Editoriale su scrittura, comunicazione, su di noi.
Emanuele Lepore, Laura Porta
Se dal Novecento in avanti parlare di verità ci crea qualche perplessità – evitiamo la digressione filosofica, non temete –, possiamo forse affermare con più tranquillità che la scrittura è una questione di fiducia. Certamente lo è per noi di Education Around. Vediamo insieme in che senso, in questo editoriale che giunge a conclusione del primo mese di attività del nostro blog – ma non solo – dopo alcuni mesi di riflessione, riorganizzazione e miglioramento (riscontri in merito sono più che bene accetti!). È soprattutto un modo di raccontarci, di definire chi e cosa siamo: chi e cosa vogliamo essere.
È ormai lapalissiano affermare che la nostra quotidianità è massicciamente influenzata da Internet e, più nello specifico, dai social media: anche se non abbiamo un profilo su Facebook o su Instagram, anche se non cinguettiamo più volte al giorno, le notizie a cui siamo esposti (che riceviamo e magari diffondiamo) passano per uno di questi canali. Nessun giudizio morale, sia chiaro: è una constatazione. Da qualche anno, uno dei temi costantemente all’ordine del giorno è quello delle fake news: notizie false (parzialmente o totalmente), contenuti manipolati o forme espressive distorte al fine di orientare l’opinione di chi legge in maniera disonesta. L’ultimo corsivo è fondamentale: la comunicazione in quanto tale non ha come scopo il semplice scambio di informazioni. Ogni volta che scriviamo, diciamo, condividiamo qualcosa lo facciamo perché ci aspettiamo una risposta da parte di altri: anche essere semplicemente letti o ascoltati è una risposta.
Possiamo distinguere una notizia da una fake news, una balla da un contenuto qualsiasi, ancorché opinabile – v’è poco al mondo che non sia discutibile – dalla postura con cui è elaborata e diffusa. Proviamo a chiederci se c’è qualcosa di comune alle varie forme di fake news e affini dispositivi comunicativi come teorie complottiste (su questo, consigliamo la lettura della bella inchiesta di Wu Ming 1 su QAnon), discorsi negazionisti (a proposito di qualsiasi argomento, l’importante è negare) e le dichiarazioni non-propriamente-precise di politici di cui abbiamo imparato a ridere (per cui siamo ad un passo dal piangere?).
Al di là di possibili definizioni tecniche, crediamo si tratti, in fondo, di una questione di fiducia: in chi scrive o parla, nell’intenzione esplicita con cui lo fa, nella forma che utilizza. Parte integrante di una comunicazione degna di fiducia è la presenza di fonti ed evidenze verificabili a sostegno di quanto si dice: meglio ancora se la metodologia con cui vengono prodotte le fonti è trasparente.
Questa è la prima ragione per cui abbiamo deciso di scrivere riflessioni e opinioni che partissero dai dati, elencando le nostre fonti ed esplicitando le prospettive da cui guardiamo alle cose di cui scriviamo. E le prospettive sono diverse, come si può capire da una rapida occhiata alla composizione della nostra squadra. Siamo diversi per provenienza accademica, per interessi disciplinari e per orientamento politico – perché si può ancora avere un proprio orientamento politico e dialogare con altri punti di vista, senza sentire il bisogno di prevaricare: è una cosa che si impara praticando la relazione con gli altri, è una delle ragioni per cui abbiamo un disperato bisogno di seri percorsi di educazione civica nelle nostre scuole.
L’altra ragione fondamentale per cui abbiamo adottato questa postura verso i nostri articoli e – soprattutto – verso di voi, dipende dal fatto che, troppo spesso, essa è minoritaria. Se, come dicevamo, la comunicazione è sempre richiesta, sollecitazione dell’altro, è pure vero che essa è sempre autoriflessiva: se chiediamo ai politici di dare un taglio alle menzogne, ai giornalisti di mostrare le evidenze di quanto vanno scrivendo, ai lettori di informarsi e di dedicare tempo all’approfondimento e alla verifica di quanto circola sui diversi media, perché non dovremmo farlo anche noi?
Non ci sentiamo diversi e tentiamo di essere il più possibile trasparenti, non solo quando scriviamo articoli per il nostro blog: è la stessa postura che ci guida nel preparare i nostri Ranking.
Se la scrittura e, in generale, la comunicazione è una questione di fiducia, allora condizione necessaria (anche se non sufficiente) per scrivere e comunicare bene è stare nella relazione con gli altri. Ecco perché condividiamo i nostri articoli sui nostri canali social: non per farci vedere ma nel tentativo di instaurare un dialogo con voi, favorire quello tra di voi, e rafforzare quello tra di noi – che alimenta ogni nostro processo (sentiamo le persone con cui condividiamo questa avventura più di compagne e compagni, genitori e parenti vari, sul serio).
Il nostro stile comporta un prezzo da pagare, in termini di tempo e di contenuto: non possiamo permetterci di pubblicare notizie dell’ultima ora, di riferire cronache, di attirarvi con titoli “acciuffa-like”, di licenziare un articolo prima di averlo letto, criticato, ripensato varie volte. Di più: significa rinunciare al lusso di essere tuttologi. Questo non significa che non possiamo scrivere e approfondire “quello che vogliamo”, ma che lo facciamo dopo avere studiato – sempre più spesso in collaborazione tra noi –, verificato e discusso. Anche per questo abbiamo bisogno di una linea editoriale flessibile, che si adegui ai nostri tempi e ci consenta di seguire al meglio il nostro indirizzo.
Alla fine, inutile nasconderlo, è tutta una questione di passione: il trait d’union che ci lega, che ci traina, che ci sprona è la condivisione di un interesse serio verso i temi che ci sono cari. La capacità di appassionarsi è ciò che rompe la pigrizia quotidiana, quella routine che ci impone di pensare a tutto e di non riflettere mai su niente, è ciò che differenzia uno spirito giovane e critico da uno spirito assopito, è ciò che sveglia le menti. Bisogna voler imparare dal dialogo, mettersi in una posizione di ascolto matura verso le opinioni altrui e sapersi ripensare. Bisogna esercitare, su se stessi e attraverso gli altri, l’arte della maieutica: è un esercizio faticoso, lo sappiamo, ma quando è condiviso diventa motore del cambiamento. La passione non si accontenta, la passione cerca di includere, di contagiare: fa crescere il numero di spiriti non dormienti, di cittadini consapevoli che sanno cercare le domande giuste, piuttosto che le risposte. Questo è il filo rosso che ci unisce, da Brescia a Reggio Emilia, da Venezia a Trento e Oxford, da Pisa fino in Svizzera e in Michigan. Questa è la nostra linea e la nostra ragion d’essere, non solo del blog ma di tutta questa piccola realtà che è l’associazione Education Around.
Se siete giunti sin qui, allora possiamo dirvi che abbiamo bisogno di voi, dei vostri riscontri, delle vostre critiche; delle vostre domande, sollecitazioni, proposte. Partecipate con noi a questo progetto, che vuol dire contribuire insieme a noi alla costruzione di una comunità attenta, critica, formativa. Non ne sentite tutti un po’ il bisogno?