La critica alla competenza senza la competenza?

Dal ’68 in poi e con Lettera a una professoressa (1967) di Don Milani si è visto sempre più un superamento del paternalismo e della coercizione in ambito educativo e nel sistema scolastico italiano. L’oggetto attorno al quale si è inficiato il dubbio ha visto una progressiva decostruzione scettica, una presa di coscienza degli stessi oppressi, quali gli studenti ed una rivendicazione competente di diritti.

Dal termine competenza vorrei far partire una riflessione di carattere storico in primis e successivamente ponendo uno sguardo alla dimensione sociale che conosciamo oggi. La protesta, la contestazione dell’autorità che esercitava il potere si è proposta come portatrice competente di idee e valori etico-politici nuovi e ben definiti, opposti alla condizione educativa somministrata fino a quel momento. Il carattere era quello del dominio attraverso la forma dell’autorità, della figura archetipica del padre come capo famiglia indiscutibile. La verità storica corrispondeva a tale modello e al suo perpetuarsi in maniera efficace e funzionale pur proponendo un’aura pedagogica permeata dal terrore. La coercizione, da ciò, si forma e va a influire e ad opprimere – utilizzando volontariamente un termine di Paulo Freire (1980) – determinati membri famigliari o di una classe sociale, in una data posizione, anche solo nello status di studente.

Se Marx, dunque, parlava di coscienza di classe da risvegliare e da incentivare attraverso la collaborazione e la formazione di un organo proletario cosciente e capace di contestare ivi si mette in atto una simile coscientizzazione. La coscienza studentesca, la coscienza oppressa elabora una critica e una rivolta al modello vigente sapendo della responsabilità di proporre qualcosa di nuovo, magari di completamente opposto ma che sia permeato di un carattere autorevole e concreto.  Si attua la pedagogia della liberazione di cui parla Freire, quel compito essenzialmente storico per gli uomini (P. Freire, 1980, p. 57). La spinta rivoluzionaria non può partire dall’oppressore stesso, condizionato e co-generato dal contesto socio-culturale ed economico di cui è promotore e grazie al quale gode. L’atto dell’oppressore porterebbe alla riaffermazione delle dinamiche tali da favorire la sua condizione, la quale è in virtù dell’essere dell’oppresso.

Per uscire dal circolo vizioso e polarizzato che ci propone Freire un  suggerimento può arrivare da Antonio Gramsci (1891 – 1937), analizzando, seppur in maniera incompleta e necessariamente sintetica, il concetto di egemonia. Si chiama in causa il pensatore sardo per l’accostamento interessante tra i termini oppressione (Freire) e subalternità (Gramsci). Difatti se l’educatore brasiliano parla della sua realtà sociale e del conflitto polarizzato che si viene a creare attraverso la diseguaglianza e la coercizione, con Gramsci una delle sfumature del rapporto tra egemoni e subalterni è rappresentata dal consenso. Riprendendo il conflitto teorizzato da Marx, Gramsci compie un passaggio fondamentale che lega indissolubilmente educazione e politica, ricordando le parole «ogni rapporto di “egemonia” è necessariamente un rapporto pedagogico» (A. Gramsci,  1975, cit., Q10, II, 44).

L’impianto etico-politico e dunque influente in maniera diretta sull’impianto educativo di un dato contesto socio-culturale vede la sua affermazione e consolidazione per mano dell’organo egemone vigente. Tale stabilizzazione può avvenire sì per coercizione e per uso della forza ma il dato interessante e sui cui riflettere socialmente è il consenso che si viene a creare nei subalterni. Il consenso, per essere tale dovrebbe formarsi secondo l’autorevolezza del movimento comunicativo e non secondo una volontà soggettiva.

La competenza è quel dato che può emergere e far emergere il blocco egemone che sostituirà il precedente all’interno della dialettica storica. L’approccio critico è necessario nell’atto rivoluzionario che vuol abbattere la precedente competenza attraverso la competenza stessa, cosa che sta venendo a mancare sempre più nel dibattito pubblico e nel non-dialogo populista, nella caduta della piazza come luogo di incontro e comunicazione.

 

[Immagini tratta da Google immagini]

 

BIBLIOGRAFIA

P. Freire, La pedagogia degli oppressi, Arnoldo Mondadori, Milano 1980.

A. Gramsci, Quaderni del carcere, ed. critica a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975 (st. 1929 -35).

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