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In un mondo di formatori c’è bisogno di progettisti

La domanda che molte persone mi fanno quando dico che ho studiato Scienze della formazione è «ma quindi lavori con i bambini?». Vorrei partire da questo equivoco per fare chiarezza riguardo ad un corso di laurea e ad una delle professioni a cui esso apre

La risposta, innanzitutto, è «no». Studiando Scienze della formazione non si va per forza a lavorare nel settore educativo dell’infanzia o dell’adolescenza. Nell’ambito di educazione e formazione esiste anche lo studio dell’apprendimento in età adulta.

Il concetto di lifelong learning, ovvero di apprendimento lungo tutto l’arco della vita, ci aiuta a individuare il bisogno di una formazione che accompagni la persona anche oltre l’età dello sviluppo. Tale concetto è alla base della Strategia di Lisbona del 2000, la quale si prefiggeva di fondare l’economia europea sulla conoscenza rivoluzionando i settori della formazione e del lavoro. Tale strategia contribuisce a formare un solido legame tra gli elementi di formazione-lavoro-apprendimento (Alessandrini, 2016, p. 45).

Cito la Strategia di Lisbona poiché essa ha introdotto  in maniera decisiva la tematica della formazione come educazione degli adulti o andragogia. Quest’ultimo termine ha acquisito notorietà grazie a Malcolm Knowles (1913-1997), anche se era già presente nel 1833 negli studi di Kapp, che avevano come scopo il delineare una continuità della formazione e dell’apprendimento nell’arco della vita. Da qui la conseguente necessità di una validità scientifica riguardo all’educazione degli adulti (D. Demetrio, 2003, p. 106).

Da queste radici si è acquisita consapevolezza del valore dell’apprendimento in età adulta. Di un caso specifico ho scritto in un precedente articolo dove ho approfondito proprio la formazione aziendale come valore aggiunto su cui investire risorse, come per esempio i Fondi Interprofessionali. 

A questa pratica necessaria sviluppatasi nel mondo delle risorse umane bisogna affiancare, dunque, una determinata professionalità. Torniamo, quindi, alla facoltà di Scienze della formazione, quella che non forma solo laureati nell’ambito della formazione primaria e del nido, bensì esperti di educazione degli adulti e formazione continua.

Formatori senza progetto

A questo punto, le stesse persone che prima mi avevano scambiato per un educatore dell’infanzia di solito decidono di rincarare la dose. Convinti di aver capito urlano a gran voce: «Ah ma allora fai il formatore!». 

Anche qui l’errore è grande. Volendo essere ottimisti, c’è la soddisfazione di aver fatto capire come Scienze della formazione non consista solo in quell’accudimento femminile secondo la visione stereotipata che porta a quell’86,4% di donne laureate in tale corso, come si legge anche dalle nostre analisi sui Ranking Education Around 2021

Volendo essere pessimisti, invece, dovremmo evidenziare l’errore. È scorretto dire che un laureato in Scienze della formazione farà il formatore. Il motivo è molto semplice. I formatori sono dei docenti. Sono specializzati in un determinato ambito e mettono a disposizione le loro conoscenze per i partecipanti dei corsi di formazione. 

Guardiamo proprio ai percorsi formativi progettati dagli enti di formazione accreditati alle varie regioni italiane. 

Sfogliando il catalogo di corsi offerti da vari enti possiamo notare settori come il marketing, la contabilità, la ristorazione fino alle competenze trasversali. I docenti in questi ambiti potranno essere responsabili del marketing di una data azienda, come anche imprenditori e ristoratori che hanno le competenze e l’esperienza per tenere i corsi. 

Di certo il requisito non è quello di aver frequentato Scienze della formazione. Piuttosto dovranno essere in grado di garantire il trasferimento di conoscenze e competenze. Tale garanzia può esser data dalla stessa partecipazione dei formatori ad una formazione, per esempio attraverso quella proposta dall’AIF Associazione Italiana Formatori.

L’idea che in un corso di formazione esista solamente il formatore, tutt’al più un committente, è malsana, priva di visione sistemica. Un grande attore direbbe «molto italiana come cosa». Scherzi a parte, recuperando quella visione capiremo anche il ruolo di chi fa Scienze della formazione e studia l’educazione degli adulti.

