Nel discorso generale riguardante l’educazione possiamo osservare e analizzare criticamente le questioni in merito all’istruzione da nido e scuola primaria fino all’istruzione universitaria. Uno spazio per la formazione però può rivelarci anche criticità trascinate fino al mondo del lavoro e che nelle attività formative dovrebbero trovare nuove soluzioni. Sempre che si vogliano fare investimenti in formazione.
I dati forniti dal Sistema Informativo Excelsior attraverso il rapporto La domanda delle professioni e di formazione delle imprese nel 2019 ci dicono che il 26,2% delle imprese italiane ha effettuato attività di formazione nel corso del 2018.
L’OCSE invece ci comunica che solo il 20% degli adulti, in Italia, partecipa ad attività formative. Il dato scende al 9,5% per profili con basse competenze, ovvero la categoria che evidenzia il fabbisogno maggiore.
Ancora, il rapporto Adult learning in Italy – What role for training fund? stima che il 15,2% dei posti di lavoro possa essere automatizzato a seguito dell’introduzione delle nuove tecnologie e del digitale. Il 35,5%, invece, risentirebbe comunque dell’impatto dovendo aggiornare/formare le relative competenze.
Questi sono solo alcuni dei dati che possiamo trovare quando leggiamo di analisi relative alla dimensione occupazionale, alla formazione e al tema delle competenze. Education Around persegue la mission di analizzare vecchie e nuove criticità del mondo dell’educazione in generale per pensare ed elaborare scenari e soluzioni future. I meri dati quindi non devono avere lo scopo di allarmare i lettori né tantomeno lo deve fare chi vuol compiere delle analisi a riguardo.
Portare alla luce e rendere trasparente quel che concerne il mondo della formazione è un primo obiettivo di questo articolo. Evidenziarne i collegamenti con tematiche all’ordine del giorno, almeno per noi di Education Around, è un altro.
Investimenti in formazione dopo un percorso a imbuto?
Intanto dobbiamo chiederci cosa sappiamo di quel mondo che sembra aprirsi una volta terminato il ciclo di studi con la scuola secondaria di secondo grado.
Il percorso naturale sembra essere ottenere un diploma di istruzione terziaria quale quello universitario o entrare direttamente nel mercato del lavoro. Queste due opzioni sembrano restringere a imbuto le possibilità di un individuo appena maggiorenne. Restano ancora sullo sfondo la formazione professionale e la formazione in generale con relativi investimenti.
L’orientamento nel periodo delle “scuole superiori” non riesce nell’intento di sostenere ragazze e ragazzi nelle scelte future – tema che meriterebbe un articolo e un report a parte – , come si vede dai dati sulla dispersione scolastica.
La dispersione scolastica è un tema spesso ricorrente tra titoli di quotidiani e programmi dell’Unione Europea. Difatti, secondo l’Istat, l’abbandono scolastico prematuro è al 13,5% per i ragazzi 18-24 anni. Mentre il tasso di Neet (not in education, employment or training), che vede il nostro paese agli ultimi posti dei paesi comunitari, conta una percentuale del 26% di giovani tra 18 e 29 anni.
Anche gli stessi universitari non se la passano bene considerando la scelta, a volte obbligata, di cambiare paese, la cosiddetta fuga di cervelli che costa all’Italia 14 miliardi all’anno.
Altra questione quando si sceglie per la permanenza in Italia, studenti o meno, dovendo far i conti con lo skill mismatch, quel fenomeno – che coinvolge 1,3 miliardi di persone – riguardante la discrepanza tra competenze richieste dalle imprese e quelle offerte dai lavoratori, che rende ancor più farraginoso il processo di ingresso nel mercato del lavoro.
Investire in formazione: i fondi interprofessionali
Le molte criticità segnalate evidenziano una carenza notevole Paese che più di altri si trova in una situazione di risorse scarse. Parliamo del mancato investimento, in misura adeguata e necessaria, nella formazione. Risultano controproducenti le scelte amministrative volte al taglio della disponibilità economica di fondi interprofessionali (ne parleremo sotto) come quel 40% indicato nel 2017. Recruiting e inserimento di nuove risorse non è l’unico modo per far acquisire nuove competenze alla propria impresa.
