Se, come me, alle superiori avete avuto (o avete) problemi con tutto ciò che riguarda lo studio di funzione e l’algebra lineare, ho un solo consiglio per voi: 3Blue1Brown. Dietro questo nome si nasconde il canale YouTube di Grant Sanderson, matematico e divulgatore, e del suo team di collaboratori, che include programmatori e artisti. 3Blue1Brown parte dal presupposto che la matematica sia intrinsecamente visiva e che l’unico modo per spiegarla a fondo sia tramite l’intuizione geometrica e l’animazione grafica in 2D e 3D. Propone una metodologia educativa basata sull’investigazione e sulla formulazione di domande (Inquiry Based Learning, o IBL), e sull’idea che anche studenti e studentesse possano “inventare la matematica” piuttosto che impararla . Personalmente, penso di aver imparato di più con la loro serie sui fondamenti dello studio di funzione e dell’algebra lineare che in ore di lezione frontale in classe. Il punto non è tanto che il metodo di insegnamento tradizionale fosse inadeguato, ma che fosse inadatto ad un bisogno personale che richiede invece un approccio che più adeguato ad un particolare tipo di intelligenza e stile di apprendimento.
Ricercatori e ricercatrici non sono concordi su un’unica definizione di intelligenza: alcuni, come Howard Gardner, postulano l’esistenza di intelligenze multiple. Gardner crede che i metodi di insegnamento debbano essere individualizzati anche per un singolo concetto, che solo così risulterebbe alla portata di studenti e studentesse che eccellono in tipi differenti di intelligenza.
Come per le teorie sull’intelligenza, esistono varie teorie sugli stili di apprendimento e sul loro uso all’interno di una strategia educativa. Lo stesso IBL, menzionato prima, è un modello che si basa su un approccio di ricerca che richiede di porsi domande, raccogliere dati, avanzare ipotesi, analizzare le evidenze e trarre conclusioni. Un altro modello molto popolare è il VARK, che distingue le forme di apprendimento in visivo-spaziale, uditivo, basato sulla lettura-scrittura, e cinestetico. Prendendo le mosse dalla teoria delle intelligenze multiple, altri approcci aggiungono a queste forme di apprendimento strategie logico-analitiche (costruzione di modelli logici, spiegazioni basate su catene di cause ed effetto) e socio-linguistiche (apprendimento tramite interazione in gruppo, dialogo, dibattito).
Altre teorie hanno sviluppato degli archetipi di discente, solitamente basati sulla predilezione personale verso i due estremi di uno spettro in diverse categorie. Per esempio, si parla di apprendimento attivo quando il discente apprende meglio in situazioni in cui può sperimentare, spesso in gruppo, mentre chi predilige un apprendimento riflessivo ha bisogno di tempo per analizzare con calma e in autonomia ogni nuovo input; oppure, l’apprendimento sensoriale necessita di metodicità, procedure standardizzate, dati e fatti concreti, mentre quello intuitivo fa molto uso di astrazione, simbolismo, relazioni tra concetti. Esistono addirittura dei test online pensati per aiutare ad identificare il proprio stile preferito. Qualunque sia il modello adottato, bisogna ricordare che queste preferenze di apprendimento personali non sono statiche nel tempo, che adoperiamo una combinazione di varie strategie ogni volta che apprendiamo e che usiamo combinazioni differenti a seconda di ciò che stiamo imparando.
Se queste teorie si rivelassero vere, la presenza di varie forme di intelligenza e di vari stili di apprendimento per ognuna di esse darebbe origine a una complessità che dovrebbe riflettersi nel sistema educativo. Significherebbe dare ai docenti una formazione e una “cassetta degli attrezzi” che contenga vari modelli educativi, oltre che la capacità di adattarli per singoli individui o gruppi di studenti e studentesse.
Nel campo della scuola superiore, un’educazione del genere implicherebbe un rapporto personalizzato con ogni alunno e alunna, classi molto piccole per rendere gestibile l’interazione, un vasto numero di insegnanti specializzati in differenti metodi, e tempo e risorse a disposizione per coprire tutti gli argomenti usando molteplici metodi educativi. Un cambio di paradigma significativo in un sistema come quello odierno, che propone un’offerta educativa spesso omogenea e che tende a lasciare indietro chi non riesce a tenere il passo, portando spesso ad un abbandono del percorso scolastico. Sarebbe anche una rivoluzione dai costi economici considerevoli, che rappresenterebbero un ulteriore ostacolo anche qualora questo modello ottenesse un’approvazione politica.
Considerata la scarsa probabilità di un cambiamento sistemico dall’alto, sembra che a studentesse, studenti e docenti non resti altra scelta se non autorganizzarsi nella ricerca di metodi educativi alternativi. E ad agevolare quest’ultima potrebbe essere proprio un nuovo tipo di intelligenza, non contemplata negli elenchi di Gardner e colleghi: quella artificiale.
L’IA come compagna di studio
Dopo aver visto la loro serie su come funzionano le reti neurali, torno spesso sulla pagina di 3Blue1Brown nella speranza che carichino dei video sul funzionamento dei nuovi strumenti di machine learning, dai modelli di linguaggio di grandi dimensioni a quelli di text-to-image.
I Large Language Models (LLM), di cui ChatGPT è un esempio, sono ormai capaci di gestire una conversazione e dare spiegazioni in risposta a domande e commenti. Questo approccio è molto simile ad una conversazione, un metodo di apprendimento familiare e preferito soprattutto dagli amanti di un approccio sociolinguistico. Si può chiedere a un chatbot se la nostra comprensione di un concetto sia effettivamente corretta, farsi spiegare un particolare passaggio o termine, espandere una parte del discorso, riformulare una spiegazione con altri termini o con un focus diverso. Il programma è capace di rimanere cosciente del contesto e ricordare le risposte precedenti: questo fa sembrare l’interazione molto più simile alla lettura di un testo con a fianco un esperto – a cui porre domande in caso di dubbio – che non all’utilizzo di un motore di ricerca.
