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Scuola inclusiva, Paese migliore

Sfide e soluzioni all’esclusione nelle scuole italiane.

“Rendere la scuola e l’istruzione inclusive e accessibili a tutti è un imperativo per costruire un futuro migliore non solo a livello umano, sociale e culturale, ma anche politico.” 

Così si concludeva il precedente articolo sull’educazione inclusiva, nel quale si accennava anche l’ambiguità che riguarda il termine stesso.  L’accessibilità all’ambiente scolastico non si riferisce, infatti, solo a studenti affetti da disabilità fisiche o deficit cognitivi, ma anche a studenti stranieri o con origini straniere, con problemi familiari, difficoltà economiche, traumi psico-fisici o questioni legate all’identità di genere o all’orientamento sessuale. Tuttavia, esiste ancora uno stigma che circonda l’idea di inclusività e che devia l’attenzione nei confronti di una sola categoria di studenti, privando le altre di risorse, progetti e opportunità.  Non è sufficiente riconoscere il problema ma è necessario agire, anche in modo abbastanza tempestivo, per correggere questa situazione dovuta ad una definizione storica e intervenire a favore di tutte le altre categorie vulnerabili. Lo scopo, infatti, rimane sempre mettere a proprio agio tutti coloro che non si sentono ancora parte della comunità studentesca o che non considerano la scuola un luogo sicuro dove poter esercitare il loro diritto all’istruzione.

Le sfide all’inclusione 

È evidente che le esperienze scolastiche degli studenti stranieri non siano ancora comparabili con quelle degli studenti italiani locali dato che il malcontento generale è evidenziato da episodi razzisti, xenofobi e di bullismo molto frequenti nel nostro Bel Paese.  È sufficiente guardare il recente caso di Willy Monteiro Duarte, il trattamento dei braccianti nei campi nel Sud Italia, o la testimonianza cantata del rapper Ghali, italiano con genitori tunisini, nella sua brano “Cara Italia”: 

C’è chi ha la mente chiusa ed è rimasto indietro, come al Medioevo.

Il giornale ne abusa, parla dello straniero come fosse un alieno 

Senza passaporto, in cerca di dinero.

Il Medioevo sarà anche lontano nel tempo, ma il 2021 in Italia non si può sicuramente definire come lontano da ideologie razziste e di chiusura mentale.  Oltre a questa diffidenza, un’altra sfida al raggiungimento di una società – e quindi di una scuola – inclusiva, è rappresentata da un fenomeno chiamato Tokenism. Questo comportamento, italianizzato “tokenismo”, viene definito come la tendenza a “fare concessioni formali a minoranze o a gruppi sottorappresentati per dare l’impressione di equità e rispetto delle pari opportunità”.

Avere un comportamento di questo tipo non rappresenta la soluzione al problema, anzi, incrementa la sensazione di differenza tra le persone con accezione negativa. Infatti, per creare un ambiente privo di discriminazioni e, di conseguenza, aperto alla diversità e all’inclusione, è necessario prima decostruire tutti i preconcetti e i bias che si hanno nei confronti di ciò che è diverso. Solo allora è possibile creare un ambiente con delle basi solide, privo di pregiudizi e aperto al cambiamento. 

É possibile che quest’attitudine derivi da buonissime intenzioni e dalla volontà di concedere visibilità, diritti, e voce a minoranze o a categorie solitamente escluse o marginalizzate. Tuttavia c’è una linea sottile tra dare visibilità ad un gruppo di persone per metterne in luce gli aspetti positivi e sconosciuti, rendendoli quindi parte del gruppo, e ridurre la diversità ad un elemento che tornerà ad essere posto in secondo piano non appena l’attenzione sarà distolta.

Purtroppo in Italia questa linea viene spesso oltrepassata, non solo dal punto di vista dell’opinione pubblica, ma soprattutto da quello mediatico. Infatti, si può notare spesso che venga dedicata particolare attenzione ad episodi xenofobi subito dopo il loro avvenimento, con grande sdegno da parte di testate giornalistiche o personalità importanti, ma che questo riguardo duri giusto il tempo necessario a ‘tranquillizzare’ la comunità coinvolta e l’opinione pubblica. 

