Napoleone e l’educazione europea

Articolo di Sara Bordignon, ospite.

Colui che sa intraprendere il progetto di creare un popolo deve sentirsi nello stato di cambiare, per così dire, la stessa natura umana.
– J. J. Rousseau

1. Il secolo dei Lumi

L’educazione, intesa come strumento per definire la propria individualità e contemporaneamente la propria appartenenza ad un contesto socioculturale, è una delle forme più alte di trasmissione del sapere umano. Proprio per questo fu oggetto di notevole attenzione già nel mondo antico, fortemente legata alla figura del pater familias per i latini e sinonimo di paidéia per il cittadino della polis greca. Nel periodo medievale la sapientia carolingia[2] rappresentò il presupposto per una corretta amministrazione del potere e nell’Admonitio generalis del 789, Carlo Magno prospettò un embrionale progetto di insegnamento pubblico, controllato dalla Chiesa.

Infine, con Martin Lutero e Comenio, l’educazione venne pensata come un diritto universale, a disposizione di tutti e fondato sull’insegnamento umanistico e religioso, con il fine di arrivare alla salvezza[3].

Tuttavia, è solo nel XVIII secolo che si gettarono le basi per la scuola obbligatoria, pubblica e laica del mondo contemporaneo.

Si trattò di un processo lungo e multifattoriale: la nascita delle università, il Rinascimento, la rivoluzione scientifica del ‘600 e la diffusione delle teorie giusnaturaliste portarono alla definizione delle due facce dell’educazione moderna: libera dall’egemonia religiosa e fondamentale per definire lo Stato-nazione. Si educava per formare l’élite che avrebbe guidato lo Stato e farlo senza il controllo della Chiesa di Roma significava ottenere una nazione più autonoma in politica interna ed estera. I primi passi si mossero già a partire dal 1759, con la cacciata della Compagnia di Gesù da Portogallo, Francia, Spagna e da altri paesi europei[4]. L’indebolimento dell’Inquisizione e degli istituti di educazione religiosa, unito alla contemporanea diffusione delle idee dell’Illuminismo, furono le basi per questo significativo cambiamento.

Inizialmente lo Stato-nazione si identificò con l’assolutismo illuminato di Maria Teresa d’Austria e di Federico II di Prussia, i quali avviarono alcuni tra i primi progetti di insegnamento pubblico e obbligatorio. Tuttavia, quel potere era ancora legato indissolubilmente al particolarismo e alla legittimazione della nobiltà, non si educava per formare dei cittadini ma dei sudditi.

Infine, l’industrializzazione e la nascita di principi come quello della divisione dei poteri e della sovranità popolare sancirono l’ascesa della borghesia e la nascita di nuovi modelli di Repubblica e democrazia; il dibattito sui diritti fondamentali dell’uomo irruppe incontrastato e trovò il suo apice nel 1789.

2. La Rivoluzione francese

La frattura operata dalla Francia rivoluzionaria (1789-1799) fu così radicale da sancire l’inizio dell’età contemporanea, in cui viviamo ancora oggi; ma fu proprio tale radicalità che portò la Marianne a scontrarsi con le altre potenze europee. La pubblica esecuzione di un re legittimo come Luigi XVI non poteva essere tollerata e il paese versò per sette anni in uno stato di guerra semipermanente contro il resto del continente.

I conflitti interni ed esterni, il dissesto delle casse statali, uniti alla soppressione delle università e alla riorganizzazione delle accademie, avevano messo la Francia rivoluzionaria davanti ad una penuria di ingegneri, tecnici, periti e medici militari; fu quindi necessario riorganizzare profondamente il sistema educativo, non solo per fini utilitaristici o per epurare i funzionari avversi alla Rivoluzione ma anche per creare il cittadino francese.

L’importanza attribuita all’educazione è evidente nel titolo I della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1791, “sarà creata e organizzata una Istruzione pubblica, comune a tutti i cittadini, gratuita nelle parti d’insegnamento indispensabili a tutti gli uomini, e i cui istituti saranno distribuiti con gradualità, in una proporzione che rispecchi la divisione del regno.”

Tale importanza è ribadita anche nell’articolo 22 della Costituzione del 1793, quando la Francia era divenuta ormai una Repubblica: “L’istruzione è il bisogno di tutti. La società deve favorire con tutto il suo potere i progressi della ragione pubblica, e mettere l’istruzione alla portata di tutti i cittadini”.

