Di Emanuele Lepore
Introduzione
Ci sono parole che se ne portano dietro molte altre, che strutturano i nostri concetti e le nostre esperienze. Scuola è una di queste, ed è ovunque. Il modo in cui concepiamo la scuola, l’apprendimento e l’insegnamento dice molto della più generale visione del mondo in cui ci riconosciamo.
L’istituzione scolastica, infatti, gioca un ruolo fondamentale nell’architettura delle nostre vite. Essa determina il modo in cui siamo abituati a interagire gli uni con gli altri, facilita o tenta di bloccare certi comportamenti. Tra scuola e società vi è un rapporto di stretta reciprocità: un certo tipo di società ha bisogno, per mantenersi, di una forma adeguata di scuola, in cui saranno educate le future generazioni che abiteranno la società stessa.
È dunque evidente che, dietro ad una parola d’uso comune, si celano idee ed esperienze differenti, visioni del mondo eterogenee. Quando diciamo scuola crediamo forse di riferirci automaticamente alla stessa cosa, ma non è così.
Per sperimentare la polivocità del concetto di scuola – e la sua relazione con l’idea che abbiamo della società – proviamo a familiarizzare con una figura sui generis: Colin Ward, fondamentale nella costellazione del pensiero libertario.
Avvertiamo subito che in questo articolo non vi saranno risposte alle domande che, di volta in volta, sorgeranno in chi lo leggesse. Più che di una presentazione del pensiero di Ward, infatti, vorrei offrire un libero invito alla conoscenza diretta di questo autore e della sua opera. Alla fine dell’articolo, alcune risorse utili per chi volesse conoscere meglio la prospettiva libertaria.
1. Chi è Colin Ward?
Wanstead è un’area suburbana di Londra, in cui le tracce d’insediamenti umani risalgono al Paleolitico, riplasmata a partire dal 1860 per soddisfare le richieste della high class. È qui che il 14 agosto 1924 nacque Colin Ward, il quale ebbe subito accesso all’ambiente politico e sociale inglese di quegli anni.
La maturazione verso l’anarchia si consuma sotto le armi. Durante la Seconda guerra mondiale, svolse il proprio servizio nella British Army in Scozia, precisamente nella città di Glasgow, in cui è all’opera un vivo movimento anarchico. Figure di spicco animavano questo movimento, intraprendendo diverse azioni di resistenza alla guerra, per esempio contro la coscrizione. Tra queste figure, Frank Leech (1900-1953) ebbe particolare influenza su Ward, inducendolo anche a scrivere come corrispondente per la rivista War Commentary. Fu fondamentale, poiché dopo la guerra, il nostro trovò nell’impegno editoriale e pubblicistico uno dei suoi principali filoni di attività all’interno del movimento libertario: lavorò nella redazione della rivista anarchica inglese Freedom fino al 1960, anno in cui fondò il mensile Anarchy, che andò in stampa fino al 1970.
Colin Ward è noto come pubblicista e teorico libertario: fu autore di alcuni testi centrali per una comprensione approfondita di che cosa possa significare anarchia. Liberandosi degli stereotipi più in voga, il suo pensiero mette in luce le traiettorie fondamentali di questa visione del mondo. Il suo stile asciutto e chiarificatore è forse anche esito degli anni in cui Ward fu progettista e urbanista.
[…] L’anarchismo non è la visione, basata su congetture, di una società futura, ma la descrizione di un modo umano di organizzarsi radicato nell’esperienza della vita quotidiana, che funziona a fianco delle tendenze spiccatamente autoritarie della nostra società e nonostante quelle.
C.Ward, Anarchia come organizzazione, elèuthera 2019, p.14
2. Scuola, spazio e libertà: l’attenzione di Ward per l’educazione.
Nel corso della sua opera, Ward ha sempre mostrato una spiccata attenzione ai temi dello spazio e dei diversi modi di interagire con quest’ultimo. Almeno a partire dagli anni Settanta, poi, scrive testi inerenti all’educazione.
