La scuola è aperta a tutti.
L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.
Costituzione della Repubblica Italiana, Art. 34
Lo sappiamo già, la conoscenza è un bene pubblico. Non solo; il mezzo per acquisirla, l’istruzione, è un diritto e un dovere. In quanto tale, essa sfugge alla competizione economica e va resa fruibile a tutti, «anche se privi di mezzi». È una nozione familiare, quella del diritto allo studio. Meno familiare, forse, è la sua articolazione su più livelli: erogazione, fruizione e regolamentazione. Ad esempio, chi eroga le borse di studio?
Queste ultime sono l’unica forma di diritto allo studio? Si tratta di una sovrapposizione o di una intersezione non esauriente?
Il garante: lo Stato
Se è la Repubblica a garantire il diritto allo studio, allora sarà quest’ultima a dover preoccuparsi di metterlo in pratica. Lo Stato, dunque, ha il dovere di fornire a tutti le stesse condizioni per usufruirne. Di porre tutti davanti a una medesima linea di partenza.
Tale uguaglianza di condizioni si raggiunge assicurando dei Livelli Essenziali di Prestazioni (LEP), definiti dal d.lgs. 68/2012. Nell’art. 6 del decreto, sono classificati come LEP:
- servizi abitativi;
- servizi di ristorazione;
- servizi di orientamento e tutorato;
- attività a tempo parziale;
- trasporti;
- assistenza sanitaria;
- accesso alla cultura;
- servizi per la mobilità internazionale;
- materiale didattico.
Lo Stato garantisce i LEP attraverso un fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio, assegnato agli enti erogatori regionali proporzionalmente al fabbisogno delle singole regioni. Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR), attraverso il Diritto allo Studio Universitario (DSU), permette di proseguire gli studi presso Università e Istituti di Alta Formazione Artistica, Coreutica e Musicale (AFAM) a studenti che soddisfino i requisiti economici e di merito.
In tal senso, nel 2017 è stata introdotta la cosiddetta No Tax Area, che esonera – totalmente o parzialmente – gli studenti con un ISEE inferiore a €30.000 dal pagamento dell’iscrizione a istituti universitari o AFAM. In particolare, l’iscrizione è gratuita per gli studenti con un ISEE inferiore a €13.000. Per le altre fasce di reddito idonee, le tasse universitarie non possono superare il 7% di differenza tra l’ISEE e €13.000. Quindi, ad esempio, uno studente con ISEE di €20.000 pagherà una retta di €490; ossia, il 7% di 7.000, risultato della differenza tra 20.000 e 13.000. A partire dal secondo anno di iscrizione, l’accesso alla No Tax Area è regolato non solo dal requisito economico, ma anche da uno di merito: lo studente dovrà aver conseguito, entro il 10/08, 10 CFU per usufruire del servizio per il secondo anno, e 25 CFU per quelli successivi. E, a fronte dei movimenti economici che inevitabilmente influenzano il potere d’acquisto dei consumatori – la famigerata inflazione –, è stato disposto un aggiornamento triennale degli importi ISEE richiesti per accedere a riduzioni o esoneri.
Tuttavia, le risorse del fondo integrativo statale sono spesso risultate insufficienti a garantirne la fruizione a tutti gli coloro che soddisfacessero i requisiti: è il caso dei più che familiari “idonei non beneficiari”. A tal proposito, nel 2020 e 2021 la Camera dei Deputati ha messo in atto degli interventi mirati ad un incremento dei fondi destinati alle borse di studio, così da includere tra i beneficiari un maggior numero di studenti rientranti nei requisiti di eleggibilità. Con circa €70 milioni aggiuntivi in ciascuno dei due anni, il Fondo ha registrato un incremento complessivo di €158,6 milioni dal 2013 al 2021, corrispondente al 106,3%.