La Francia prerivoluzionarianon era priva di un sistema educativo, già a partire dal XII secolo erano sorte numerose università rinomate, come l’Université de Paris e l’École de médecine de Montpellier. Numerose erano anche le scuole militari e i collèges, tra cui il Collège de Louis-le-Grand di Parigi, retto dai gesuiti; infine, le petit écoles parrocchiali volute da Luigi XIV e diffuse a tutto l’Hexagone. Nonostante ciò, il sistema dell’ancien régime si presentava frammentario, poco organizzato e vi regnavano incontrastati l’insegnamento del latino e della materia religiosa, lasciando poco spazio alla lingua francese e alle materie tecnico-scientifiche[5].

Nel 1791 nacque un Comitato d’istruzione pubblica, composto da 24 membri[6], come in D. Julia infatti, “il mito pedagogico fu il cuore del progetto rivoluzionario”, dove la necessità di sedimentare le virtù civiche nella coscienza comune si univa al lascito dell’opera monumentale elaborata da Rousseau. Nell’Émile, alla teorizzazione di un’educazione naturale e libera, il filosofo affiancava una novità fondamentale: il bambino cessava di essere un piccolo uomo, un essere imperfetto, esso aveva invece “modi di vedere, di pensare, di sentire che gli sono propri”; da qui la nascita di un’educazione puerocentrica[7].

Il compito del comitato fu arduo e le vicende politiche e militari ritardavano l’approvazione di una legge definitiva in materia di educazione. Le proposte si susseguirono una dopo l’altra, tutte denotate da un grande spirito di innovazione. Di rilievo fu il pensiero di Condorcet, che nel suo Rapport sur l’istruction publique si schierò per una scuola dell’obbligo gratuita e uguale per maschi e femmine, l’unico vero mezzo per garantire la libertà e l’uguaglianza tra i cittadini; anche il progetto Talleyrand proponeva un sistema educativo gratuito per tutti, con una particolare attenzione allo sviluppo della “moralità” e della “virtù”, provvisto di insegnamenti pratici come il disegno geometrico e l’educazione fisica.

Il 3 brumaio dell’anno IV(25 ottobre 1795)[8] la Convenzione approvò un testo definitivo in materia d’educazione: la legge Daunou. Sarebbero state create delle scuole primarie gratuite, dove istitutori ed istitutrici avrebbero insegnato a maschi e femmine a leggere, scrivere e far di conto, unitamente ad educarli ai valori della patria e della carta costituzionale. Le écoles centrales condorcetiane avrebbero garantito l’insegnamento intermedio a tutti i maggiori di dodici anni e, in sostituzione alle università, le écoles spéciales avrebbero fornito l’istruzione superiore d’eccellenza[9].Tra esse l’École normale supérieure, dove venivano insegnate le “norme” per l’educazione degli insegnanti, che venne però soppressa nel 1795, dopo cinque mesi di vita. Infine, l’École polytechnique, nata da un’idea dei matematici Monge e Carnot efiore all’occhiello della formazione tecnico-scientifica in senso lato; come si evince dal neologismo “politecnico”, essa doveva formare il versatile corpo ingegneri della neonata nazione. Vennero fondate anche scuole per non vedenti, sordomuti e l’Istituto nazionale delle scienze e delle arti per la ricerca.

La scuola termidoriana[10] era quindi una scuola pubblica ma ancora amministrata localmente da ciascun département. Locale era anche la nomina degli insegnanti, dichiarati idonei da una giuria municipale. Il loro stipendio era versato dagli stessi allievi e, in nome del libero esercizio delle facoltà intellettuali, l’iniziativa degli istituti privati non era controllata dallo Stato. Gli istituti religiosi non persero il loro tradizionale ruolo predominante e quindi, nonostante la politica anticlericale avesse contraddistinto l’esperienza rivoluzionaria, non si affermò il principio di laicità.

La Convezione nazionale cessò di esistere il giorno seguente all’approvazione della legge Daunou e il progetto educativo non si realizzò mai appieno; l’esecutivo venne affidato al Direttorio, composto da cinque membri votati da un’assemblea legislativa. In Francia si creò una sostanziale anarchia educativa.

