Che l’Italia non sia un paese per giovani non c’è bisogno di ripeterlo. Eppure, al tempo stesso, nel momento in cui una estesa classe politica – ovvero, la quasi totalità della classe politica – dimostra di non interessarsi al futuro di giovani ed istruzione, ci pare il caso di ricordarlo ancora e ancora.
Il governo ha inviato a Bruxelles il “NADEF”, ovvero la Nota di Aggiornamento sul Documento di Economia e Finanza (qui il testo completo), e tanto per cambiare giovani ed istruzione sono completamente assenti. Una fotografia della situazione attuale, in quanto a beneficiari della spesa pubblica e giustizia inter-generazionale, è aberrante. La Manovra abbozzata dal NADEF riesce nell’arduo compito di peggiorare la situazione.
Già al 2016 (ultimo anno con dati INPS consultabili), l’Italia spendeva €259 miliardi in pensioni, una cifra pari al 16,1% del PIL. In Europa, percentuale sul PIL nazionale, solo la Grecia spende più di noi. Ad oggi, quella spesa è già salita a €276 miliardi nel 2019, come riporta la Nota a pagina 54.
In quanto ad istruzione, la situazione è diametralmente opposta: l’Italia è uno dei paesi che spende meno. Nel 2017, la spesa per l’istruzione è stata pari al 3,8% del PIL (meno di un quarto della spesa pensionistica). Peggio di noi solo Romania, Irlanda e Bulgaria. I paesi del blocco scandinavo spendono sostanzialmente il doppio o quasi.
Il tutto a fronte del fatto che l’Italia ha la aspettativa di vita media lavorativa più bassa d’Europa, pari a 31 anni e 6 mesi (dati aggiornati rispetto all’articolo di Repubblica linkato), contro una media europea pari a 36 anni. In Svezia si lavora in media 42 anni, in Olanda 40, in Germania 38. In Italia 31,6.
Non è tutto. Il Documento Programmatico di Bilancio 2020 appena pubblicato dal Ministero dell’Economia (16 Ottobre 2019) si apre, già a pagina 3, con l’orgoglioso reclamo di un tasso di disoccupazione in discesa: oggi pari al 9,5% – il testo riconosce, tuttavia, che sia circa 4% più alto dei livelli pre-crisi. La nota non parla affatto del livello di disoccupazione giovanile, che è a livelli allarmanti: 33,2% prima dell’estate 2019 (la flessione successiva è ciclica e dovuta ai lavori stagionali estivi).
Insomma, avete capito: è una situazione drammatica. E cosa fa il governo? Aumenta (enormemente) la spesa in pensioni. Non fa praticamente niente per l’istruzione.
Con la conferma di “Quota 100” la spesa pensionistica salirà ancora di circa €10 miliardi all’anno. Lo dice il NADEF stesso (pagina 42): dai 276 miliardi attuali agli oltre 304 miliardi nel 2022. Su questo aumento, il MEF stima che Quota 100 avrà un peso di 8 miliardi nel 2020 ed altri 8 nel 2021. Io non so se è chiaro, alla mia generazione (diciamo ai ventenni), cosa significano questi numeri. Faccio un esempio: la spesa annua per l’Università – intendo il finanziamento statale annuo a tutte le 63 università pubbliche messe insieme – è pari a circa €5,5 miliardi. Quota 100 costa il 50% in più. Lo ripeto una terza volta perché deve essere chiaro: con i soldi di Quota 100 si potrebbe più che raddoppiare la spesa statale in Università. E invece si decide di confermare Quota 100.
