Ma la Sapienza, dove trovarla?

«Sapientia vero ubi invenitur?»[1]è la domanda che risuona nel libo di Giobbe e che possiamo considerare il cruccio di tutti i più grandi pensatori del periodo tardo-antico (dal I al VII sec. d.C.) e poi medievale (dal IX al XIV sec. d.C.).

Dove trovare la Sapientia? Le prime scuole medievali erano sorte proprio con la finalità di provare a rispondere a tale domanda: dalla Schola palatina di Aquisgrana (voluta da Carlo Magno e affidata nel 781 d.C. ad Alcuno di York), a quelle francesi di Cluny, Fleury-sur-Loire, Reims, a quella di San Gallo in Svizzera, fino alle due celebri di Chartres e San Vittore (sempre in Francia) questo interrogativo continuava incessantemente a risuonare.[2]

La prima ‘offerta formativa’ che queste scuole andavano proponendo constava in uno studio di sette materie introduttive, il trivio e il quadrivio, che avrebbero dovuto fornire agli alunni gli strumenti basilari per poi potere approfondire qualsiasi disciplina. La grammatica, la retorica e la dialettica (trivio) erano rispettivamente l’arte della bella scrittura, della capacità discorsiva e dell’abilità a intrattenere un conforto serrato con il proprio interlocutore, l’aritmetica, la geometria, l’astronomia e infine la musica (quadrivio) erano invece i saperi propedeutici ad ogni scientia e quelli necessari per vivere comunitariamente.

Queste prime scuole tuttavia, che potevano essere o episcopali (cioè dirette dal vescovo e per lo più destinate alla formazione dei chierici) o abbaziali (cioè legate ad un’abbazia e dirette dal corrispettivo abate) o palatine (cioè legate al palazzo imperiale e controllate dal sovrano), raggiungevano il culmine della loro proposta di studi nell’approfondimento della sacra pagina.

Con quest’ultimo termine si indica quel particolare approccio all’analisi della Scrittura che prevedeva un modo di procedere revelativus (ri-velare lo spirito che si cela sotto la lettera), praeceptivus (indicare agli uomini il comportamento che avrebbero dovuto tenere a partire da una sintesi dei vari precetti biblici), orativus (elevare la mente all’amor Dei partendo dalle immagini bibliche) e infine symbolicus (custodire e spiegare la potenza rivelativa dei simboli presenti nella Bibbia).[3]

Il sapiens dell’Alto Medioevo era dunque un uomo versato nel Trivio e nel Quadrivio -la cui istituzione si può far risalire a Severino Boezio e al De doctrina christiana di Agostino e la cui prima grande applicazione ad Alcuino di York- che conosceva (a memoria) la Bibbia e le relative esegesi più importanti dei Padri della Chiesa e che si occupava principalmente di porne a confronto i passi discordanti al fine di discuterli e trovare così una ‘soluzione’.

Nel XIII secolo però tutto cambia: nascono le università, di cui la prima fu Bologna nel 1088 e una delle più illustri quella di Parigi fondata nel 1170.

All’interno delle universitates studiorum, che altro non erano che una libera associazione di studenti e magistri e a cui tutti gli ordini sociali indistintamente avevano la possibilità di accedere, il sapere venne completamente riorganizzato: la facoltà delle arti, ossia l’insegnamento obbligatorio del trivio, del quadrivio e dei rudimenti filosofici, si affiancava alle due facoltà “lucrose”, quella di medicina e di giurisprudenza, che sottostavano alla sacra doctrina, ossia alla fondamentale facoltà di teologia.

Quest’ultima era ormai diventata dopo Abelardo con Alberto Magno e Tommaso d’Aquino una vera e propria scientia: non si trattava più di fare semplicemente esegesi biblica e di confortare il testo sacro con il commento di Padri, i teologi acquisiscono il duplice compito di elaborare veri e propri sistemi di teologia fondamentale nelle loro summae a partire dai preambula fidei (ossia di delineare un’immagine teologica precisa dell’uomo e del cosmo a partire dai dati che la sola ragione ci consegna) con lo scopo di edificare un sapere universale che non si basi solo sul dato scritturistico e di spiegare il contenuto di fede a partire dal Revelatum (cosa che sarà possibile non appena verrà formulata la teoria della subalternazione delle scienze).[4]

Occorre in chiusura sottolineare anche come proprio dopo la nascita delle Università in Occidente arriveranno le prime traduzioni arabe degli scritti di Aristotele, le opere fondamentali di filosofi musulmani quali Avicenna e Averroé e di filosofi ebrei quali Mosè Maimonide.

Il sapiens che si verrà a formare nelle università del Basso Medioevo sarà allora un uomo molto versato nel Trivio e nel Quadrivio -che rispetto all’Alto Medioevo eran notevolmente progrediti- e votato alla sua scienza professionale, sia che fosse la medicina sia la giurisprudenza sia la teologia, con estrema criticità, pronto al dialogo e al confronto all’interno di uno spazio culturale che ormai si era fatto veramente internazionale. Il sapere, come dovrebbe tornare ad essere oggi in alcune nostre università, si era fatto autenticamente trasversale, critico, dialogico, di ampio respiro e internazionale.

«Sapientia vero ubi invenitur?»: difficile dire se i Medievali siano riusciti pienamente a rispondere all’interrogativo -forse perché, tra l’altro, una risposta definitiva non esiste- sicuramente nelle loro schoale prima e poi nelle loro universitates ci hanno instancabilmente provato.

Immagine di copertina tratta da Google Immagini.

[1] Giobbe 28, 12.

[2]Cfr. Martin Grabmann, Storia del metodo scolastico, Vol. I, La Nuova Italia, Firenze 1999.

[3]Cfr. Marie-Domenique Chenu, La teologia come scienza nel XIII secolo, Jaka Book, Milano 1985, p. 78.

[4] Ivi, pp. 99-131.

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