Sei insegnanti per una scuola migliore

La validità di un determinato testo si saggia dalla sua capacità di far pensare e noi tutti, proprio per riferirci a quei testi o a quegli autori che hanno saputo suscitare vivaci dibattiti per intere generazioni di uomini, non esitiamo a ricorrere alla definizione di classici.

In questa rubrica, Piccola storia dell’educazione, ho voluto presentarvi proprio alcuni classici sul tema oggetto della nostra indagine: lo scopo di questa operazione non è tuttavia di provvedere ad un’erudita enumerazione di ciò che vari pensatori nel corso dei secoli hanno scritto sulla paideia, quanto quello di recuperare da alcuni testi particolarmente significativi degli insegnamenti in grado di aiutarci a migliorare il sistema educativo attualmente in vigore. Sono infatti convinto che occorra ripartire proprio da alcuni imprescindibili classici per potere migliorare e modernizzare il nostro sistema scolastico.

Vi starete chiedendo: quali sarebbero gli insegnamenti così importanti che i classici di cui in questa rubrica si è parlato sarebbero in grado di consegnarci?

Tenterò di rispondere a questa domanda segnalando per ciascun autore o testo trattato ciò che a mio avviso merita di essere più insistentemente preso in considerazione. Per quanto concerne l’epoca medievale e poi quella rinascimentale, ho tuttavia preferito, più che contrarmi su autori o opere specifiche, focalizzare l’attenzione su alcuni aspetti generali di ciò che in questi due momenti storici così decisivi per l’Occidente è avvenuto.

Siamo partiti da una rapida analisi del Menone di Platone: ciò che il filosofo ci ha voluto insegnare in questo dialogo, partendo da una serrata indagine intorno alla possibilità di insegnare la virtù, è che il vero magister è un po’ come l’autentico politico, ossia non è in grado di mettere ordine nell’animo degli altri se prima non è stato capace di farlo nel proprio. Solo chi ha saputo, e dunque ha imparato, ad ordinarsi è in grado di condurre gli altri al medesimo stato. Abbiamo poi proseguito con i libri VIII e IX dell’Etica a Nicomaco di Aristotele, interamente dedicati al tema dell’amicizia: da ciò abbiamo concluso che un’autentica formazione non può limitarsi solamente agli aspetti contenutistici del sapere, occorre educare i giovani anche a tutti quei tratti essenziali che li mettano nella condizione di poter vivere pienamente la relazione con gli altri esseri umani, il cui vincolo socialmente più rilevante è proprio l’amicizia. Passando invece ad un’analisi della cultura medievale, concentrandoci nella fattispecie sul passaggio dalla schola all’universitas studiorum con il pervenire in Occidente delle traduzioni delle opere filosofiche e scientifiche greche, arabe e giudaiche, abbiamo in prima battuta assistito all’istituzione del sistema universitario che noi tutti ancora oggi utilizziamo e in secondo luogo abbiamo avuto modo di constatare come il serrato confronto che avveniva tra gli intellettuali in quegli anni fosse estremamente aperto, attraverso il sistema della disputatio, al confronto con qualsiasi idea. Insomma, siamo di fronte alla formazione di quel sistema di pensiero critico e sistematico che non indugia a confrontarsi con testi e autori di altre culture, sia per confutarli sia per servirsene al fine dell’elaborazione di una propria personale posizione innovativa. L’epoca che più di ogni altra ha forse influenzato il nostro modo di intendere la cultura è il Rinascimento, specialmente attraverso la figura di Aldo Manuzio: è con lui che infatti il sapere inizia universalmente a diffondersi attraverso edizioni tascabili ed economiche ed è nella sua epoca che l’amore per i classici greco-latini cresce a tal punto tale da stimolare l’ingente produzione di edizioni critiche di testi per secoli dimenticati, facendo della filologia la via privilegiata di accesso a questo mondo antico. Infine l’attenzione si è concentrata sull’Emilio di Rousseau e sul celebre motto learning by doing di Dewey. Dal primo abbiamo appreso l’importanza, all’interno dei processi educativi messi in atto dall’educatore, di seguire sempre l’ordine naturale delle cose: la vita umana può essere divisa in più fasi, all’interno di ciascuna delle quali nella persona vengono a svilupparsi capacità intellettuali ed emotive differenti, che la rendono di volta in volta in grado di approcciarsi gradualmente a sempre nuovi aspetti dell’esistenza. Ogni tempo della vita, potremmo sinteticamente dire, ha delle caratteristiche del tutto esclusive e il compito dell’educatore è in definitiva quello di accompagnare i fanciulli alla crescita armonicamente, non anticipando o posticipando mai ciò che ha la su ragion d’essere in una determinata epoca dell’esistenza umana. Alla fine del nostro itinerario ci siamo soffermati sulla proposta di J. Dewey: l’insegnamento non può e non deve passare solamente attraverso la classica lezione frontale, in cui un docente trasmette una serie di nozioni da memorizzare agli alunni, è necessario che i bambini vengano direttamente messi a contatto con “cose da fare” e con problemi pratici da risolvere, così che l’apprendimento passi proprio attraverso la praxis.