Un’Italia senza progetti

Nell’ultimo numero di Ritagli, la newsletter di Education Around, ho raccontato di questa superficialità, di questa mancanza di visione. Ho scritto di un po’ di problemi e ingiustizie nel nostro paese, almeno solo quelli dell’ultimo minuto. Di fronte allo scontro tra gli stendardi delle tifoserie del dibattito pubblico mi sono augurato solo una cosa: che si progetti seriamente l’implementazione del Recovery Plan. 

Il mio auspicio è per un’Italia che riesca a guardare avanti in un’ottica progettuale, analizzando delle situazioni problematiche e promuovendo dei relativi cambiamenti. 

Chi e come dovrebbe occuparsi della progettazione? Ci arriveremo tra poco. Prima vediamo l’anatomia di un progetto di un corso di formazione. Esso esiste in virtù dell’individuazione di una situazione problematica che può essere risolta promuovendo degli apprendimenti. 

Proviamo a fare un esempio. Un’impresa che si occupa di vendita al dettaglio a marzo 2020 si è trovata a dover sospendere i servizi di front-office a causa della pandemia da SARS-COV2. È un problema perché è un’impresa ben inserita nel tessuto sociale del territorio e ha un giro di clienti consolidato. Quei clienti vogliono ancora i prodotti di quell’impresa la quale però ha sempre lavorato “in presenza”. L’alternativa, neanche a dirlo, è Amazon. Ora, quindi, per l’impresa si è generata una situazione problematica, un bisogno. Una possibile risposta richiede un’analisi alla base per poi mobilitare le risorse necessarie a risolvere il problema. Si scopre che all’impresa manca un e-commerce e la comunicazione ha risentito delle chiusure e della conseguente distanza dai clienti.

Una possibile soluzione può essere quella di investire in formazione e fornire competenze digitali per la creazione e la gestione di un sito web per portare avanti le vendite. L’altro fabbisogno relativo alla comunicazione può essere risolto con un corso base di marketing e comunicazione d’impresa.

Come si può realizzare tutto ciò?

L’impresa, se non l’ha già fatto, potrebbe aderire a un fondo interprofessionale ricevendo in cambio la formazione necessaria grazie ad un ente di formazione accreditato. L’ente si impegna a rispondere a un bando del fondo interprofessionale a cui aderisce l’impresa, presentando un progetto formativo. Questo, in realtà, sarebbe il terreno comune da cui partire. Infatti, la formazione e l’aggiornamento devono essere continui grazie all’analisi dei fabbisogni formativi delle imprese che un ente di formazione può operare periodicamente.

La progettazione come pratica meta-disciplinare

Qui chiudiamo il cerchio rispondendo alla domanda sul ruolo di chi ha studiato l’educazione degli adulti. L’analisi dei fabbisogni e la realizzazione di un progetto formativo non sono di competenza del formatore, ovvero di un docente. Quest’ultimo, infatti, può pensare a come organizzare didatticamente il corso ma le condizioni per la realizzazione sono materia  di un progettista. 

È una figura difficile da fotografare. La derivazione è di stampo ingegneristico e architettonico, come risulta evidente da  figure come quella di Pier Luigi Nervi

Aviorimesse di Orbetello, Pier luigi Nervi

La stessa definizione di progetto ci racconta questa genesi da altre discipline.

«Il complesso degli elaborati tecnici che determinano le forme e le dimensioni di un’opera da costruire, ne stabiliscono i materiali e l’esecuzione, ed eventualmente ne stimano anche il costo ◊ Metodo dei p.: metodo didattico attivo che orienta tutta l’attività scolastica verso un piano di lavoro intrapreso volontariamente e in comune dagli alunni. [dal franc. Projet]» (C. Devoto, G. C. Oli, 1967, cit., p. 625).

Quest’aura ibrida la progettazione formativa non se l’è ancora scrollata di dosso. Cercando lavoro attraverso Linkedin o Indeed, un progettista di formazione dovrà prima scorrere  numerose offerte da progettisti meccanici e di costruzioni. Non che il traguardo sia più roseo, data la competizione con con ingegneri gestionali ed economisti ammaliati dal titolo di Project Manager.