Questo elemento è l’ennesima conferma del fatto che sia estremamente urgente che le cose cambino, soprattutto all’interno delle mura scolastiche, lì dove ragazzi e ragazze non solo imparano, ma crescono ed entrano in relazione con gli altri. Un luogo dove ognuno deve poter sentirsi al sicuro, apprezzato e valorizzato. Sensazione non ancora percepibile, dato che studenti stranieri o con origini straniere ancora oggi riscontrano problemi non indifferenti nonostante sia almeno dagli anni ’70 che si parla di integrazione scolastica.

Quali sono, quindi, i metodi e gli approcci giusti per rendere la scuola un ambiente di qualità e accessibile a tutti? 

Le principali misure per rendere la scuola un luogo più inclusivo

Come accennavo precedentemente, ora è importante, se non essenziale, procedere con azioni mirate e specifiche per l’eterogeneità delle scuole italiane, che possano modificare le attuali condizioni scolastiche sia dal punto di vista dell’accesso che dell’offerta formativa. Perchè povertà educativa, ovvero “il processo che limita il diritto dei minori ad un’educazione e li priva dell’opportunità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni”, si tradurrà in povertà sociale, comportamentale, ed economica (Rapporto Statistico 2018 – Sezione Giovani)

Investire nella scuola, nell’educazione dei ragazzi, e in progetti inclusivi che possano coinvolgere più studenti possibile è un imperativo e una necessità per il Paese dato che significherebbe automaticamente investire nel futuro di tutta la società. Ovviamente strutturare dei progetti precisi e su misura non è una questione immediata. La tempistica, però, non è una giustificazione per mantenere lo status quo e non fare nulla di utile e costruttivo nell’attesa. Al contrario, ci sono moltissimi modi di migliorare il proprio comportamento e il proprio linguaggio per non risultare discriminanti. Diversi documenti, come linee guida e reports sono già stati scritti sul tema da parte delle Nazioni Unite, UNHCR, UNICEF, Ministeri italiani e Organizzazioni Non Governative

Generalmente, il cambiamento può e dovrà avvenire su due livelli: il primo è quello personale, che riguarda accorgimenti nella propria sfera verbale, nel proprio linguaggio del corpo, e nel relazionarsi con gli altri. Il secondo è quello strutturale o istituzionale, che coinvolge quindi il progetto formativo, il piano di studi, le norme di comportamento all’interno della classe e della scuola, e la struttura fisica stessa degli istituti.  Per quanto riguarda il primo livello, le variazioni del proprio comportamento possono essere rappresentate da semplici attenzioni in più rispetto alle parole che si usano per descrivere o chiamare qualcuno. Si tratta, dunque, di evitare battute o scherzi sulla base di questioni culturali o religiose, piuttosto che di orientamento sessuale o di genere.  

Nello specifico, un vocabolario inclusivo nei confronti di ragazze e ragazzi stranieri o con un background straniero si basa sulla consapevolezza, o sul prendere coscienza, della diversità, non come qualcosa da schernire ma, al contrario, come un elemento da rispettare e magari di cui essere curiosi. É semplicemente necessario prestare più attenzione alle parole che si usano, alle frasi che si possono dire basandosi su preconcetti storici o culturali che si hanno rispetto ad una determinata cultura, o alle affermazioni che possono risultare insulti a causa di ignoranza da parte di chi le fa. Dei semplici esempi possono essere: non assumere direttamente che un ragazzo con tratti asiatici non sia italiano, non dare per scontato che una ragazza nera sia necessariamente “africana” o non sappia l’italiano. Altri comportamenti importanti possono essere far notare ad amici o parenti quando dicono frasi razziste, evitare di generalizzare o dire “tanto sono tutti uguali”, provare ad imparare il nome proprio di qualcuno, a costo di farselo ripetere.  Può essere molto costruttivo anche fare un lavoro su se stessi, chiedendosi perché si pensino alcune cose rispetto ad alcune culture o etnie. Risalire all’origine di queste idee aiuterebbe, infatti, a capire se si tratta di una generalizzazione o un pregiudizio storico-culturale.

