L’uovo e la gallina: storia di un paese che non sa come innovare

Si è letto sui giornali o sentito in televisione: siamo indietro su ricerca e istruzione. Questo è innanzitutto un problema quantitativo, prima che qualitativo. Nel 2016 la quota di persone tra i 25 ed i 64 anni con almeno un titolo secondario era del 17% inferiore alla media Europea, mentre per i titoli terziari (Universitari) nella stessa fascia di popolazione la percentuale è del 17,7%, contro un 30,7% Europeo (ISTAT, 2016).

Sembra, di tanto in tanto, che l’istruzione sia considerata importante di default, perché altrimenti si è ignoranti, perché altrimenti non si trova lavoro. L’istruzione non è solo un valore aggiunto in un’ottica di competizione interna nel mercato del lavoro, è uno strumento di valorizzazione individuale e del sistema paese. L’istruzione è l’energia necessaria per far funzionare qualsiasi macchina, soprattutto una macchina così imperfetta come il Belpaese.

L’innovazione non “accade”, ma è piuttosto frutto di un piano strutturato di investimento, umano e di capitale, con prospettive a medio-lungo termine. E l’innovatore spesso non è una mente eccelsa o visionaria ma più semplicemente un ricercatore o esperto. Ne conviene che una minore quantità di quest’ultimi, che di fatto costituiscono la base, l’humus per un qualsivoglia piano di sviluppo, porti l’Italia da una situazione di arretramento sul piano dell’istruzione ad uno sul piano dell’innovazione. A dimostrazione di ciò, con 72mila domande, L’italia si colloca al 64% della media europa per domande di brevetti, in caduta rispetto al 72% del 2007 (ISTAT, 2016). Se questo dato non basta, si noti anche che le aziende Italiane sono meno innovatrici della media europea (Rapporto Conoscenza 2018, “La creazione di Conoscenza”).

Poca innovazione unita alla mancanza di disponibilità di lavoratori altamente specializzati, diretta conseguenza della bassa presenza di titoli accademici terziari, porta l’Industria Italiana ad essere meno competitiva rispetto a quella del resto d’europa.

professionisti e tecnici
Percentuale di Professionisti e Tecnici con titolo universitario (Rapporto Conoscenza 2018, Figura 1.1)

Analizzando i dati Eurostat, notiamo come, ad eccezione del 2016 e 2017, l’industria Italiana ha performance decisamente peggiori della media europea (Tabella 1).

Annual_rates_of_change_by_country_ca_2005-2017
Tabella 1: Trend percentuali dei volumi di produzione delle industrie Europee (Eurostat 2018)

Una minore specializzazione del personale e la mancanza di un forte investimento in ricerca porta l’industria Italiana, se non per il caso farmaceutico ed elettronico, ad avere prodotti a minore valore aggiunto se comparati ai peer europei.

valore aggiunto
Valore aggiunto generato per Paese (Rapporto Competitività 2017, Figura 1.5)

Questo sposta la competizione da metriche di qualità a quelle di prezzo, che vedono l’Italia interfacciarsi con i colossi del low cost proveniente dai mercati emergenti, affrontanto una guerra non solo persa in partenza, ma che non rispecchia la posizione che il nostro paese dovrebbe occupare nel panorama mondiale.

Risulta difficile stabilire se sia in origine un mercato del lavoro dinamico e specializzato a trainare il sistema universitario o viceversa. È però indubbio che le due dimensioni si influenzino a vicenda, e che si debba tenere conto di tale relazione in un’ottica di programmazione politica ed economica. Investire nell’università significa investire in innovazione, e forse questo in Italia ancora non sappiamo farlo.

 

Approfondisci su:

Rapporto Conoscenza 2018

Rapporto Competitività 2018

Rapporto Competitività 2017

Industrial Production Eurostat 2018

Immagine di copertina: Mistero e malinconia di una strada, Giorgio De Chirico (1914)

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