Il compito più arduo che siamo chiamati a svolgere all’interno della nostra esistenza è rappresentato dalla nostra incessante ricerca di senso: ricerchiamo significati per poter stabilire un ordine, dare stabilità, tracciare limiti entro i quali la vita possa essere vissuta e questo nostro intento non si manifesta solo durante la fase adulta, ma emerge fin dalla tenera età. Il bambino si trova dunque a dover interfacciarsi con il mondo ricercandone un ordine, tentando di capirne il funzionamento. Egli chiaramente non dispone dei mezzi corretti per affrontarlo, le sue idee sul mondo, esattamente come il suo fisico e il suo intelletto, sono infatti acerbe; avrà dunque bisogno di tempo per poter raggiungere una comprensione matura di se stesso e della realtà che lo circonda, tempo durante il quale dovrà essere seguito da chi si pone il compito di allevarlo con l’obbiettivo di rendere la sua esistenza ricca di significato.
Naturalmente il genitore, o qualunque adulto deputato a questa mansione, non può servirsi solo ed esclusivamente delle sue forze, ma dovrà necessariamente ricercare un alleato, che in questo caso sarà la letteratura, in particolare nel genere della fiaba.
La fiaba è quel genere narrativo che educa per allusioni, non impartisce norme etiche astratte in maniera moralistica come può fare una favola, comunica piuttosto in maniera allusiva i vantaggi di un comportamento etico. In esse il bambino si trova coinvolto o addirittura rapito, dal momento che esse presentano vicende ricche di significato, utile al fine di poter attribuire un ordine al mondo.
Pensiamo a una delle famose fiabe narrate nelle Mille e una Notte: Il pescatore e il Genio. Un pescatore getta la sua rete in mare quattro volte: al primo lancio pesca la carogna di un asino, al secondo una brocca piena di fango, al terzo tentativo, una volta issata la rete, trova soltanto cocci e vetri rotti, la quarta volta invece recupera un vaso di rame e il pescatore, incuriosito, lo apre facendone fuoriuscire un gigantesco genio. Il genio, appena uscito, minaccia di uccidere il pescatore, che però attraverso un tranello riesce a fare rientrare il genio nel vaso, richiudendolo tempestivamente al suo interno e gettandolo poi nuovamente in mare.
In questa fiaba troviamo molti elementi interessanti: prima di tutto il pescatore non ottiene quello che vuole immediatamente, ma è costretto a ritentare più volte, delusione dopo delusione; egli oltretutto è costretto a fronteggiare un nemico che per stazza e potenza è infinitamente superiore a lui, ma nonostante ciò grazie all’utilizzo dell’intelletto, riesce comunque a uscirne vincitore. Ciò che più ci interessa rilevare in questa sede è però la logica sottesa allo svolgimento della vicenda: il genio spiega che durante i primi cento anni di prigionia sarebbe stato disposto a ricoprire d’oro chiunque lo avesse liberato, ma con il passare dei secoli, vedendo che nessuno giungeva in suo soccorso, andò su tutte le furie e promise a se stesso: “D’ora in poi, chiunque mi libererà, lo ammazzerò”. Per un adulto un simile ragionamento può apparire insensato, in quanto, secondo la logica di un individuo maturo, più la prigionia è lunga, più il prigioniero dovrebbe essere grato al suo salvatore, ma per un bambino questo non è assolutamente vero. Bruno Bettelheim nell’opera Il mondo incantato racconta di un bambino di tre anni, i cui genitori avevano passato parecchie settimane lontani da casa: il bimbo prima di tale evento parlava benissimo, ma una volta tornati i genitori egli non proferì parola per ben due settimane. I primi giorni in cui dovette stare solo senza genitori, secondo una testimonianza della governate, aspettava con impazienza il loro ritorno, ma con il passare del tempo, accorgendosi che non tornavano, incominciò a nutrire sentimenti negativi nei loro confronti, affermando che quando sarebbero tornati si sarebbe vendicato. Insomma appare chiaro che la sua rabbia crebbe con il passare del tempo facendogli credere che “se si fosse lasciato andare avrebbe distrutto i suoi genitori o sarebbe stato distrutto per rappresaglia”. Ne concludiamo che il suo rifiuto di parlare era la sua difesa, tanto per proteggere se stesso quanto i suoi genitori da quest’ira furibonda che portava dentro.
La fiaba dunque istituisce un rapporto elettivo con il fanciullo, dal momento che gli presenta un mondo visto attraverso i suoi occhi: il genio segue una logica che il bambino può comprendere soltanto in quanto la rivede in sè, egli non si immedesimerà pertanto mai nel genio, ma a livello inconscio potrà sfogare quelle terribili pulsioni che lo abitano identificandole allo stesso tempo come negative. La fiaba dunque diventa il mezzo eminentemente più adatto alla formazione del fanciullo: essa è infatti densa di significato e spesso presenta al suo interno eventi terribili, inoltre i protagonisti sono sempre chiamati a scontrarsi contro nemici di gran lunga più potenti di loro, ma nonostante tutto assicura sempre un esito positivo e ci rincuora con il suo lieto fine, imprimendo fiducia nei cuori dei bambini e ponendo attraverso questo le basi per uno sviluppo rigoglioso e sereno della personalità.
La fiaba è per un bambino, come Lewis Carroll la definì, un “dono d’amore”.
Immagine di copertina: The legend of Sleepy Hollow, di Arthur Rackam.