa di responsabilità delle industrie di Internet sul ruolo che esso gioca in ambito sessuale? O una pura operazione commerciale e lucrativa su un tema molto delicato e importante come l’educazione sessuale?

In conclusione a questo scorcio sull’educazione affettiva e sessuale, una raccomandazione: il sesso è una dimensione che l’educazione non può permettersi di trascurare ancora, è l’atto che ci ricorda il nostro legame concreto alla materia, la nostra umanità, ma è anche ciò che più avvicina l’uomo alla trascendenza di sé dal proprio corpo, e dalla propria immagine.

Una ragione sufficiente  perché non venga “male-educato”.

Fonti online:

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