Siamo partiti da una rapida analisi del Menone di Platone: ciò che il filosofo ci ha voluto insegnare in questo dialogo, partendo da una serrata indagine intorno alla possibilità di insegnare la virtù, è che il vero magister è un po’ come l’autentico politico, ossia non è in grado di mettere ordine nell’animo degli altri se prima non è stato capace di farlo nel proprio. Solo chi ha saputo, e dunque ha imparato, ad ordinarsi è in grado di condurre gli altri al medesimo stato. Abbiamo poi proseguito con i libri VIII e IX dell’Etica a Nicomaco di Aristotele, interamente dedicati al tema dell’amicizia: da ciò abbiamo concluso che un’autentica formazione non può limitarsi solamente agli aspetti contenutistici del sapere, occorre educare i giovani anche a tutti quei tratti essenziali che li mettano nella condizione di poter vivere pienamente la relazione con gli altri esseri umani, il cui vincolo socialmente più rilevante è proprio l’amicizia. Passando invece ad un’analisi della cultura medievale, concentrandoci nella fattispecie sul passaggio dalla schola all’universitas studiorum con il pervenire in Occidente delle traduzioni delle opere filosofiche e scientifiche greche, arabe e giudaiche, abbiamo in prima battuta assistito all’istituzione del sistema universitario che noi tutti ancora oggi utilizziamo e in secondo luogo abbiamo avuto modo di constatare come il serrato confronto che avveniva tra gli intellettuali in quegli anni fosse estremamente aperto, attraverso il sistema della disputatio, al confronto con qualsiasi idea. Insomma, siamo di fronte alla formazione di quel sistema di pensiero critico e sistematico che non indugia a confrontarsi con testi e autori di altre culture, sia per confutarli sia per servirsene al fine dell’elaborazione di una propria personale posizione innovativa. L’epoca che più di ogni altra ha forse influenzato il nostro modo di intendere la cultura è il Rinascimento, specialmente attraverso la figura di Aldo Manuzio: è con lui che infatti il sapere inizia universalmente a diffondersi attraverso edizioni tascabili ed economiche ed è nella sua epoca che l’amore per i classici greco-latini cresce a tal punto tale da stimolare l’ingente produzione di edizioni critiche di testi per secoli dimenticati, facendo della filologia la via privilegiata di accesso a questo mondo antico. Infine l’attenzione si è concentrata sull’Emilio di Rousseau e sul celebre motto learning by doing di Dewey. Dal primo abbiamo appreso l’importanza, all’interno dei processi educativi messi in atto dall’educatore, di seguire sempre l’ordine naturale delle cose: la vita umana può essere divisa in più fasi, all’interno di ciascuna delle quali nella persona vengono a svilupparsi capacità intellettuali ed emotive differenti, che la rendono di volta in volta in grado di approcciarsi gradualmente a sempre nuovi aspetti dell’esistenza. Ogni tempo della vita, potremmo sinteticamente dire, ha delle caratteristiche del tutto esclusive e il compito dell’educatore è in definitiva quello di accompagnare i fanciulli alla crescita armonicamente, non anticipando o posticipando mai ciò che ha la su ragion d’essere in una determinata epoca dell’esistenza umana. Alla fine del nostro itinerario ci siamo soffermati sulla proposta di J. Dewey: l’insegnamento non può e non deve passare solamente attraverso la classica lezione frontale, in cui un docente trasmette una serie di nozioni da memorizzare agli alunni, è necessario che i bambini vengano direttamente messi a contatto con “cose da fare” e con problemi pratici da risolvere, così che l’apprendimento passi proprio attraverso la praxis.

Detto questo, mi permetto di formulare una proposta all’insegna di una piccola rivoluzione del sistema educativo attualmente in vigore: 1) prima di tutto occorre che nelle scuole ci siano sempre più professori motivati e autenticamente appassionati al loro lavoro, capaci, proprio perché hanno fatto ordine nella propria anima, di riuscire a replicare il medesimo in quella dei loro alunni, 2) inoltre è necessario che nelle scuole non si insegnino solo concetti, ma anche atteggiamenti e stili di vita e 3) che si educhi ad una forma critica di pensiero, sempre disposto al dialogo, 4) che si nutre, attraverso la lettura e l’attento studio dei libri, del pensiero e degli insegnamenti dei classici, 5) nel pieno rispetto di ogni fase della vita e nella consapevolezza che ad ogni età corrisponde una specifica capacità di approccio alla realtà e dunque un determinato percorso educativo da seguire, 6) nella consapevolezza, infine, che non si impara solamente ascoltando altri che parlano, ma che occorre anche, esattamente come ci ha insegnato Dewey, ripensare l’insegnamento alla luce del learning by doing.

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