Sarebbe però sbagliato credere che il programma capisca effettivamente di cosa stia parlando: sta infatti semplicemente sintetizzando migliaia di contenuti che facevano parte del suo training set, senza peraltro distinguere questi contenuti in base a origine, autorevolezza o veridicità. Pur non rappresentando un problema quando l’IA viene interrogata su fatti o concetti su cui si è raggiunto un consenso, lo diventa quando si chiedono spiegazioni e analisi di fenomeni complessi: in questi casi il programma restituisce spiegazioni generiche, sfocate, e generalmente senza profondità. Resta quindi il dubbio che una macchina che non capisce nessun concetto sia in grado di spiegarcene anche solo uno.
Per questo motivo, è generalmente consigliato fornire un testo ad un LLM piuttosto che farlo generare dall’algoritmo. In queste circostanze, il modello è estremamente abile nel produrre un riassunto sintetico, focalizzandosi su particolari concetti se richiesto. Il risultato finale è solitamente un testo che cattura gli elementi salienti del documento originale in maniera coerente e ben strutturata, un risultato impressionante considerato che non si basa su una vera comprensione del tema trattato. Questo uso dei LLM può essere utile per chi preferisce un approccio verbale all’apprendimento, riuscendo a produrre un elevato numero di riassunti in formato digitale per usi futuri. Potrebbe però rivelarsi un’arma a doppio taglio: studentesse e studenti con un approccio verbale tendono ad imparare di più dal processo di analisi e sintesi culminante nella produzione del riassunto piuttosto che dal riassunto stesso. Se si elimina il viaggio, la destinazione potrebbe non essere più così accattivante.
Per quanto gli LLM non siano in grado di produrre immagini, alcuni modelli (tra cui Chat GPT-4) sono in grado di creare diagrammi di flusso, diagrammi di sequenza e mappe concettuali e mentali che riassumono, schematizzano e organizzano un testo in un formato visuale. Il trucco sta nel fatto che essi non stanno propriamente disegnando, ma “scrivendo” i diagrammi usando linguaggi di programmazione che, se aperti con appositi software (come Obsidian), restituiscono un output grafico. Uno strumento di questo tipo potrebbe essere utile per studenti e studentesse che prediligono un approccio più visivo, ma anche per gli amanti dell’apprendimento con strumenti logico-analitici o basati su procedure e sequenze ben strutturate.
Sfortunatamente, gli output di processi come questi non possono essere modificati come immagini, ma richiedono una minima conoscenza del linguaggio di programmazione utilizzato per essere manipolati. Fortunatamente, d’altro canto, gli LLM chatbots danno il meglio di sé nella comprensione e spiegazione di stringhe di codice in un elevato numero di linguaggi diversi. Per appassionate e appassionati di informatica che prediligono un metodo attivo, fatto di sperimentazione, tentativi ed errori, gli LLM chatbots potrebbero risultare particolarmente utili, anche per la loro capacità di fornire delucidazioni davanti a un errore nel codice.
Purtroppo, i veri programmi text-to-image producono risultati abbastanza deludenti da un punto di vista educativo. La combinazione di testo e immagine è ancora uno dei loro punti deboli, così come l’inserimento di dati affidabili all’interno di un’immagine. Quando ho chiesto a Wepik di produrre una mappa che descrivesse l’avanzata e ritirata di Napoleone nella campagna di Russia, il risultato non è stato particolarmente esemplificativo. Sicuramente molto lontano dalla chiarezza delle produzioni di Minards, considerato uno dei padri dell’infografica moderna.
I modelli attualmente disponibili ancora molto indietro riguardo alla produzione di simulazioni ed animazioni 2D e 3D in risposta ad un prompt, che sono invece sapientemente usate in moltissimi campi (matematica, fisica, biologia, ingegneria, etc.). Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale in questi ambiti è però eccezionalmente rapida, e le innovazioni potrebbero arrivare velocemente e con grandi ed inaspettati balzi in avanti.
Verso un nuovo paradigma
Questo articolo ha solo suggerito alcuni modi in cui gli strumenti di intelligenza artificiale possano supportare varie forme di apprendimento. Per esempio, non sono stati analizzati in dettaglio modelli di speech-to-text, che convertono audio in testo e viceversa (particolarmente utili per chi è portato ad un approccio uditivo), o i sistemi di traduzione automatica, che danno accesso a materiale in un elevato numero di lingue straniere (potreste averne utilizzato uno per tradurre alcuni dei link in questo articolo, ad esempio).
Al netto di questo, tuttavia, la sfida è quella di sviluppare questi strumenti in una direzione che aiuti l’apprendimento umano, piuttosto che l’eliminazione delle persone dai processi decisionali. Focalizzarsi su applicazioni il più possibile accessibili, aperte e trasparenti, che possano essere usate in autonomia da docenti e discenti per spiegare e farsi spiegare concetti in modalità adattate alle proprie preferenze – sia facendo leva sugli stili di apprendimento a noi più congeniali, sia rafforzandoci su quelli in cui siamo più deboli. E, soprattutto, riconoscendo i limiti intrinsechi e strutturali delle intelligenze artificiali nella loro relazione con le intelligenze umane, che si basano anche su fisicità, emotività e creatività, prerogative uniche delle seconde e non replicabili dalle prime.