Da notare la finissima analisi del quotidiano Il Tempo, il quale sostiene che la spesa in pensioni ha “effetti [positivi] sul PIL”. La teoria è che, siccome gli anziani spendono i soldi delle pensioni, il PIL italiano cresce grazie a loro. I giornalisti de Il Tempo pensano di aver trovato la pozione magica per far crescere il PIL: prendi i soldi dal sistema economico (tasse), li dai a qualcuno (pensionato) che li torna a spendere nel sistema economico – e magicamente quei soldi crescono! Non è così, chiaramente: le pensioni vengono finanziate tramite tasse (quindi soldi che erano già nel sistema e che vengono spostati nelle casse dello stato) e debito (che come ogni prestito andrà poi ripagato, con interessi). Se la pensione viene data ad un anziano che la spende in Italia, non si genera nessuna “ricchezza” aggiuntiva: è semplicemente uno spostamento di denaro da una tasca all’altra! Può avere un effetto redistributivo anche giustificato, ma sicuramente non esiste nessun coefficiente (superiore a 1) che possa giustificare un programma di crescita del PIL tramite spesa in pensioni.
E la spesa in istruzione? In percentuale al PIL, diminuisce, ovviamente. È prevista scendere dal 3,4% del PIL nel 2020 al 3,2% nel 2025 (NADEF pag. 48). La spesa in pensioni, che sarà il 15,6% del PIL nel 2020 è prevista salire fino al 18,3% nel 2040 (sempre dati del governo nel NADEF, pag. 48). Spendiamo pochissimo in istruzione, spenderemo ancora meno. Spendiamo tantissimo in pensioni, spenderemo ancora di più. Certo, si parla di assumere circa sedicimila insegnanti (leggi: altri sedicimila andranno in pensione), ma di investimenti strutturali niente. Di riforme (sulle regole, che ovviamente vanno ripensate anche quelle) praticamente niente – solo una menzione ad un paio di DDL sul “riordino” del modello di valutazione delle università. Il Ministro dell’Istruzione Fioramonti dichiarò solo un mese fa che se in Manovra non ci fossero stati un miliardo in più sull’università e due sulla scuola si sarebbe dimesso. Siamo fiduciosi del fatto che, se la versione finale della manovra dovesse confermare non solo nessun nuovo investimento, ma anzi una riduzione della spesa relativa, il ministro manterrà la parola data.
Ma il grafico più bello dell’intera Nota, a mio avviso, è il seguente.
Guardate un po’: la spesa in pensioni cresce proprio fino al 2022, anno di scadenza dell’attuale legislatura. Ma guardate cosa succede, secondo le previsioni stesse del governo, dopo il 2045: la spesa si ridurrà tantissimo. Cosa significa? In una parola: che la mia generazione in pensione non ci andrà mai – e lo ammette il governo stesso in un grafico! La spiegazione offerta è la seguente:
Infine, la rapida riduzione del rapporto fra spesa pensionistica e PIL, nell’ultima fase del periodo di previsione, è determinata dall’applicazione generalizzata del calcolo contributivo che si accompagna alla stabilizzazione, e successiva inversione di tendenza, del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati. Tale andamento risente sia della progressiva uscita delle generazioni del baby boom sia degli effetti dell’adeguamento automatico dei requisiti minimi di pensionamento in funzione della speranza di vita.
Parafrasi: l’unico modo per cui questo grafico può essere vero è che si alzi la soglia dell’età pensionabile per la generazione dei nati tra il 1980 e il 2000 talmente tanto da avere nel 2045 al 2065 più lavoratori che pensionati. Problema: in quello stesso lasso di tempo l’ISTAT stima che la popolazione italiana calerà di circa 5 milioni di unità rispetto a oggi, e l’età media passerà dai 44,9 anni attuali a 50. Matematicamente parlando, perché il grafico sia vero, quella generazione sopra citata (1980-2000) non potrà andare in pensione. Ripeto: lo dice il governo stesso nel NADEF (il grafico viene da lì)!