Eppure, il parallelismo persiste: con i background più diversi si può giungere allo stesso traguardo . Il carattere ibrido e meta-disciplinare della progettazione dà l’idea di una pratica di ideazione e scrittura di un documento progettuale che potrebbe valere per ogni ambito. L’implementazione – altro momento del progetto – richiede altre competenze che lo stesso progettista dovrà curarsi di reperire. Nel caso del corso di formazione qui ritorna il formatore: colui che tiene il corso. 

Ciò che conta quindi è la complessità da affrontare quando ancora non c’è niente, solo una timida idea o una generica commissione. Da lì si formula quel proposito comune a qualsiasi progettista: cercare di prevedere una data situazione – che sia il potenziale crollo di un ponte o l’apprendimento da parte di un corsista. Lo spiega con parole migliori Herbert Simon (1916-2001).

«Prepara un progetto chiunque pensi ad azioni destinate a trasformare situazioni esistenti in situazioni desiderate. L’attività intellettuale che produce certi fatti materiali non è sostanzialmente diversa da quella che prescrive cure a un paziente ammalato o da quella che studia un nuovo piano di vendite per un’azienda o la politica assistenziale di uno Stato» (H. Simon, 1976, p. 79)

Tornare a progettare a tutti i costi

La questione, a molti, potrebbe sembrare superflua, – addirittura banale – se si guarda alla scarsità di risorse che caratterizza la maggior parte dei nostri contesti operativi. L’equivoco che si genera tra i ruoli del formatore e del progettista viene spesso volutamente ignorato per la mancanza di fondi. Così, poi, si giustifica la conseguente cessione della responsabilità di un lavoro ad una sola figura. Lo sanno bene gli autori che scrivono di formazione. Lo sa bene Maurizio Castagna che presenta un accurato schema della progettazione per poi affidarlo alla responsabilità non di un progettista ma di un formatore.

Schema della formazione secondo Castagna (M. Castagna, 1991, p. 15)

Il punto, però, è che non ci si può nascondere dietro all’emergenza e alla necessità che portano ad una eccessiva semplificazione. Le stesse motivazioni che spingono valutare un corso con un questionario di gradimento al posto di un’analisi accurata. Bisogna invece far valere un concetto: stabilire quella visione sistemica di cui ho parlato prima. 

Differenziare per valorizzare: così un progetto formativo non sarà solo un’aula con dei discenti. Fa sorridere pensare che l’istruzione stessa proponga tale prospettiva. Programmi rigidi – non rispettati – e lezioni frontali che denotano la mancanza di progettazione pedagogica.

Ad ogni modo la questione che riguarda il futuro prossimo è seria. La responsabilità a cui siamo chiamati con l’implementazione del Recovery Plan è grande, forse epocale. La storia recente ci dice che a queste occasioni arriviamo impreparati. Restituiamo una grossa quantità di fondi europei – almeno il 60% di ciò che è destinato al nostro Paese – per mancanza di progetti, che si allaccia alla penuria di progettisti: un circolo vizioso in piena regola. In un vecchio articolo ho scritto di europrogettazione proprio pensando in questi termini. 

In un mondo in cui ognuno può inventarsi formatore (pur non essendolo, ndr) è necessario tornare a progettare le cose prevedendo situazioni, coordinando risorse materiali e umane per costruire un futuro più ragionato.

BIBLIOGRAFIA

G. Alessandrini, Nuovo manuale per l’esperto di processi formativi, Carocci Editore, Roma 2016.

M. Castagna, Progettare la formazione. Guida metodologica per la progettazione del lavoro in aula, Franco Angeli, Milano 1991.

D. Demetrio, Manuale di educazione degli adulti, Laterza, Roma-Bari 2003.

C. Devoto, G. C. Oli, Vocabolario illustrato della lingua italiana. Selezione dal reader’s digest, Casa Editrice Felice Le Monnier, Milano 1967.- H. Simon, Le scienze dell’artificiale, Isedi, Milano 1976.

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