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School in a box: la catena di fast-school

Siamo abituati a vedere catene di qualsiasi tipo: dal fast-food alla ristorazione rinomata, dal negozio di calze alla pasticceria preferita. Il modello della catena, quando altamente standardizzato, consente notevoli vantaggi in termini di marketing, specialmente una forte brand recognition e una elevata fiducia, senza parlare degli enormi vantaggi della omologazione a livelli di economie di scala e di costo.

E se questo modello, totalmente condivisibile e vantaggioso quando parliamo di catene private che vendono beni o servizi in un mercato più o meno concorrenziale, lo si applicasse alla scuola?

Una “school chain”, con un vero e proprio brand ripetuto in ogni istituto, una stessa modalità di gestione e uno stesso modello di educazione che prevede lezioni quasi ‘preconfezionate’ impartite da maestri non professionisti che lavorano secondo un ben preciso schema di insegnamento: a chi non verrebbe da storcere il naso?

Eppure questo modello è la più moderna, operativa frontiera dell’innovazione scolastica. La “school in-a-box” funziona ed ha grandissimi risultati, perché elimina le inefficienze della scuola pubblica e gli altissimi costi di una scuola privata.

In alcuni contesti, in certe aree del mondo questo modello è guardato con favore e promosso e sono proprio quei Paesi dove lo Stato non riesce ad adempiere al suo compito di fornitore di quelli che gli economisti chiamano beni pubblici (istruzione, giustizia, difesa…) in maniera soddisfacente. Lo Stato si sostituisce al privato nel fornire un bene quando ne vuole assicurare la libera ed eguale fruizione da parte di tutti, quando è “giusto” – e si noti che il contesto di cosa sia giusto e cosa non lo sia cambia nel tempo e nello spazio notevolmente- che sia così e ci sono vantaggi sociali nel renderlo disponibile, ma ad un prezzo di mercato molti non lo acquisterebbero. Infatti molti non acquistano il bene ‘scuola privata’ in Ghana, per ovvi motivi, e il bene ‘scuola pubblica’ è altamente insoddisfacente per altrettanto palesi motivi.

Riuscire ad assicurare ai propri figli una educazione primaria di base e di una qualità accettabile è una lotta per i genitori che si trovano alla base della piramide della ricchezza mondiale: si stima che 25 milioni di bambini in età scolastica siano analfabeti, nonostante la metà di essi abbia completato 4 anni di educazione primaria (UNESCO 2015). Nel quintile più povero, un terzo dei bambini non riesce nemmeno a finire la scuola primaria (UN 2015). È ai loro genitori che sono rivolte scuole di cui si possono fidare, che possono riconoscere come qualitativamente accettabili e che allo stesso tempo, grazie ad una strategia di standardizzazione simile a quella delle catene tradizionali, costano poco (addirittura meno delle scuole pubbliche).

Nella recentissima ‘Piattaforma delle migliori innovazioni’ predisposta dell’OECD sulle più innovative pratiche di policy dei Paesi trovano un posto d’onore due brand scolastici che stanno rivoluzionando in maniera positiva il livello di istruzione nei Paesi meno sviluppati: si tratta della “Omega School” in Ghana e del “Bridge International Academy” in Kenya.

Oltre ad assicurare uno standard qualitativo riconosciuto, questi modelli integrano in una retta scolastica non proibitiva tutto ciò che è essenziale nell’ecosistema scolastico, da libri e quaderni a mensa e uniforme, sino al trasporto: il prezzo onnicomprensivo consente una valutazione migliore e trasparente da parte delle famiglie. A questo si aggiunge una strategia di promozione e di coinvolgimento delle comunità locali in termini di assunzione degli insegnanti, che vengono poi formati sulla base degli standard impartiti dal management quasi del tutto verticalmente integrato, ed in termini di prossimità delle scuole e vicinanza dei mezzi di comunicazione (dai cartelloni sulle strade, la radio e la vera e propria attività di reclutamento di bambini e insegnanti sul territorio bisognoso del servizio). Il passaparola e una strategia di marketing di massa consentono di sensibilizzare le comunità e di rendere un bene pubblico avulso e inefficiente un bene semi-privato socialmente accettato e accessibile.

La cosa più sorprendente di questi modelli, a proposito dei quali un’iniziale sospetto lascia il posto ad una rivalutazione positiva, è che funzionano: queste catene hanno raggiunto velocemente un gran numero di studenti e hanno attratto nuovi investimenti. Omega, è passata in 4 anni da due scuole a 38, Bridge ha raggiunto, a soli 6 anni dall’inizio del progetto, più di 400 scuole e 108.000 studenti, la quasi totalità dei quali nelle aree considerate più povere.  

Anche in termini di risultati gli studenti superano le medie nazionali per livelli di profitto scolastico e di abbassamento del tasso di abbandono. Non solo superano però i propri coetanei delle scuole pubbliche, ma anche quelli delle private, confermando l’efficacia di questo modello. Dalle statistiche riportate risulta che il 90% degli studenti raggiunge il diploma ed una percentuale significativa accede all’istruzione accademica.

Dulcis in fundo, vi è una particolare ragione per cui questo modello è incluso nella piattaforma per le innovazioni: si caratterizza per un elevato utilizzo delle nuove tecnologie informatiche rispetto agli standard. I pagamenti, sia delle tasse di iscrizione che degli stipendi, sono completamente automatizzati e cashfree. I contanti sono sostituiti da vouchers o sistemi di pagamento elettronici e le tecnologie digitali aiutano anche a monitorare il sistema e il flusso di informazione da feedback e spazio a continui e rapidi miglioramenti.

Cosa si porta a casa da questi progetti? A mio parere la scuola non si deve accontentare di una educazione standardizzata, ma in alcuni contesti lo sviluppo deve partire da una base almeno di alfabetismo di massa. E ben vengano dunque modelli che si assumono il compito di guardare ai problemi reali e di affrontarli con strategie innovative: i tentativi di politiche di sviluppo sono appunto tentativi, soggetti ad errori di valutazione, aperti a diversi risultati e non si possono replicare ovunque con le stesse modalità. Vanno adattati, cambiati e costantemente rinnovati per permettere a tutti di partecipare al gioco del mondo con gli stessi strumenti.

Fonti:

https://www.innovationpolicyplatform.org/system/files/01%20Edu_2pg_Low-cost%20Chain%20Schools.pdf

https://www.innovationpolicyplatform.org/system/files/01%20Edu_Profile%20Omega.pdf

https://www.innovationpolicyplatform.org/

Immagine tratta da Google Immagini

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