Gli investimenti in formazione, infatti possono promuovere apprendimenti fondamentali sia per la persona sia per l’impresa di cui quest’ultima fa parte. Dal punto di vista della persona si tratta di un’occasione per aumentare la propria occupabilità aggiornando le proprie competenze o acquisendone di nuove. Per quanto riguarda l’impresa che favorisce la formazione del proprio lavoratore, il ritorno si ha in termini di performance. Infatti sarà favorito lo sviluppo di con nuove conoscenze e abilità per una risorsa che già faceva parte del proprio contesto, a volte senza costi esagerati: come?
La formazione continua implementata nelle imprese può contare su strumenti fondamentali come i Fondi Interprofessionali. Le imprese di un determinato settore – prendiamo ad esempio un’impresa artigiana – possono aderire al relativo fondo, in questo caso Fondartigianato, investendo lo 0,3% del contributo versato dai lavoratori. Tale quota andrà a finanziare le attività formative che potranno essere erogate rispondendo ai bandi di Fondartigianato. In questo caso la risposta e l’elaborazione di un progetto formativo per gli artigiani dell’impresa che ha versato quel 0,3% sarà a cura di un ente di formazione certificato.
Società della conoscenza e competitività
Va tra l’altro notato che investimenti o meno da parte del nostro Paese, la linea europea è quella inaugurata a Lisbona nel 2000. La Strategia di Lisbona infatti mirava a costituire “una società della conoscenza” e affermare un primato mondiale per l’economia europea quanto a competitività e dinamicità, investendo sulla conoscenza per promuovere una crescita economica sostenibile, un aumento dei posti di lavoro maggiormente qualificati e una maggiore coesione sociale.
La consapevolezza che si genera all’inizio del nuovo millennio riguarda tanto la necessità quanto l’utilità di partecipare a percorsi formativi. Questi favorirebbero, infatti, lo sviluppo di competenze secondo la prospettiva del Lifelong Learning, ovvero lungo tutto l’arco della vita.
Dal punto di vista individuale rappresenta un possibile empowerment dell’occupabilità e del capitale umano. Dal punto di vista delle imprese, per dirla in maniera provocatoria, l’azione sarebbe quella che non è attuata dallo Stato ovvero l’investimento e la valorizzazione delle proprie risorse umane.
L’Italia risente del già citato fenomeno di brain drain e di conseguenza perde attrattività scoraggiando laureati a rimanere nel Paese. Proprio come accadrebbe alle risorse umane di un’azienda qualora questa non fornisse tutele e diritti. Dal canto loro le imprese, stanno accogliendo la diffusione di tematiche più legate alla valorizzazione delle risorse umane. Tra queste possiamo contare competenze trasversali, Responsabilità Sociale d’impresa e clima organizzativo. Su questa linea riconoscono anche il doppio movimento dell’investimento in formazione che ha valore generativo in termini di output sia per il lavoratore sia per l’organizzazione. Sempre in linea con Lisbona 2000: la questione della competitività è colta nel suo legame con con la promozione di competenze che siano funzionali a tale scopo.
Competitività e competenze digitali 4.0
Lo stesso presidente di Confindustria Bonomi indica come le vie da percorrere per la competitività siano quelle già tracciate da Industria 4.0, il piano nazionale volto all’automazione e alla digitalizzazione. Tra le varie azioni chiave del piano si faceva riferimento soprattutto a sviluppo e implementazione delle competenze digitali per esempio attraverso curricula inerenti ai temi I4.0 e alternanza scuola-lavoro in campo ICT.
Il ritardo rispetto all’integrazione di queste misure è causato dalla difficoltà delle imprese di rintracciare i profili ricercati, ai quali viene richiesto il possesso di competenze digitali di base. Secondo il Sistema Informativo Excelsior, il tasso di difficoltà di reperimento di lavoratori con competenze digitali di base si attesta al 34,1%.
Questi sono i nodi che l’Italia dovrà cominciare a sciogliere prendendo in seria considerazione il valore aggiunto prodotto dalla formazione. Dovrà esserci consapevolezza del fatto che, allo stesso modo dell’istruzione, la formazione richieda investimenti. Questi a loro volta implicano una progettualità e una temporalità che fino ad adesso sono state messe in secondo piano rispetto a obiettivi a breve termine. Gli obiettivi a lungo termine, per contro, sono sempre più urgenti e nonostante tutto vengono differiti, come si evince da quel 26% di Neet che sono il reale fallimento di istruzione e formazione.
FONTI
https://www.oecd.org/italy/adult-learning-in-italy-9789264311978-en.htm
https://www.ilsole24ore.com/art/la-fuga-cervelli-costa-all-italia-14-miliardi-all-anno-ACphFlAB