“Nessuno ci può giudicare”: è il duro e perentorio slogan che mi sembra di intravedere, più o meno nascosto, dietro ogni manifestazione della scuola italiana. A partire da quelle in piazza contro la così detta ‘buona scuola’, certo; ma la lista è lunga e fa spazio anche alla raffica di scioperi brevi in occasione delle prove INVALSI. Il concetto protagonista che si annida in quelle circostanze è in realtà un altro: merito e meritocrazia.
Molte delle riflessioni fatte nel corso degli ultimi decenni sulle possibili vie di innovazione della scuola, prevalentemente a posteriori di ripetute batoste da parte dell’Ocse PISA, ci hanno portato a constatare che la scuola italiana non è meritocratica, né dall’alto né dal basso, anzi non lo è mai stata. Supponendo che ci sia una qualche correlazione tra la qualità del sistema scolastico, sia essa misurata da un osservatore esterno o semplicemente revisionata da chi ne usufruisce o ne fa parte, e il suo carattere meritocratico; rimane evidente quanto studenti, ma soprattutto docenti, dirigenti scolastici e sindacati siano refrattari al cambiamento su questo fronte. Verrebbe quasi da pensare che sia così per natura, nella misura in cui tra veti, muri, tagli e contratti congelati si riconoscono i contorni di una sorta di patto silenzioso e scellerato, siglato nel dopo guerra tra istituzioni e sindacati, secondo il quale alla scuola si chiede poco e si dà poco; creando tra l’altro un serbatoio occupazionale che ha tenuto in piedi, senza infamia e senza lode, gli equilibri sociali e le esigenze educative del paese per mezzo secolo.
Come è noto ci ha provato il governo Renzi nell’estate 2015 a smuovere la acque, a mio parere in modo così timido (sia chiaro, anche a causa delle resistenze di cui sopra) che ha finito per scontentare tutti: chi tra insegnanti e genitori si aspettava delle misure decise si è trovato davanti una dualità tra un comitato di valutazione, con il compito di stabilire dei criteri secondo cui attribuire i bonus monetari di merito ai docenti, e il dirigente scolastico con l’onere dell’ultima parola sui destinatari, presa visione del lavoro del comitato. L’idea non è male, se non altro perché in quest’ultimo era presente anche un genitore e uno studente, ma i soldi pochi e la lontananza da una valutazione sistematica che tenga conto anche dell’opinione dei ragazzi ancora troppo evidente; senza contare che in alcuni casi il bonus è stato distribuito a pioggia… Chi invece di essere valutato proprio non ne voleva sapere, si è dovuto tenere un po’ di irritazione di principio per il tentativo e magari la paura del pericolo mostratosi e poi scomparso. Ma questo principio quale sarebbe, esattamente? Facilmente in molti casi la paura diventa il principio stesso; invece le più comuni argomentazioni sul tema poggiano sull’idea che una spinta meritocratica di stampo aziendale sulla scuola possa prosciugarla dalla sua essenza di luogo educativo e accogliente, in nome dell’efficienza e del profitto. Suvvia, nessuno sta dicendo che studenti e genitori debbano avere il diritto di misurare la “prestazione educativa” di un insegnante, d’altra parte credo che questioni come l’assenteismo, l’incompetenza manifesta, il rispetto delle scadenze (e delle persone) o la corrispondenza tra didattica e verifica siano adatte a misure ben più coraggiose, in cui il ruolo degli studenti è più significativo. E l’umanità che c’è tra i muri di scuola ce la teniamo ben stretta, ma anche di queste cose c’è terribilmente bisogno.
Per compredere meglio e approfondire:
- Il comitato per la valutazione docenti, da orizzontescuola.it
- Rapporto OCSE PISA 2015, da area servizi statistici e informatici, INVALSI
- Tagli al bonus docenti, da orizzontescuola.it
Immagine di copertina: Giudizio Universale, Michelangelo, particolare.