Nel fondo confluisce anche il 3% del ricavato dai beni confiscati alla mafia. Una bella metafora, no? Criminalità ed educazione, due poli opposti che, però, non si attraggono. Anzi; ciò che una perde, l’altra guadagna. Mors tua, vita mea. Per non dimenticare che l’arma più potente, l’unica in grado di estirpare il problema alla radice, è alla portata di tutti. E, in un circolo virtuoso, più questa vince, più si allarga il suo campo d’azione. Quanto più ci si educa alla legalità, tanto più si potenzia l’educazione.
Una parte del fondo integrativo statale è riservata alla residenzialità. Secondo la Legge n. 338/2000, il 25% dei fondi destinati ai servizi abitativi dovranno essere assegnati alle residenze universitarie statali, e il restante 75% ai collegi di merito. Qual è la differenza tra le due categorie? Secondo il d.lgs. 68/2012, le prime sono «strutture ricettive, dotate di spazi polifunzionali, idonee allo svolgimento di funzioni residenziali, anche con servizi alberghieri, strutturate in maniera tale che siano ottemperate entrambe le esigenze di individualità e di socialità. A tali funzioni possono essere aggiunte funzioni di carattere formativo e ricreativo, ritenute più idonee per la specificità di ciascuna struttura». I secondi, invece, sono «strutture ricettive, dotate di spazi polifunzionali, idonee allo svolgimento di funzioni residenziali, con servizi alberghieri connessi, funzioni formative, culturali e ricreative». Questi ultimi, dunque, si differenziano per la loro qualificazione formativa e rilevanza culturale. A ciò si aggiunge una differenziazione dei requisiti per l’esonero dal pagamento: economici per le prime e, nomen omen, di merito per i secondi.
L’esecutivo: le regioni
Se è dallo Stato che proviene gran parte dei finanziamenti destinati alla promozione del diritto allo studio, ad attuare gli interventi sono le regioni. Come accennato precedentemente, i destinatari del fondo integrativo statale non sono direttamente gli studenti, ma gli enti erogatori regionali. Questi ultimi, inoltre, dispongono di risorse aggiuntive per la promozione del diritto allo studio. Da un lato, il gettito fiscale derivante dalla tassa regionale per il diritto allo studio, determinato dalle singole regioni e articolato in tre fasce; dall’altro, risorse proprie delle regioni, pari almeno al 40% dell’assegnazione del Fondo integrativo statale. Il ruolo delle regioni è ben sintetizzato dal comma 2 dell’Art. 4 del d.lgs. 68/2012:
Ferma restando la competenza esclusiva dello Stato in materia di determinazione dei LEP, al fine di garantirne l’uniformità e l’esigibilità su tutto il territorio nazionale, le regioni esercitano la competenza esclusiva in materia di diritto allo studio, disciplinando e attivando gli interventi volti a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale per il concreto esercizio di tale diritto. Le regioni, nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio, possono integrare la gamma degli strumenti e dei servizi di cui all’articolo 6.
Inoltre, le regioni e le singole istituzioni universitarie o AFAM possono concedere, nei limiti della propria disponibilità, dei prestiti d’onore a condizioni agevolate. Questi dipendono dal possesso di requisiti di merito, differenziandosi dunque dalle borse di studio in senso stretto, che come abbiamo visto sono spesso caratterizzate da una condizionalità di tipo economico. Le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, inoltre, possono fornire strumenti e servizi aggiuntivi rispetto ai LEP.
Il ruolo degli Atenei
Anche i singoli atenei, così come le regioni, provvedono all’attuazione delle misure previste dallo Stato per garantire il diritto allo studio. Infatti, sono proprio questi a esentare i beneficiari delle borse di studio dal pagamento delle tasse universitarie. Inoltre, essi garantiscono esoneri diretti a studenti con disabilità superiore al 66% e infermità gravi e prolungate, o nel caso di un’interruzione di carriera di almeno due anni.
Ma, così come le regioni, anche le Università e le istituzioni statali possono concedere, nei limiti dei propri bilanci, esoneri totali o parziali. Di questi ultimi è possibile beneficiare nei casi di invalidità inferiore al 66%, documentata attività lavorativa, o velocità di carriera. Inoltre, gli Atenei svolgono delle funzioni trasversali nell’ambito del diritto allo studio. Le loro competenze comprendono, ad esempio, i servizi di orientamento e tutorato, l’organizzazione di attività culturali, la messa a disposizione di aule studio e biblioteche, la promozione di mobilità e interscambi internazionali, e lo sviluppo di attività studentesche autogestite.