Ma che problema c’è, diranno alcuni: Quota 100 abbassa l’età pensionabile e costa un sacco però se la pagano i beneficiari con i loro contributi. Magari. La manovra sarà ovviamente finanziata in deficit (pari al 2,2% per il 2020, secondo lo stesso NADEF).[1] In particolare, sui circa 30 miliardi necessari per finanziare la manovra, circa 15 saranno finanziati “in deficit”. Quindi altro debito. Che ovviamente pagheremo noi.[2] Ultimissimo dato: già oggi, sempre stando al NADEF 2020, paghiamo in interessi sul debito una cifra pari al 3,4% del PIL – esattamente quanto spendiamo in istruzione! Quindi, il costo degli interessi sul nostro debito pubblico ci costa tanto quanto l’intero sistema scolastico,[3] e il governo pensa bene di fare altro debito. Per finanziare altre pensioni.
Ora, vien da chiedersi come sia possibile che una manovra simile non generi – almeno all’interno di una certa fascia d’età – un rigetto, una opposizione tale da far passare la voglia a qualsiasi parlamentare di votarla. In un certo senso, se anche solo volessimo ridurre la questione a quella su cui ci siamo concentrati noi (spesa in istruzione e università v. spesa in pensioni), verrebbe da dire che i conti non tornano: Quota 100 vede indicativamente 300.000 beneficiari all’anno, mentre gli iscritti all’università sono ogni anno oltre 1 milione e 600 mila, di cui recentemente tra i 250 e i 300 mila nuovi immatricolati. Uno direbbe: di fronte ad una manovra del genere, un partito guadagna i voti dei beneficiari di Quota 100 e perde quelli degli universitari. Saldo finale ampiamente negativo. In realtà uno potrebbe dire che, non ritoccando il sistema pensionistico, questo governo guadagna anche i voti di quelli che in pensione ci andranno pur senza Quota 100. Restano comunque oltre 1,5 milioni di voti persi. Eppure, i partiti responsabili di questa manovra (Movimento 5 Stelle, Partito Democratico e Italia Viva[4]), insieme alla Lega che è il partito che si è attribuito il merito di Quota 100, nel complesso si dividono i 2/3 dell’elettorato italiano in fascia 18-34 (fonte Ipsos sulle elezioni politiche 2018).
Il motivo per cui una riforma del genere può passare senza una levata di scudi, è che questa platea giovane e compatta, in grado di intendere il furto spudorato che questa manovra (in perfetta linea con le precedenti) rappresenta, non esiste. È in fondo la creazione di questa platea l’obiettivo, romantico ed estenuante, di Education Around.
[1] Luigi Marattin dichiara che il deficit del 2,2% di quest’anno “non è neanche lontano parente” del deficit che il governo precedente voleva fare al 2,4% (poi ridotto al famoso 2,04%), per cui molti esponenti del Partito Democratico – tra cui lui stesso – si stracciarono le vesti. La giustificazione è che il deficit sarebbe come una tachipirina e ne prendi di più quando ne hai più bisogno; quest’anno l’economia è più stagnante quindi ne serve di più. Marattin è un professore e io sono uno studente, quindi non mi permetto di controbattere alla sicurezza che lo contraddistingue. Mi permetto di notare che indebitare ulteriormente il paese per finanziare una manovra costosissima come Quota 100 quando l’economia va male non sembra, a uno come me che può usare la logica e poco altro, una mossa troppo avveduta.
[2] La vita media dei titoli di stato italiani è di circa 7 anni.
[3] Quel 3,4%/PIL di spesa in istruzione riportato dal NADEF stesso non include la spesa sugli asili nido e quella per la formazione sugli adulti, che sono probabilmente comprese tra lo 0,2-0,4%/PIL.
[4] Matteo Renzi si è dichiarato contrario al mantenimento di Quota 100, dichiarandolo “un furto alle nuove generazioni”. Lo ha fatto dopo aver votato a favore dell’approvazione del NADEF, che conferma la misura. Siamo fiduciosi del fatto che non voterà a favore della versione finale della Manovra nel caso in cui la misura non venisse cancellata.
Immagine di copertina: The Children of the Revolution (fonte: Quillette).