3. Napoleone Bonaparte

“Un’idea che ha trovato delle baionette” così Napoleone definì il turbolento processo umano che lo avrebbe fatto passare alla storia. Dopo un ruolo di primo piano nella sconfitta delle truppe anglo-borboniche a Tolone (1793), il capitano còrso aveva ottenuto il grado di generale e si era inserito nella scena politica della capitale francese. Forte del sostegno dell’esercito e dei successi militari ottenuti durante la Campagna d’Italia, il 18 brumaio dell’anno VIII (9 novembre 1799), con un colpo di stato, Napoleone prese di fatto il potere. Il Direttorio, che aveva governato la Francia a partire dal 1795, cedette il posto ad un triumvirato composto da due consoli, Ducos e Sieyès e da un primo console, Bonaparte.

Divenuto console a vita a mezzo plebiscitario nel 1802, Napoleone si incoronò imperatore nel 1804 a Notre-Dame, fondando la propria dinastia ed un nuovo ordine politico.

Se è vero che la legittimazione di Napoleone passò sempre dall’esercito, capolavoro del suo genio, egli creò anche “un’opera civile senza precedenti[11]; contribuì a portare a compimento quel lento processo iniziato nel secolo precedente, vale a dire la definizione del moderno Stato centralizzato e, con esso, del sistema educativo che conosciamo oggi, infatti, per Napoleone l’istruzione era“la più importante tra tutte le istituzioni, perché tutto dipende da essa, il presente e il futuro”.[12]

La storia dell’educazione napoleonica si articola in due momenti principali, quello consolare, con la legge generale sull’istruzione pubblica del 11 floreale anno X (1° maggio 1802) e quello imperiale, con la fondazione dell’Université il 17 marzo 1808.

Per il primo console era necessario innanzitutto formare una nuova élite nazionale, funzionale all’esercizio del potere e da esso controllata. Desideroso di fare “quello che avevano fatto Sparta e Atene ma in uno stato di quaranta milioni di abitanti”, Napoleone dovette innanzitutto mettere a punto la macchina amministrativa dello stato. All’alba del nuovo secolo, la nazione appariva ridotta a “granelli di sabbia” e Napoleone intendeva gettare sul suolo francese “delle masse di granito” come quelle su cui Canova plasmava il suo mito.[13]

Il prefetto napoleonico fu uno di quei pilastri; nato nel 1800 e così nominato in onore del praefectus romano, era il rappresentante del governo in ognuno dei départements francesi, un empereur au petit pieds, come lo definiva lo stesso Bonaparte[14]. I prefetti divennero il fulcro del lavoro di accentramento statale e garantirono il controllo capillare della nazione, tanto che il sistema sarebbe rimasto in funzione fino al 1982. Su questa base Napoleone costruì un altro pilastro marmoreo, un “modello europeo dell’educazione secondaria”: il liceo.

“Saranno creati dei licei per l’insegnamento delle lettere e delle scienze”, così recitava l’articolo 9 della legge sull’istruzione; i licei napoleonici, ispirati ai collèges d’humanités rinascimentali, creavano lo spazio educativo dell’adolescenza e colmavano il vuoto tra istruzione primaria e superiore lasciato dalle écoles centrales rivoluzionarie, divenendo il vero core del sistema educativo. Ne vennero istituiti 45, uno per département; il percorso di studi si sviluppava in sette anni e contava insegnamenti di fisica, matematica, retorica, logica, morale e lingue morte, tenuti da otto professori.

Ogni liceo era retto da un consiglio amministrativo, composto da un proviseur (preside), da un censeur des études (responsabile delle buone maniere) e da un procureur per le questioni economiche. Tutte queste figure venivano scelte da Napoleone in persona, ogni liceo era inoltre sottoposto al controllo di un prefetto a mezzo di un bureau amministrativo e alla visita annuale di tre ispettori. Come osservano Boudon e Grevet, l’obbligo fatto ai quadri scolastici di essere sposati o almeno divorziati lascia le figure ecclesiastiche fuori dall’educazione secondaria, una salvaguardia del principio di laicità volta ad evitare ingombranti influenze.

Il liceo era un sistema misto, chi vi alloggiava doveva pagare ma venivano stanziate 6,400 borse di studio all’anno, da destinarsi agli “allievi nazionali”, studenti meritevoli che avevano superato un concorso e un esame, altre borse erano invece riservate ai figli dei funzionari di giustizia, alla burocrazia amministrativa e militare. Il liceo napoleonico conservava inoltre un’impostazione “classica”: nonostante la forte impronta scientifica del testo fondante, i corsi in chimica, fisica e matematica erano spesso carenti e l’insegnamento del latino e del greco costituivano un chiaro rimando all’ancien régime.