E le università private? Nel caso di Atenei non statali legalmente riconosciuti, il MIUR definisce incentivi specifici che tengono conto dell’impegno dei singoli istituti nell’ambito del diritto allo studio.
Altri enti erogatori
Il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) offre delle borse di studio per studenti stranieri e italiani residenti all’estero che intendano intraprendere un corso di laurea magistrale, un dottorato, o un progetto di ricerca in co-tutela in Italia. L’eleggibilità è subordinata alla previa acquisizione del titolo di studio richiesto dall’Ateneo per accedere al corso, alla certificazione di competenza linguistica nella lingua di insegnamento, e a limiti di età – 28 anni per le lauree magistrali, 30 per i dottorati, 40 per i progetti in co-tutela. I beneficiari sono esentati dal pagamento delle tasse universitarie – ma non di quelle regionali – e ricevono una copertura delle spese sanitarie, in aggiunta ad un’indennità mensile di €900.
Altri enti erogatori di borse di studio sono l’Istituto Nazionale Previdenza Sociale (INPS) e l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO). Il primo offre una vasta gamma di agevolazioni per i figli di dipendenti pubblici iscritti a corsi di studio di vari livelli, sulla base di requisiti economici e di merito. La seconda, invece, propone ogni anno dei premi nell’ambito di temi cari alle Nazioni Unite, come ad esempio la sostenibilità e l’inclusione.
Un bilancio complessivo
Sulla carta, il sistema di diritto allo studio italiano sembra funzionante e onnicomprensivo. Forse, però, è opportuno applicare questa analisi – tutta numeri e dati – a situazioni di vita reale. Fermiamoci un attimo a guardare, ad esempio, il ruolo delle regioni e dei singoli Atenei: la discrezionalità nell’applicazione delle normative statali, e ancor più nell’attuazione di interventi autonomi, riporta ancora una volta il discorso sul rapporto tra Università e territori, di cui ci hanno già parlato Alberto De Bin e Ludovica Fiorentino.
L’Università è il territorio, perché riflette un tessuto politico, economico e sociale ben preciso, in cui è radicata e di cui si fa spesso portavoce. D’altro canto, il territorio cresce insieme all’Università, assorbendone i frutti culturali e socio-economici. Un circolo virtuoso a tutti gli effetti. Pensiamo, però, ad un Ateneo che sorga in una porzione di territorio economicamente svantaggiata e inattiva, priva di infrastrutture e carente di una mentalità imprenditoriale che permetta di sfruttare al meglio le proprie risorse. Un’università di questo genere attrarrà inevitabilmente un influsso minore di studenti e, di conseguenza, registrerà un fabbisogno minore. Quest’ultimo, come abbiamo visto, si traduce in un minor introito di finanziamenti statali, una minore disponibilità di sussidi e borse di studio, un minore impatto sullo sviluppo del territorio. E, per chiudere il cerchio, un minor numero di studenti che sceglierà di iscriversi all’Ateneo di cui sopra. Un circolo vizioso, questa volta.
Pare, quindi, che la situazione attuale rinforzi sì le già presenti virtù , ma anche i già presenti vizi, senza far nulla per sanare questi ultimi. Sembra che le risorse e il dinamismo preesistenti nelle singole regioni – e, dunque, nelle Università che ospitano – siano fattori influenti sulla questione del diritto allo studio. È vero che lo Stato assicura un livello essenziale delle prestazioni, ma è vero anche che qualsiasi tipo di intervento s’innesta e fiorisce solo se trova un terreno fertile. Una distribuzione democratica delle risorse, forse, non vuol dire soltanto distribuirle equamente, ma anche fare in modo che tutti possano usufruirne al meglio. Un diritto allo studio democratico, forse, non sceglie solo le piante più rigogliose, ma si prende cura del terreno su cui queste germogliano.