Educazione è una delle cifre stilistiche di Colin Ward: i suoi testi, infatti, non sono né semplice propaganda né pura speculazione utopica. Non si tratta di immaginare la società del futuro partendo da alcuni principi fissati in partenza. Con un pensiero chiaro e indipendente, Ward ci aiuta a mettere a fuoco pratiche di vita in cui già siamo in grado di essere più liberi. In alcuni degli ambiti fondamentali della nostra esistenza, infatti, scopriamo di potere mettere in gioco modi di convivenza fondati sulla radicale affermazione dell’uguaglianza.
L’educazione è certamente l’ambito in cui queste pratiche vanno scovate, comprese e riprodotte, sulla base delle esigenze che maturiamo nel corso della nostra storia e della nostra evoluzione.
È soprattutto al modo di vivere dei bambini che il libertario britannico guarda con interesse: in piena coerenza con un’antropologia fondata sull’ affermazione della libertà, infatti, la figura del bambino è fatta emergere per la sua capacità di scorgere vie d’azione che altri non riescono a vedere. Dal modo in cui i bambini vivono lo spazio, si deve imparare.
Un tipo di educazione non verticistica, tipicamente libertaria, è all’opera quando si lascia il bambino libero di sperimentare, di processare gli stimoli che riceve dall’ambiente in cui vive.
Uno degli esempi più lampati di possibilità reale di praticare la libertà è offerto dai campi-gioco, sviluppati per rispondere all’alta densità di popolazione nelle aree urbane.
La risposta di tipo autoritario a questo bisogno è consistita nel fornire uno spiazzo di cemento e dei costosi attrezzi di ferro, altalene, dondoli, giostre, che sono indubbiamente divertenti […] ma non richiedono alcun apporto creativo o di fantasia da parte dei bambini, e non possono venir utilizzati nell’ambito di attività spontanee o di gruppo.
C. Ward, Anarchia come organizzazione, p.132
Una risposta libertaria, invece, afferma anzitutto l’idea che gli spazi sono prodotti della nostra azione, dunque possono essere plasmati in maniera tale da favorire la vita libera e spontanea.
In questo senso, possiamo dire che per Colin Ward la scuola è ovunque: ogni spazio può essere pensato per essere scuola. E quest’ultima può, liberata dai vincoli di edifici inservibili, espandersi e irrorare di sé lo spazio sociale nella sua totalità.
3. L’educazione incidentale
Insistere sulla necessità che i bambini – ma la persona umana in generale – siano liberi di apprendere sperimentando non significa, come si potrebbe credere di primo acchito, smantellare l’idea di scuola. Tantomeno significa affermare che ciascuno sia sufficiente a se stesso e che alla base dell’apprendimento non vi sia l’incontro con l’altro, lo scambio.
Tutto il contrario.
Ragionando attorno alle differenze di apprendimento tra i “ragazzi di città” e i “ragazzi di campagna”, Colin Ward fa notare come i secondi sviluppassero solitamente delle conoscenze e delle competenze assai più radicate dei primi: ciò che essi imparavano, era incorporato attraverso una serie di pratiche quotidiane. L’ambiente della campagna metteva a disposizione di questi bambini delle risorse e delle occasioni di apprendimento che, invece, ai loro coetanei cresciuti in città erano precluse.
Tra città e campagna, però, non v’è una distinzione manichea.
Anche in città, infatti, è possibile lasciare che l’ambiente si offra come spazio dell’educazione. La differenza è fatta dal modo in cui è concesso alle persone di vivere l’ambiente in cui si ritrovano. Non a caso Colin Ward insiste a più riprese sul valore educativo della strada, di uno spazio che si presta all’esplorazione e al gioco da parte dei bambini, all’apprendimento attraverso il confronto con i propri pari.
3.1 Che fare?
Anche sulla scorta dei lavori di Paul Goodman (1911-1972), Colin Ward indaga dunque le possibilità di apprendimento e formazione liberate da una educazione incidentale, che si presti a cogliere dall’ambiente risorse e occasioni di crescita e di riflessione, di studio e riflessione critica.
Certo, ‘stare in strada’ non basta.
Occorre anzitutto comprendere l’ambiente in cui si vogliono situare pratiche educative, conoscerne la tramatura per sapere dove e come intervenire affinché abbia una forma che si presti alla crescita e all’apprendimento, piuttosto che alla mortificazione delle facoltà umane.
