Il nostro viaggio alla scoperta dei diversi sistemi educativi si allontana dall’Europa per approdare in America del Sud, in particolare in Argentina. Javier è nato e cresciuto a Buenos Aires, dove ha portato avanti i suoi studi, fatta eccezione per un semestre trascorso in Germania.
Lì ci siamo conosciuti, tra i tanti studenti in scambio internazionale, e la nostra amicizia dura a distanza di anni. In questa occasione abbiamo dovuto rinunciare alla condivisione della tradizionale bevanda calda argentina, il mate, ma è stato comunque molto interessante e curioso fare due chiacchiere sul sistema scolastico del suo paese.
Meno lontani di quanto sembri
Anche se si trova dall’altra parte del mondo, il sistema argentino non si discosta molto da quello italiano: la vicinanza culturale, più che la lontananza spaziale, sembra essere un fattore determinante in questo.
Dopo la educación inicial, cioè la scuola dell’infanzia – obbligatoria per bambini e bambine di quattro e cinque anni – il sistema scolastico si sviluppa in due modi differenti. Nella capitale è organizzato in scuola primaria (dai 6 ai 13 anni) e scuola secondaria (dai 13 ai 18), mentre nelle altre province vi è la scuola primaria, che dura nove anni, e la scuola polimodal, dai 15 ai 18 anni. La differenza tra i due sistemi non è sostanziale (i piani educativi seguiti sono gli stessi), ma puramente organizzativa: l’unico effetto davvero importante è la posticipazione del momento di scelta del proprio bachiller, una prima specializzazione del percorso, che chi abita nella capitale deve compiere due anni prima. A Buenos Aires si sceglie la scuola secondaria più o meno alla stessa età che in Italia, mentre nelle province agli studenti e alle studentesse viene dato più tempo.
Questo non implica una differenza sostanziale, almeno non quanto la qualità della scuola: scuola pubblica e privata non sembrano essere sullo stesso livello su questa bilancia, che pende decisamente verso la seconda.
Divario di reddito, divario di istruzione
Il governo “assicura pochissimi fondi all’istruzione, rendendo la differenza davvero enorme”: persino l’ora di inglese e la lezione di sport diventano un lusso che si può permettere solo chi accede al sistema privato, pagando. Anche nella scelta della specializzazione l’istruzione pubblica rimane indietro: l’offerta di bachiller diversi da quello generico è limitata all’ambito contabile e amministrativo, mentre nel settore privato ogni scuola costruisce in autonomia percorsi diversi e interessanti (bachiller psicologici, tecnologici, informatici, ingegneristici, umanistici…).
Se andare in una scuola pubblica difficilmente assicura di ricevere un’istruzione di qualità, Javier sottolinea che l’alternativa privata non è sempre una sicurezza. La maggior parte delle scuole private sono di matrice cattolica, e sono anche quelle che costano meno: Javier ha studiato in una scuola secondaria privata sostenuta dalla chiesa cattolica greca, dove lui stesso afferma di aver ricevuto una formazione carente in molti aspetti, nonostante il costo.
Il governo argentino non mette a disposizione borse di studio per frequentare la scuola privata, dal momento che quella pubblica rappresenta l’alternativa economicamente sostenibile – seppur non qualitativamente equiparabile – per chi non può permettersi di pagare la retta. Questo rende complessa la scelta cui i genitori si trovano di fronte. Chi non può permetterselo sa che andrà incontro ad una scuola carente a livello di offerta formativa, di strumenti e di infrastruttura, oltre che ad una istruzione di minore qualità. Tuttavia, anche chi può permettersi di pagare una retta mediamente costosa in alcune scuole private non avrà comunque la certezza di aver accesso a un sistema di qualità. Anche se alcune scuole private mettono a disposizione fondi per chi ne ha bisogno, questo “non diminuisce l’altissimo livello di diseguaglianza nell’accesso ad una istruzione di qualità in Argentina.” Addirittura, ci dice Javier, se una decina di anni fa l’istruzione era sì costosa, ma sostenibile per una famiglia di reddito medio, oggi a causa dell’inflazione e dell’instabilità economica risulta proibitiva per la maggior parte dei nuclei: “Sinceramente, non sono sicuro che una famiglia come la mia si possa permettere di mandare tre figli in una scuola privata, oggi”.
L’eccezione che conferma la regola? Ci sono solo tre scuole pubbliche e rinomate in Argentina, tutte e tre a Buenos Aires: l’accesso è a numero chiuso e prevede un esame veramente difficile.
