È stato pubblicato ieri il Times Higher Education World University Ranking 2019, l’aggiornamento annuale di uno dei tre più importanti ranking internazionali, come discusso in un nostro precedente articolo (dove si possono leggere in dettaglio i criteri valutati). Il primo dato da registrare è che, dopo quattro anni, la top 10 torna tutta anglosassone, con tre atenei inglesi e sette americani, grazie ad un balzo di 4 posizioni di Yale che scalza il Politecnico di Zurigo (ETH) portandosi in 8° posizione, nonostante il caldissimo caso della nomina di Brett Kavanaugh alla corte suprema abbia investito nelle ultime settimane proprio la Law School dell’università americana.
Volendo allargare la lente, sono anglosassoni 19 delle prime 20 università, e americane ben 172 nel ranking completo. Eppure, non è tutto oro quel che luccica. Gli Stati Uniti continuano a dominare la prima fascia della classifica con 60 università nelle prime 200, ma sono 2 in meno dell’anno scorso e ben 32 di esse perdono almeno una posizione. E se Sparta piange Atene non ride: per la prima volta nella storia della classifica, il Regno Unito non è più la seconda nazione per rappresentanza nella graduatoria completa, che conta 1.258 atenei. Infatti, le 98 università britanniche vengono sorpassate (in quantità) dalle ben 103 giapponesi: un numero impressionante, anche contando che l’anno scorso erano solo 89. Tuttavia, l’impatto giapponese non è rappresentato nel gruppo di testa: la prima università nipponica è Tokyo, in 42esima posizione.
Che l’asia stia guadagnando terreno a gran balzi lo dimostra l’impressionante accelerata cinese, che nel 2014 contava solo 10 atenei in classifica (allora composta da 400 posizioni), e oggi ne conta ben 72, diventando la quarta potenza globale in termini di higher education. Per dare un senso di proporzione, nello stesso periodo l’Italia è passata da 15 atenei (2014) a 42 (2019). E come se non bastasse, l’ateneo di punta cinese (Tsinghua University di Pechino) ha scalato altre 8 posizioni quest’anno, piazzandosi 22esimo, e scalzando colossi occidentali come London School of Economics, New York University e University of Edinburgh.
Ad abbattere un luogo comune nostrano sta il fatto che ben 15 dei primi 30 atenei sono pubblici, anche se per arrivare al primo ateneo “economico” (con una retta paragonabile o inferiore a quella delle università italiane) bisogna scendere in 32esima posizione, con la LMU Munich. Anche le prime due classificate (Oxford e Cambridge) sono pubbliche, ma crediamo che in tal senso una menzione d’onore vada al sistema (pubblico) della University of California, che piazza 3 atenei nei primi 30 (UC Berkley, UCLA e UC San Diego) e altri 3 in top 100 (UC Davis, UC Irvine e UC Santa Barbara). È quasi tutta pubblica anche la top 10 dell’europa continentale, che è così definita (posizione assoluta tra parentesi): ETH Zurich (11), LMU Munich (32), EPFL (35), Karolinska Institute (40), Paris Sciences & Lettres (41), TU Munich (44), Heidelberg (47), KU Leuven (48), Delft Tech (58) e Wageningen (59). La maggioranza di queste università sono gratuite o semi-gratuite, e si può trovare un commento a riguardo in un nostro precedente articolo.
Infine, ci sono note positive anche per gli atenei italiani.
La nostra punta di diamante (Scuola Superiore Sant’Anna) guadagna altre 2 posizioni e si porta al 153esimo posto, ma è la sua rivale (Scuola Normale Superiore) a fare il colpo grosso e scalare ben 23 posizioni, fino alla 161esima. Bologna entra finalmente in prima fascia (183), e va notata la grande impennata di Padova, che passa dalla fascia 351-400 a quella 201-250. Pare che con cautela anche le nostre università di spicco si stiano affacciando sul panorama internazionale, ma siamo ancora lontani dai risultati raggiunti in altri sistemi europei – tedesco e olandese su tutti.