Le caratteristiche essenziali della strada non vengono insegnate agli architetti e agli urbanisti, né tanto meno ai cittadini. Non vengono apprezzate dagli adulti, figurarsi dai bambini. Anzi, i nostri sforzi finora si sono concentrati nel tenere i bambini lontani dalle strade. Non potremmo tutto al contrario fare uno sforzo consapevole per educare le nuove generazioni al funzionamento della città attraverso l’uso della strada?
C. Ward, L’educazione incidentale, elèuthera 2018, p. 79
4. Se la scuola è ovunque, dove trovarla?
Per un verso abbiamo detto che l’educazione incidentale e libertaria di Colin Ward chiede di svolgersi nell’ambiente della vita, più che in uno spazio ristretto iscritto all’interno di quest’ultimo. Per altro verso abbiamo esplicitato che non basta stare in un ambiente per poterne apprezzare il potenziale educativo.
Allora in che senso la scuola è ovunque?
La chiave di volta è offerta dallo stesso Ward. Dobbiamo ripensare la scuola, anzitutto come spazio in cui le persone sono coinvolte in processi complessi, in pratiche di apprendimento e di insegnamento. Questo significa individuare il nesso fondamentale che lega la scuola come spazio e le pratiche che in esso vengono sviluppate. Non basta più pensare agli edifici scolastici in termini di ‘contenitori’ che raccolgono un ‘contenuto’, come se i due fattori fossero indipendenti.
Vediamo qui la saldatura di due filoni fondamentali dell’opera di Ward: l’educazione e l’architettura.
Se vogliamo ripensare le pratiche educative, infatti, non possiamo non sforzarci di liberarci da quella che Ward definì architettura dell’alienazione.
Vita pubblica, industria, commercio, educazione, amministrazione, tempo libero e abitazioni, nel loro assetto fisico, procurano una qualche gioia al progettista al tavolo da disegno, all’operaio nel cantiere, a chi usa l’edificio, al passante che si guarda attorno?
C.Ward, L’architettura del dissenso, elèuthera 2017, p. 19
5. Armonia e complessità: la sfida della libertà
Siamo dinnanzi ad un mosaico e vediamo moltiplicarsi le sue tessere.
Approfondire il tema dell’educazione, ci porta a interrogarci sul modo in cui interagiamo con l’ambiente in cui viviamo. Ward, poi, ci chiede di mettere radicalmente in discussione la percezione che abbiamo di ciò che “è dentro” e di ciò che “è fuori” dalla scuola. Ci ritroviamo, dunque, con un chiasmo di problematiche da affrontare. Sarebbe bene affrontare un versante e, una volta risolto questo, iniziare ad occuparsi dell’altro: certamente sarebbe confortante.
La realtà, però, chiede altro tipo di analisi, vive di processi assai più intrecciati. Abbiamo bisogno di pratiche – dunque anche di pratiche teoriche – complesse.
L’armonia nasce dalla complessità, non dall’unità indifferenziata. […] L’anarchia risulta non dalla semplicità di una società priva di organizzazione sociale, ma dalla complessità e dalla molteplicità di forme di organizzazione sociale.
C. Ward, Anarchia come organizzazione, p. 67
Ciò che ciascuno può fare, per non perdere il presente in vista di un futuro che non verrà certo da sé, è lasciarsi ispirare da figure come quella di Colin Ward, prendere sul serio l’educazione e scovare i semi di una nuova configurazione del mondo, come i rabdomanti – per riprendere una bella espressione di Giacomo Borrella nella sua Introduzione a L’architettura del dissenso.
Se la scuola è ovunque, a noi tocca il compito di rintracciarne le potenzialità e farle fiorire.
La sfida è ardua, certo (e per questo stimolante), poiché in temi di incertezze si è tentati di ricorrere alla chiusura come meccanismo di difesa, alla semplificazione come modo per ridurre la complessità con cui riteniamo di non potere avere a che fare. Proprio quando forse ci sarebbe bisogno di investire radicalmente nella pluralità libera.