L’altro punto nevralgico della riforma napoleonica riguardava una figura ancora mal definita: l’insegnante. Napoleone sapeva bene, come scrisse in una nota nel 1805, che “non ci sarà uno stato politico stabile, senza un corpo insegnanti con dei principi altrettanto stabili” e fu così che nel 1808 venne creata l’Université; non trattavasi di un istituto ma di un organismo statale, la custode esclusiva di tutto l’insegnamento pubblico dell’impero. “Qualsiasi scuola o struttura dedita all’istruzione”, privata o ecclesiastica che fosse, sarebbe stata controllata dallo stato, che assumeva quindi il monopolio dell’istruzione.

Fino ad allora la popolazione insegnante era una costellazione di diverse figure, tra istitutori, precettori, ecclesiastici e maestri di campagna. Napoleone voleva ora creare “un corpo con un’anima”, poiché “un corpo non muore mai”, come nel mondo militare[15]. Gli insegnanti avrebbero dovuto far parte dell’Université, condividerne i principi morali e dimostrare di possedere un titolo di istruzione superiore (baccalauréat, licence o doctorat).

L’Université avrebbe dovuto esercitare la stessa influenza che per secoli era stata appannaggio dei gesuiti, ma in modalità secolare. [12] Il cattolicesimo, divenuto “religione della maggioranza dei francesi” dopo il concordato con il Papa Pio VII, ritornò nelle scuole imperiali, dove “i princìpi cattolici” divennero parte integrante dell’insegnamento. Nonostante ciò, Napoleone cercò sempre di limitare il numero di seminari e l’influenza degli ecclesiastici, servendosi della religione più a fini astratti che pratici. Infine, il corpus dell’insegnamento sarebbe stato guidato da un grand-maître, alle dipendenze del ministero dell’interno. Nella dirigenza dell’Université entravano anche un cancelliere, un tesoriere e un consiglio generale: si gettavano le basi per il futuro ministero dell’istruzione.[16]

4. Luci ed ombre del sistema napoleonico

Se la legge del 1802 aveva avviato il percorso di centralizzazione con un regime semi-liberale, come in P.Savoie, il decreto imperiale del 1808 appariva sicuramente più conservatore. “Fintantoché non impareremo sin dall’infanzia se essere monarchici o repubblicani, cristiani o irreligiosi, lo Stato non formerà una nazione, ma riposerà su basi incerte e vaghe”[17]. Il liceo diventava la spina dorsale dell’“intelligencija nazionale”, la quale non si identificava con il popolo ma nemmeno con i savants delle accademie, era costituita dagli intellettuali di “secondo rango”, i veri fautori della “cultura collettiva della nazione”.[18]

Un ulteriore mezzo per garantire il controllo e la qualità dell’insegnamento fu il baccalauréat, l’esame finale degli studi liceali, di pertinenza statale. L’esistenza di una prova finale, uguale per tutti, era sicuramente un esempio di “meritocrazia borghese”[19], ben diversa dalla meritocrazia popolare che vigeva in seno all’esercito.

“Ogni soldato francese porta nella sua giberna il bastone di maresciallo di Francia”, in questa frase è riassunta la profonda differenza tra due sistemi imperiali, quello militare, pars costruens in perenne divenire e quello educativo, controllato ed istituzionalizzato. La Grande Armée napoleonica contrapponeva un esercito di cittadini ispirato dall’onore nazionale al precedente esercito di carriera, legato ad un re o ad un nobile di spada; la mobilità sociale durante il primo impero derivava infatti dall’esercito, da dove provenne quasi interamente la nuova classe dirigente e il 59% della nobiltà di nuova nomina.

Nel 1802, con l’istituzione dell’ordine della Legion d’onore, in vigore ancora oggi, l’Armée ebbe la sua consacrazione. La Legion d’onore era un’onorificenza che si concretizzava in una cerimonia ufficiale e nella consegna della famosa croce bianca a cinque punte; era rivolta a chiunque si fosse distinto per alto valore civile o militare, senza distinzioni di censo, sesso o nazionalità.