Queste attenzioni sono fondamentali anche per una questione identitaria degli studenti stranieri o con origini straniere, i quali possono trovarsi in una situazione che non li mette a proprio agio e che li può condurre a vivere esperienze negative legate alla propria identità. Ad esempio, uno studio condotto dal Dipartimento di Studi Sociali e Politici dell’Università di Milano ha riscontrato che il 30% degli alunni stranieri non sa ancora se definirsi, e sentirsi, italiano/a o straniero/a. La loro esperienza scolastica, quindi, ha un grande impatto non solo dal punto di vista sociale, lavorativo, e familiare, ma anche nel loro processo di crescita e di costruzione identitaria, e per questo, va tutelata a tutti i costi.

Per quanto riguarda la sfera “strutturale” o “istituzionale”, gli accorgimenti potrebbe risultare più impegnativi in termini di tempo, logistica e di soldi.  Un primo elemento da modificare, o meglio, a cui prestare più attenzione, è sicuramente la struttura e il posizionamento della scuola. È necessario prevedere accessi facilitati per studenti con disabilità fisiche e far coincidere scuole di ogni livello con la pianificazione urbana, così che ogni studente abbia la possibilità di andare a scuola nei pressi della sua abitazione e non si veda costretto ogni giorno ad un viaggio dispendioso sia a livello economico che di tempo per andare a lezione. 

Il piano formativo è sicuramente il secondo elemento da prendere in considerazione. Una maggiore attenzione a temi come l’educazione civica, il diritto allo studio, il fenomeno migratorio, la diversità, o i diritti umani in generale, rappresenterebbe già un passo avanti non indifferente. A questo proposito, il MIUR ha pubblicato, nel 2014, le “Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri”. Questo documento è stato redatto con l’obiettivo di promuovere l’educazione interculturale che:

rifiuta sia la logica dell’assimilazione, sia quella di una convivenza tra comunità etniche chiuse, ed è orientata a favorire il confronto, il dialogo, il reciproco riconoscimento e arricchimento delle persone nel rispetto delle diverse identità e appartenenze e delle pluralità di esperienze spesso multidimensionali di ciascuno, italiano e non”.

Inoltre, semplicemente tradurre i moduli, la presentazione della scuola, del piano formativo e dei i servizi disponibili, nelle lingue madri dei ragazzi e ragazze presenti nella scuola ritrarrebbe una predisposizione di benvenuto nei loro confronti. La lingua, infatti, rappresenta uno degli impedimenti maggiori per uno studente o una studentessa con origini straniere, dato che simboleggia la chiave per avere accesso alla nuova società di insediamento. In risposta a questo problema visibile, sono stati attivati diversi progetti, un esempio è Studiare Migrando, un’app che favorisce l’apprendimento della lingua italiana, sviluppata nel 2017 grazie ad una collaborazione tra UNICEF Italia e l’Università di Palermo (all’interno del Programma dell’UNICEF in Italia a sostegno dei bambini e adolescenti migranti e rifugiati del 2018).

Un’altra questione spinosa, che ostacola l’accesso libero ed uguale a tutti i ragazzi e ragazze in età scolare, è la disponibilità e condizione economica della famiglia. Eliminare le barriere all’educazione significa anche essere consapevoli del fatto che non tutti possono permettersi di mandare i propri figli a scuola. Questo avviene perché la scuola comporta molti costi aggiuntivi (materiale, uscite, attività) che non sempre possono essere sostenuti dai genitori. Fornire un sostegno economico risulta quindi essenziale se non si vuole lasciare nessuno “indietro” e per creare una relazione con la famiglia, elemento cardine per l’inclusione di studenti stranieri nelle scuole.

Conclusioni

La strada verso la totale inclusività nelle scuole è ancora lunga, soprattutto perché, nonostante gli sforzi e le linee guida del Ministero dell’Istruzione, il cambiamento principale deve avvenire prima a livello socio-culturale. Di conseguenza, finché l’Italia rimarrà un Paese con un’età media di 45 anni e un rapporto di 5 anziani per ogni bambino, la mentalità della società rimarrà per la maggior parte ferma sulla propria posizione, poco incline a scoprire la diversità e spaventata all’idea del cambiamento.

Sarà, quindi, compito e dovere dei giovani e delle nuove generazioni promuovere la necessità e la bellezza dell’apertura, incentivare la creazione di ambienti inclusivi, e far sentire la propria voce riguardo il ruolo della scuola nella vita e integrazione degli stranieri, e in questo caso studenti, in Italia. 

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