Life in Plastic

I grandi cambiamenti prendono piede lentamente, da piccoli passi che fanno notizia per qualche giorno e poi scompaiono nel dimenticatoio del quotidiano, ma che fanno parte di una strada comune che si cerca di percorrere tutti insieme.

Uno di questi piccoli passi lo trovate nel reparto “Igiene e pulizia personale” di qualsiasi supermercato in Italia, o meglio non lo trovate più da qualche giorno. Si tratta di un prodotto quotidiano, il cotton-fioc in plastica, che dal 1 gennaio ’19 è vietato nel belpaese. Questo ‘piccolo sconvolgimento’, che sarà presto dimenticato come l’obbligo dei sacchetti biodegradabili al posto di quelli di plastica nel reparto Ortofrutta, fa parte di un grande disegno Europeo, che a sua volta si inserisce in un grande piano globale: basta leggere il nuovo rapporto del WWF “Mediterraneo in trappola” per rendersi conto che il fatto di dover pagare qualche centesimo il sacchetto delle mele anche se si romperà quasi sicuramente nel tragitto verso casa è proprio l’ultimo dei problemi di cui ci dovremmo preoccupare.

500.000 tonnellate di rifiuti di grandi dimensioni in plastica (visibili a occhio nudo), equivalenti a 66.000 camion della spazzatura, vengono riversate nel Mare Nostrum ogni anno. Il dato già terribile di per sé, è solo la faccia della medaglia più visibile, in quanto il vero problema è la microplastica, frammenti minori di 5 mm che si trovano in quantità esorbitanti nel Mediterraneo, e oggi sono alimento inconsapevole di tutti i pesci e quindi anche nostro.

Sapere che mangiamo la stessa plastica che buttiamo in mare, o che nel 2018 l’UNEP (Programma Ambiente delle Nazioni Unite) ha collocato il problema della plastica negli oceani tra le sei emergenze ambientali più gravi (insieme ad altre come i cambiamenti climatici), dovrebbe essere una notizia abbastanza convincente in merito alla gravità del problema e alla necessità di affrontarlo in fretta e tutti insieme.

Ma non lo è.

Le questioni ambientali sono spesso affrontate con un tale allarmismo (per giunta giustificato) che qualsiasi notizia ormai non fa più notizia e siamo purtroppo assuefatti dal pericolo, lo sentiamo lontano nel tempo e nello spazio. Non ci rendiamo conto che questa distanza spazio-temporale si è molto accorciata. Se iniziamo oggi sarà già troppo tardi per rimediare ai danni provocati al nostro pianeta, danni le cui conseguenze si leggono nelle nostre cartelle cliniche e in ogni singolo angolo di pianeta che osserviamo.

Se non ce ne accorgiamo, o peggio, non lo consideriamo il problema del nostro secolo, è perché purtroppo non siamo educati all’ambiente, anzi siamo tristemente maleducati nei suoi confronti. La nostra casa non la sentiamo nostra, non abbiamo una visione olistica del mondo ma consumistica e profondamente egoista. Ogni azione che possa salvare il pianeta deve beneficiare anche noi in maniera diretta e tangibile, il nostro tornaconto è al primo piano e questo è frutto anche della strutturale debolezza e scarsa efficacia della educazione ambientale che riceviamo.

Quando si viveva in sincronia con la Terra, non vi era bisogno di imparare a rispettarla, semplicemente lo si faceva. Da decenni ormai invece un compito primario della nostra educazione, imprescindibile se si vuole veramente continuare a vivere, è il riavvicinamento all’ambiente, la riacquisizione di una consapevolezza persa con l’avvento della modernità. Troppo spesso questo compito è sottovalutato, dimenticato, reso superficiale e secondario a favore del sapere nozionistico, il sapere ‘vero’.

La sfida da lanciare, e non si può fare altrimenti, è intelligentemente proposta da Mario Salomone nel saggio “La sostenibilità in costruzione- Il ruolo della green education nella società verde: essere attori del cambiamento nel XXI secolo”. Il sociologo apre il volume con una citazione di Hubert Reeves, astrofisico:

«O il XXI secolo sarà verde, o non ci sarà un XXII secolo»

Da qui prende le mosse una analisi attenta e meticolosa sul ruolo della Educazione sostenibile e della Educazione ambientale nelle scuole e nelle Università oggi. Come maneggiare questi saperi e come crescere dei cittadini ecologicamente consapevoli e attenti al proprio intorno? La sua riflessione trova nell’idea di comunità “ecologica” e di “ambiente-scuola” (un ambiente in stretta continuità con l’ambiente pianeta) l’habitat perfetto e fecondo, progettando per l’immediato futuro una scuola moderna, una scuola dove si può, si deve cercare (facendone laboratorio di ricerca e di applicazioni concrete) di “star bene” sul piano relazionale, umano, dove non ci siano dissonanze tra valori dichiarati e valori agiti, dove si impari a sviluppare conoscenze e competenze per essere partecipi di un mondo in cambiamento, dove ci si confronti e si condividano valori di cura degli altri e della Terra e dove si ragioni in termini di futuro.

Credo che questo tema meriti lo spazio di un altro articolo per essere approfondito e analizzato, poiché è di una rilevanza assoluta. Credo che tutti dovrebbero saper riconoscere il proprio livello di educazione ambientale e avere gli strumenti per migliorarlo. Credo che ognuno di noi dovrebbe essere consapevole del poco tempo che resta.

Fonti:

Salomone, M. (2013). La sostenibilità in costruzione. Effetto Farfalla.Rapporto WWF 2018: http://assets.wwfit.panda.org/downloads/plastics_med_finale_italia_def_low.pdf

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