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Educazione alla sicurezza digitale: se non ora, quando?

Di Emanuele Lepore

In questo articolo inizieremo a parlare di sicurezza digitale e, ovviamente, di educazione: é la nostra mission. Prendo le mosse da una puntata del bel podcast di Matteo Flora, Ciao internet, dedicata alla sicurezza informatica e alla Guerra fredda che si consuma, quasi sempre a nostra insaputa, attraverso la tecnologia. L’ascolto della puntata, in cui interviene anche Giulia Pastorella, è vivamente consigliata.

Quando si pensa di cyber security e, in generale, di sicurezza digitale si pensa immediatamente alla necessità di proteggere dati e transazioni on line da parte delle aziende o delle istituzioni. In questo momento di massiccia traduzione digitale delle nostre attività, la sicurezza digitale diventa però un tema imprescindibile per l’educazione. Come tutto, certo.

Ampliare l’orizzonte educativo.

Al nostro sistema scolastico chiediamo da tempo di implementare l’offerta formativa su vari fronti: per esempio quello dell’educazione civica. Evidentemente ogni implementazione richiede un ripensamento dell’offerta formativa in generale ma ci sono temi di cui a scuola non si può più non parlare. È certamente complesso ma un sistema educativo che non sia in grado di aggiornarsi costantemente perde l’occasione di essere funzionale e smarrisce il proprio obiettivo: educare, non solo informare o istruire.

Una delle difficoltà che accompagna la necessità di ampliare il terreno dell’educazione è quella di tradurre temi molto ampi (come l’educazione civica o l’educazione ambientale) in percorsi formativi determinati, con obiettivi chiari, con conoscenze e competenze reali.

Per questo introduciamo alcune riflessioni sull’educazione digitale con un tema specifico: la sicurezza digitale. Tutti noi trascorriamo molta parte della nostra vita on line, le nostre relazioni passano per app di messaggistica, acquistiamo – e talvolta vendiamo – merci con un click. Sottoscriviamo abbonamenti, cerchiamo e produciamo contenuti. In generale partecipiamo ad un traffico di dati che cresce per intensità e complessità.

Il digitale sembra avere un lato oscuro.

Possiamo ancora dare per scontato di essere in grado di gestire la nostra partecipazione a questo traffico? Possiamo continuare a pensare che essere assidui frequentatori di social network e altre piattaforme significhi avere le conoscenze e le competenze per fare una esperienza on line sicura?

Dinnanzi al dilagare di fenomeni come revenge porn, furto di dati, violazione di profili e cyber bullismo, non è sufficiente rafforzare i dispositivi di controllo e persecuzione del crimine: sarebbe come pensare che avere una legge che vieta il furto o l’omicidio sia sufficiente ad evitare i comportamenti relativi. Pare proprio che non basti, perché tutti i nostri comportamenti, anche quelli criminosi, hanno molto a che fare con l’educazione e la formazione a cui ciascuno di noi ha avuto accesso. Oltre che con le condizioni materiali di vita, evidentemente, come ci ricorda – tra gli altri – Thomas More nel suo Utopia.

Per evitare di lasciare ampie zone d’ombra nell’orizzonte educativo, va anzitutto abbandonata la postura difensiva che solitamente adottiamo nei confronti dei lati problematici della tecnologia e della nostra vita digitale.

Il fatto che ci ritroviamo dinnanzi alla necessità di reprimere e punire comportamenti tanto diffusi e invasivi indica che, nel processo educativo, qualcosa non è andato per il verso giusto.

Che cosa vuol dire sicurezza digitale?

Prima di arrivare ad avere il problema di reprimere e punire comportamenti criminosi, possiamo educare alla sicurezza digitale. Anzitutto educando alla gestione dei dati e familiarizzando con i concetti di infosfera, bolle d’informazione e propaganda digitale.

Sicurezza digitale, infatti, non significa neppure esclusivamente protezione da attacchi o violazioni di vario genere. Significa anzitutto possibilità di vivere la dimensione digitale della nostra esperienza quotidiana in autonomia, con la necessaria dose di conoscenze e competenze: il buon vecchio senso critico, per dirla in due parole.

Poiché educare è formare condividendo un percorso, dobbiamo fare in modo che i giovani utenti del web non si trovino da soli dinnanzi ad eventuali comportamenti criminosi e lesivi della persona. Prima che gli istituti educativi abbiano la possibilità di allestire spazi d’aiuto dedicati, fortunatamente ci sono realtà indipendenti e no-profit che si sono mosse in tal senso: su questo tema segnaliamo volentieri le attività di PermessoNegato.

Chiudiamo questa introduzione al tema con un’affermazione forse perentoria, di cui si possono facilmente intendere le ragioni: non possiamo lasciare al buon cuore degli insegnanti l’educazione digitale. Tantomeno possiamo pensare che l’educazione digitale possa venire fuori dall’incrocio approssimato di materie già esistenti.

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