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Invalsi: non riduciamo tutto ad una statistica

Fa discutere la decima domanda del test INVALSI per la quinta elementare di quest’anno: “Pensando al tuo futuro, quanto pensi che siano vere queste frasi?”. Giustamente, verrebbe da dire. Non per la domanda in sè, quanto per le risposte possibili, tra le quali possiamo trovare: “raggiungerò il titolo di studio che voglio”, “avrò sempre soldi per vivere”, “nella vità riuscirò a fare ciò che desidero”, “riuscirò a comprare le cose che voglio” e, infine, “troverò un buon lavoro”.

Non siamo contrari alla prova Invalsi (abbiamo già scritto un articolo a riguardo) ed anzi crediamo che sia fondamentale per il controllo dei risultati raggiunti dalla scuola Italiana. Se i nostri studenti hanno una comprensione del testo migliore rispetto all’anno precedente, dobbiamo saperlo, capirne il motivo e cercare di migliorare ulteriormente. Se il livello di matematica medio degli studenti Italiani è inferiore alla media Europea, bisogna investire, innovare, cambiare. A questo punto la domanda sorge spontanea:” che valore aggiunto apporta la domanda numero dieci alla comprensione dei risultati raggiunti dalla nostra scuola”?  Perchè solo questo dovrebbe essere l’Invalsi. Non qualche sorta di analisi psicoattitudinale e nemmeno un test per capire le ambizioni degli studenti. E’ uno strumento utile per capire se la scuola, pilastro fondamentale del futuro del nostro paese, finanziata con il 4% del PIL, sta preparando i suoi studenti al meglio. Attenzione, questi dati non devono nemmeno essere analizzati come a sè stanti. All’Invalsi dovremmo accostare la qualità del rapporto con i docenti, la creatività – terza skill più importante per il futuro mondo del lavoro (WEF, 2016) – la capacità di pensare criticamente ed altre qualità che non possono certamente essere riassunte quantitativamente con un test.

Quindi, Invalsi Sì, ma comunque entro certi limiti. Invalsi Sì, ricordandosi sempre quale dovrebbe essere la sua finalità.

I dati sono oro, oggi più che mai. Anche vestendo panni più manageriali, però, non si può solo cercare di massimizzare – la quantità di dati, le performance, i risultati -, altrimenti si ottiene l’effetto opposto. Bisogna cercare di essere strategici. E strategici significa non chiedere ad un bambino di dieci anni se riuscirà a trovare un lavoro, quando magari uno dei genitori l’ha appena perso; non chiedergli se riuscirà a comprare quello che vorrà da grande, perchè non deve essere questo l’obiettivo. Facendo ciò si ottiene solo la comprensibile ira di docenti e genitori che decideranno, magari, di non sottoporre più il test ai propri figli, invalidando quell’utilità che l’Invalsi dovrebbe avere, minandone la credibilità. Così si finisce per non essere educativi, e nemmeno strategici.

Immagine di copertina: Copertina dell’album Nevermind, Nirvana (1991).

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