Università
La situazione appare diversa dopo la scuola dell’obbligo, dove si scambiano le carte tra pubblico e privato. Al conseguimento del diploma si può scegliere se frequentare l’università o una scuola terziaria, che prepara e specializza in ambito più tecnico: la maggior parte di questi istituti sono pubblici e totalmente gratuiti, oltre a essere considerati di buon livello.
Le università pubbliche in Argentina sono 57, tutte fortemente centralizzate: si trovano solo nelle grandi capitali, e alcune facoltà esistono solo a Buenos Aires e provincia (nella quale, tra l’altro, sono presenti quasi la metà delle università del Paese). Ciò solleva un problema di scarsa diffusione delle università pubbliche sul territorio, che costringe la maggior parte degli studenti e delle studentesse a spostarsi per studiare e, di conseguenza, a sostenere dei costi più elevati per alloggio e trasporti.
Quasi tutte le università sono a numero aperto e la durata di un normale percorso di laurea è di 5 anni: la distinzione tra triennale e magistrale, o bachelor e master a livello internazionale, non è presente in Argentina, il cui percorso si configura molto simile a quello che era lo standard in Italia prima della riforma del 1999.
Divario di voti, divario di istruzione
All’interno di uno stesso corso di laurea non sono assicurati i medesimi docenti e le medesime materie a tutti e tutte: esiste un sistema di prenotazione dei corsi su base prioritaria. Questo significa che, sulla base della propria media ponderata, ogni studente e studentessa avrà diritto ad un orario ed un giorno specifico per prenotare un posto alle lezioni. Chi ha una media alta potrà prenotare i corsi migliori, tenuti da professori e professoresse di spicco e organizzati agli orari più comodi. Una volta finiti questi posti (di solito non più di una trentina per corso), gli studenti e le studentesse con una media inferiore potranno prenotare le lezioni e gli orari rimasti, con un sistema unicamente basato sui voti precedentemente ottenuti.
“Io avevo una media buona, quindi ho sempre potuto scegliere i migliori corsi e i migliori professori, ma molti miei amici non hanno avuto la stessa fortuna. Considerando che il primo anno è davvero difficile, molte persone sono scoraggiate e lasciano subito l’università.”
Riflessioni ex post
“Cosa cambieresti, tornando indietro, del tuo percorso formativo?”
In generale, dalle parole di Javier traspare come il percorso universitario sia risultato per lui molto difficile. Sicuramente non sceglierebbe nuovamente l’Università pubblica di Buenos Aires: gli è sembrato, durante il percorso, che l’organizzazione fosse complessa e che “il sistema e le persone quasi facciano di tutto per non farti laureare”.
Javier ha conseguito il titolo in sette anni anziché cinque, ma questo non è dovuto solo alla complessità degli esami.
Quasi la totalità degli studenti in Argentina lavora durante il corso degli studi universitari, la maggior parte a causa dei costi da sostenere come fuorisede o del reddito familiare, e quasi nessuno si può permettere di frequentare le lezioni tutto il giorno o tutti i giorni. Queste difficoltà sono esacerbate dal fatto che in Argentina il tasso di povertà è pari quasi al 50%: doversi trasferire e non poter lavorare mentre si studia a causa di orari poco flessibili, rinunciando ad un reddito per cinque o sei anni, rende la scelta addirittura insostenibile per alcune persone.
L’Università però non si è adattata a questi problemi diffusi: non è possibile dare un esame da non frequentante e ogni corso viene offerto solo una volta all’anno, in orari e momenti fissi. La presenza è obbligatoria, quindi “ti devi adattare o tentare l’anno successivo”.
Javier non ama nemmeno il sistema di valutazione basato su un solo esame finale: “Per quale motivo il lavoro e lo studio di quattro mesi non è valutato in maniera continuativa, su progetti, esami parziali, presentazioni, come viene fatto in altri Paesi?”. La didattica sembra molto simile allo standard italiano: siamo anche noi molto indietro a livello di innovazione e sperimentazione nei metodi di insegnamento, con un grande divario tra enti pubblici e privati.
Parlando di ricerca post lauream, Javier sostiene che non abbia senso in Argentina proseguire la carriera universitaria, specialmente se si vuole lavorare in ambito industriale. “Non vale la pena fare un Dottorato né a livello di carriera né di retribuzione, che arriva ad essere molto minore: un MBA (Master in Business Administration) è sufficiente se si lavora in azienda e si mira ad un ruolo migliore”.
L’unica nota positiva la riscontra a livello personale: l’università è davvero difficile per tutti e tutte, cosa che favorisce la creazione di gruppi di amici che si aiutano e si supportano a vicenda. “La competizione non è un elemento distintivo nel nostro sistema, gli studenti e le studentesse si aiutano reciprocamente e questo è molto positivo”.