Perché studiare storia

Sei uno studente della scuola dell’obbligo e lo studio della storia non ti da alcuno stimolo? Oppure hai già finito la scuola dell’obbligo e non hai mai affrontato nessuna questione storica ricordando il poco interesse che aveva suscitato in te sui banchi di scuola?Lo studio della storia purtroppo viene ancora trattato in maniera molto vecchia, affrontandolo quasi unicamente con un approccio evenemenziale, ovvero attraverso la prospettiva delle grandi date, battaglie o comunque collegate al mondo geopolitico. Si aggiunga a ciò che le motivazioni per cui studiare storia che ci vengono fornite dall’istituzione scolastica sono per lo meno obsolete e si ottiene un ambito di studi poco appetibile. Per provare a dare un nuovo impulso a questo settore delle scienze umane, riassumo ciò che il Professore Giorgio Politi scrive nel suo manifesto, pubblicato all’interno del volume La storia lingua morta1. Originariamente orientato agli studiosi affinché si concentrino su un nuovo modo di pensare la storiografia, offre comunque degli spunti interessanti per i non specialisti.

Il concetto di tempo

Tempo circolare

Una delle più comuni motivazioni con cui ci viene consigliato di studiare la storia consiste nel fatto che essa è magistra vitae, un adagio che risale alla cultura latina e si ricollega alla nozione greco-romana di tempo ricorsivo. Se non completamente errata, questa visione è per lo meno poco attuale: d’altronde chi al giorno d’oggi vive relazionandosi al tempo come se esso fosse ciclico? 

Prendiamo un esempio legato alla nostra attualità: agli inizi della pandemia abbiamo esperito la caccia all’untore, attaccando categorie come i runner o i migranti, come si soleva fare in tempi di minor sviluppo scientifico. Qualcuno potrebbe sostenere che la storia si ripete, oppure che esista addirittura una natura umana che si concretizza nel cercare una intenzionalità umana laddove la casualità della natura non lascia spazio ad alcuna disegno sottostante. Uno sguardo attento ai fatti invece mostra come le forme di questo ipotetico ripetersi della storia siano sempre differenti, mentre ad uno sguardo più superficiale sarà sempre possibile trovare delle similitudini e sostenere il ripetersi delle medesime realtà.

Concezione escatologica

Un concetto di tempo a cui siamo maggiormente abituati è la struttura escatologica propria del mondo giudaico-cristiano. Questa si fonda sulla direzionalità del tempo che si volge al destino dell’umanità, che per i cristiani si concretizza nella salvezza. Questo concetto è stato secolarizzato in molteplici istanze, da una forma di Marxismo che si aspetta che la storia proceda verso il destino di una rivoluzione che elimini il male dal mondo e permetta la creazione di una società perfetta, al positivista che vede nello sviluppo scientifico il fine ultimo che solleverà l’uomo da ogni difficoltà della vita. Ma proprio la secolarizzazione è ciò che mina al suo fondamento questa visione. Fatta eccezione dell’atto di fede, è indimostrabile su basi scientifiche la presenza di una finalità della storia. Sempre che non si compia un atto di “fede” nel socialismo o nella scienza, ma a questo punto esse perderebbero la propria caratteristica di costruzioni politica e scientifica.

Se da un lato non e’ possibile definire un destino comune della storia dall’altro e’ vero che esistono molteplici finalità, proprie di individui e gruppi, che si intersecano nel più ampio processo storico. Queste sono caratterizzate dall’immanenza al proprio tempo e alle inclinazioni dei soggetti e danno un ordine a limitate fasi, laddove a livello generale quest’ordine non si pone.

La contemporaneità

Un’altra coordinata fondamentale per comprendere questo approccio alla storia è fornita dalla nozione di contemporaneità. La contemporaneità non è il tempo più recente, ma ogni tempo che sia profondamente legato al presente: alcuni processi iniziati migliaia di anni addietro possono essere a noi contemporanei, dando forma ai fatti che viviamo nella nostra quotidianità. Non va confusa quindi la contemporaneità con il presente, che altro non è che l’istante in cui si vive, il quale si appresta a divenire passato ad ogni momento. Nel momento in cui questo dà forma al divenire del presente, esso acquista la qualità di contemporaneità.

Un esempio è dato dalla scuola francese degli Annales, costituita nel secolo scorso da Lucien Febvre e Marc Bloch i quali proposero la nozione di una “molteplicità del tempo storico” ovvero “l’esistenza di tempi plurimi”2. Su questa idea si fonda la particolare attenzione alla “lunga durata”, ovvero lo studio degli sviluppi lenti, non i fatti salienti, ma il divenire delle istituzioni e delle problematiche umane che lentamente si trasformano nel corso della storia.

Come affrontare la storia

Dopo questo rapido riassunto proviamo a rispondere alla nostra domanda. Armati di questa analisi del concetto di tempo possiamo dare un’immagine della storia che “non ricrea il passato, ma scompone il presente secondo i diversi piani temporali dalla cui interazione esso risulta3. Per rendere più chiara questa affermazione riporto una metafora usata da Politi: “immaginiamo di trovarci in un campo sotto cui corra un’enorme condotta contenente, al proprio interno, miliardi di cavi, diversi per colore, materiale e diametro.” Se per analizzare la realtà attuale noi tagliamo perpendicolarmente questa condotta noi possiamo comprendere le dimensioni e le qualità dei cavi, ma non ne possiamo valutare la lunghezza. “Se decidessimo, per qualsiasi ragione, di eliminarne qualcuno perché guasto o comunque dannoso, e cominciassimo perciò a tirare, potremmo trovarci di fronte a sgradite sorprese.”4 L’analisi dei diversi piani temporali ci permette quindi di comprendere lo sviluppo di questi cavi, guardando i processi che hanno portato alla sezione della condotta che abitiamo e formiamo.

È giunta l’ora di abbandonare le lenti dell’idealismo che ci ha portati a considerare la storia come lo sviluppo lineare del genere umano, gettando i semi del concetto di “civiltà” e portando l’occidente ai tempi bui del colonialismo. Al contrario va affrontata partendo dal presente, dalla curiosità del comprendere i processi che hanno portato alla costruzione di istituzioni, tradizioni e valori che senza la loro componente storica rischiano di perdere il proprio senso. L’obiettivo diventa perciò la creazione di una storia viva che, proprio in virtù della contemporaneità prima descritta, parla delle nostre vite. Una storia che proceda a ritroso, partendo dalle istanze che ci interessano più da vicino, per scoprire lo sviluppo e il senso di ciò che viviamo. La storia è condizione necessaria ma non sufficiente per comprendere il presente. Essa non ci rende magicamente edotti del presente, ma ce ne fornisce le coordinate, che sono un buon punto per poter effettuare un’analisi concreta della nostra realtà.


Note

  1.  Giorgio Politi, La storia lingua morta, Edizioni Unicopli, Milano 2011.
  2.  Ibidem, p. 27.
  3.  Ibidem, p. 35.
  4.  Ibidem, p. 44.

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