L’esercito era fondamentale per garantire il potere di Napoleone e la sua dialettica si estese anche alla scuola: tamburi al posto delle campanelle, esercitazioni, punizioni, divise, lettura dei bollettini della Grande Armée e “fedeltà all’Imperatore e alla monarchia imperiale, depositaria della felicità dei popoli”. L’etos guerresco arrivò anche nei licei, dove gli studenti svolgevano esercizi militari ed erano organizzati in plotoni comandanti da alunni-sergente, infine fu creata appositamente un’École spéciale militaire per destinare parte degli studenti alla carriera nelle armi. Tale organizzazione venne estesa anche all’École polytechnique, che si dotò del motto “Per la patria, per le scienze, per la gloria” e al Pensionnat normal, fenice risorta dalle ceneri dell’École normale e funzionale all’educazione dei membri dell’Université.

Così scriveva Alfred de Vigny, ricordando i suoi anni scolastici: “I logaritmi non erano altro se non i gradini per montare sulla stella della Legion d’onore, la più bella stella che ci sia nei cieli per un fanciullo.”

Il sistema ebbe dei punti deboli: il conflitto tra Stato e Chiesa permaneva, l’educazione femminile superiore non esisteva e le numerose guerre prosciugavano i fondi destinati all’istruzione. La contrapposizione tra educazione popolare e privilegiata era ancora significativa; l’educazione primaria fu affidata ai singoli comuni e non fu gratuita, tranne che per gli indigenti, non riuscì inoltre, a differenza del liceo, a sviluppare una propria autonomia.

Con le guerre, il lycée francese venne esportato nel continente e influenzò i sistemi scolastici di Italia, Olanda, Spagna e ducato di Varsavia. A partire dal 1806 si mescolò al sistema tedesco, dove esistevano già il Gymnasium e l’università di Berlino, di ispirazione humboldtiana[20]. Le Repubbliche sorelle dell’Italia settentrionale e la Repubblica partenopea, subendo l’influenza del quadriennio francese 1796-1799 avevano già sperimentato soluzioni educative innovative. L’istruzione elementare obbligatoria arrivò a Napoli nel 1810, con il decreto n. 735 di re Gioacchino Murat. Nello stesso anno, per volere di Napoleone, a Pisa nacque la succursale del Pensionnat normal, ancora oggi nota come Normale di Pisa. Dopo il periodo della restaurazione il modello napoleonico-prussiano venne recuperato e fu alla base della legge Casati, che istituì l’istruzione obbligatoria nel Regno d’Italia nel 1861.

Il sistema napoleonico non deve essere immaginato come una democrazia ma nemmeno come un dispotismo illuminato dell’Europa prerivoluzionaria; esso rappresenta per la storia del nostro continente una singolarità dal punto di vista militare, sociale e politico.

L’espansionismo imperiale avvenne in nome dell’egemonia francese, tuttavia, non senza contrasti, diffuse le macrostrutture che sarebbero state alla base dell’Europa moderna, infatti, come in Grab, “comprendere il lascito del periodo napoleonico è essenziale per la comprensione dello stato e della società europei del XIX secolo”.[21]

Napoleone attinse a modelli dell’ancien régime e li rielaborò alla luce dell’innovazione scientifica e del pensiero del secolo dei lumi; infine, con la stesura del Codice civile (1804) riconfermò le più importanti conquiste in materia di diritti ottenute dalla Rivoluzione (divorzio, abolizione dei diritti feudali). Si sviluppò un modello educativo organico e centralizzato e, se è vero che Napoleone abbandonò il civismo della narrazione rivoluzionaria a favore dell’“utilità professionale” dell’istruzione nazionale, è anche vero che non dimenticò il 1789.

SebbeneBonaparte rispondesse alle esigenze del suo impero, non guardò solo al suo secolo e alla Francia; mentre realizzava l’idea di Grand Nation e, forse, quella di Europa, preparò il continente per quelle che sarebbero state le principali sfide educative del Novecento: un’istruzione laica, pubblica, obbligatoria e appannaggio di tutti.

“Abbiamo chiuso con la fase romantica della Rivoluzione,ora dobbiamo necessariamente iniziare la sua storia”

– Napoleone


[1] M. Castelli, «Ad ogni modo però il repubblicano deve essere istrutto»: prime note sulla legislazione in materia d’istruzione nella repubblica bresciana, Italian Review of Legal History, 5 (2019), n. 4, p.133.

[2] E. Martino, Violenza e potere nell’alto medioevo (768-888), tesi di dottorato in studi storici, UniFi, 2013/2016, p.128.

[3] R. Tassi, S. Tassi, I saperi dell’educazione e Pedagogia nella storia, est. online origine e sviluppo della scuola popolare, Zanichelli, Bologna 2012.

[4] A. Giardina, G.Sabbatucci, V. Vidotto, Il mosaico e gli specchi: percorsi di storia dal medioevo aa oggi, Editori Laterza, Bari 2008.

[5] J-O. Boudon, Napoléon et les lycées, Éditions de la Fondation Napoléon, Nouveau Monde Editions, Paris 2004.

[6] T. Lentz, Le grand Consulat 1799 – 1804, Fayard, 1 apr 2014.

[7] M. De Bartolomeo e V. Magni, a cura di, La ‘scoperta’ del bambino, Istituto Italiano edizioni Atlas, vol.2, cap.2, p. 2.

[8] Con l’abolizione della monarchia, il 22 settembre 1792, la Francia rivoluzionaria divenne una Repubblica ed in segno di rottura con il passato elaborò un nuovo calendario, alla cui redazione contribuirono matematici illustri come Lagrange e Laplace. Il 1792 divenne ufficialmente l’anno I, una settimana durava dieci giorni (dal primidi al décadi) e i giorni 10 ore. Il primo giorno dell’anno coincideva ora con l’equinozio d’autunno e i nomi dei mesi vennero modificati in rapporto alla natura o all’agricoltura (brumaio, ad esempio, indicava la bruma e le nebbie dei mesi di ottobre e novembre), le feste religiose furono abolite. Nel 1805 Napoleone decise per il ritorno al calendario gregoriano.

[9] P. Tempesti, il calendario e l’orologio, Gremese editore, Roma 2006, pp.158-159.

[10] Termidoriano fa riferimento al periodo della storia francese che va dalla caduta di Robespierre (24 luglio 1794) alla nascita del Direttorio. La scena politica non era più dominata dalla sinistra montagnarda ma dalle istanze più liberali del centro, definito “Palude”. Un progetto per una scuola libera, gratuita e popolare era stato sviluppato con il decreto Bouquier, di ispirazione giacobina, entrato in vigore per poco meno di un anno.

[11] A. Roberts, Napoleone il Grande, trad. it. Luisa Agnese Dalla Fontana e Aldo Piccato, ed. De Agostini Libri S.p.A., Novara 2015.

[12] A.C. Thibaudeau, Consulat et Empire, tome 2, p. 178-180, in J.C. F. Hoefer, Nouvelle biographie générale depuis les temps les plus reculés jusqu’à nos jours, avec les renseignements bibliographiques et l’indication des sources à consulter, Firmin Didot, 1866, p. 284.

[13] ].-M. Bourjol, S. Bodard, Droit et libertés des collectivités territoriales, Elsevier Masson, 1984.

[14] B.Napoleone, Discorso del 21 marzo 1810, Il ruolo dell’istruzione per Napoleone, in “la Storia moderna attraverso i documenti”, a cura di Adriano Prosperi, Zanichelli, Bologna 1974.

[15] R. Grevet, L’avènement de l’école contemporaine en France, Presses universitaires du Septentrion, 2001, Villeneuve d’Ascq, Chapitre II. Le temps des lois scolaires (1793-1815) : l’impulsion révolutionnaire et impériale, pp.59-81.

[17] B. Napoleone, Correspondance de Napoleon Ier, ed. Plon, Dumaine, 1862, Paris, tomo II, pp. 144-148.

[18] F.Palladino, Genesi dell’istruzione secondaria nell’Europa napoleonica, in storia locale-Glocale, 13/2017, pp. 229-241

[19] R. Anderson, The Idea of the Secondary School in Nineteenthcentury Europe, in Paedagogica Historica, Volume 40, Nos. 1 & 2, April 2004.

[20] Friedrich Humboldt fu ministro dell’istruzione durante il regno di Federico Guglielmo di Prussia, fondò l’Università di Berlino e riformò l’educazione superiore secondo un modello nuovo che univa didattica e ricerca.

[21] F.Palladino, Genesi dell’istruzione secondaria nell’Europa napoleonica, in storia locale-Glocale, 13/2017, pp. 229-241.

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